"Il Mundial dimenticato - La vera incredibile storia dei Mondiali in Patagonia" di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni. Italia, Argentina 2012 ★★★★★
La serata di ieri, organizzata dal benemerito CinemaZero di Pordenone per presentare “Dai un calcio al razzismo”, il bel documentario dell’attrice e regista Clara Salgado, ecuadoregna di nascita e friulana d’adozione, dedicato a una serie di omonimi tornei “interetnici” che si sono tenuti per alcuni anni nella frazione di Villanova assieme a un’interessante e correlata mostra fotografica di Marco Diodà, è stata l’occasione per recuperare in extremis “Il Mundial Dimenticato”, che mi ero perso alla sua uscita nel giugno scorso, prima che passasse nel dimenticatoio (e chissà se mai verrà diffuso in DVD) così come il Mondiale di calcio del 1942 che, come assicurava la immaginifica penna di uno scrittore e giornalista che ho amato moltissimo, Osvaldo Soriano, si sarebbero in realtà tenuti in Patagonia nel 1942 mentre in Europa infuriava la più imbecille e devastante delle guerre. Non ho alcuna esitazione ad affermare che si tratta di gran lunga del più bel film visto in tutto il 2012. Tratto dal racconto "Il figlio di Butch Cassidy", contenuto in "Fútbol", si presenta come un documentario assolutamente verosimile, preciso, con tanto di filmati d’epoca, arricchito da testimonianze autorevoli tra cui quelle di miti del calcio come Roberto Baggio, che conosce l’Argentina così bene da essere per lui una seconda patria, l’ex goleador inglese Gary Lineker, Jorge Valdano, giornalisti e cronisti famosi come Darwin Pastorin, perfino João Havelange, per anni presidente e padre padrone della FIFA, e che ricostruisce la storia di quel fantomatico Mundial organizzato in Patagonia da un eccentrico nobile d’origine mitteleuropea, il conte Von Otz (fortemente somigliante a Donald Sutherland: non sarà per caso lui?) di cui si era perso il ricordo ma su cui il documentario vuole fare luce in seguito al ritrovamento, durante degli scavi paleontologici, dei resti di una cinepresa degli Anni 40 in mezzo ai resti dei dinosauri di cui la zona abbonda. Apparteneva a un fotografo e cineoperatore di origine italiana, incaricato delle riprese della manifestazione dal conte Otz, della cui figlia si innamorò follemente, come racconta il nipote, che ne ha rilevato l'attività a Buenos Aires e che partecipa all'inchiesta. Più che un (falso?) documentario sportivo, diventa un viaggio nella Patagonia, da sempre terra di fuggitivi e visionari, come sa chiunque abbia letto Coloane, Sepúlveda, Chatwin, Theroux fino, naturalmente a Soriano, che in Patagonia ci è nato e cresciuto. E chi, come me, ci è stato e ci è tornato più di una volta. La Patagonia di cui ho ritrovato l'essenza nei paesaggi infiniti e nei loro colori nonché nelle situazioni più assurde, specie nella "pulpería" dove i documentaristi incontrano memorabilia di quel Mundial e personaggi che vi hanno assistito e partecipato. Ce ne sono ancora, di questi bar-magazzini-stazioni di servizio in mezzo al nulla, che traboccano dei tipi umani più eterogenei e delle loro storie, inverosimili quanto reali, e dove si accumulano oggetti di un trapassato prossimo che però ancora agisce nella memoria, perlomeno nella mia. Nella "pulpería" che compare nel film, proprio in quella, ci sono pure stato di persona, una quindicina di anni fa, e ne conservo ancora delle fotografie da qualche parte. A quei Mondiali parteciparono 12 nazionali, composte prevalentemente dal personale che ai tempi lavorava nella costruzione di ferrovie, strade e dighe (parecchi paesi e città portano tuttora il nome di chi ci lavorava, come Cipolletti, un'ingegnere che studiò il sistema irriguo del Rio Negro: zona desertica resa un frutteto dagli immigrati italiani) ma nel racconto si intreccia di tutto, dalle imprese sportive alla politica, dagli amori alle invenzioni più strampalate, in un mondo avventuroso e apparentemente surreale ma invece molto vicino al vero, anzi: all'essenza delle cose e delle persone. Perché la Patagonia è questo, una terra magica quanto povera che fa emergere l'anima. E la cattura. Sarà proprio una diga a cedere e a sommergere tutto, compreso lo stadio eretto per l'occasione, dopo un temporale che si era scatenato proprio nel corso della finale tra Germania e Principato di Patagonia, il 19 dicembre del 1942. Per la cronaca, vinse 2-1 quest'ultimo, composta esclusivamente da mapuches araucani, gli abitanti originari della regione. Un grazie di cuore ai due autori, alla Verdeoro che ha prodotto il film e a Rodrigo Díaz, direttore del Festival del Cinema Latino Americano di Trieste, che ha presentato il film arricchendolo di aneddoti.
Siamo felici che vi sia piaciuto! Daniele Mazzocca
RispondiElimina