"Love Is All You Need" di Susanne Bier. Con Pierce Brosnan, Trine Dyrholm, Molly Blixt Egelind, Sebatsian Jassen, Paprika Steen e altri. Danimarca, Svezia, Italia, Francia Germania 2012. Ingiudicabile
Mah! Un film sconcertante, ambivalente, che si presta a due letture. Come commedia sentimentale di tipo brillante è penosa: l'umorismo è di tipo scandinavo, quando c'è, e dunque lascia perplessi alle nostre latitudini (come suppongo rimarrebbe basito un danese o uno svedese davanti a un cinepanettone di produzione nostrana), così come le espressioni facciali e il modo di comportarsi e di parlare dei personaggi, che sembrano un manipolo di mentecatti in libera uscita da un istituto specializzato in assistenza ai minorati, anzi: in viaggio premio, in una Sorrento da dépliant turistico, dove si sposano Patrick, il figlio del "bellone" di turno, Philip, titolare di una grande azienda ortofrutticola, un Pierce Brosnan frollo ma ancora tonico, un uomo d'affari indurito e diventato cinico dopo la morte dell'amata moglie, e Astrid, la figlia di Ida, una modesta parrucchiera (appena guarita, forse, da un tumore al seno) e Leif, che durante le cure della moglie si sollazzava con la contabile della sua ditta. Il matrimonio viene organizzato nella magione di Philip (che non si capisce se sia un oriundo italiano emigrato in Danimarca: come tale, Brosnan è poco credibile) e vi accade di tutto, tra preparativi e rivelazioni sorprendenti che hanno il loro culmine quando giungono tutti gli invitati giunti dalla Scandinavia, compresi l'amante di Leif, la cognata di Philip che lo sta puntando da quando è rimasto vedovo, e altri casi più o meno umani. Basti dire che nasce l'amore tra il duro Philip e la dolce Ida, che trova il coraggio per mandare all'inferno il suo stupido marito e cambiare vita, mentre salta il matrimonio tra Astrid, che vede confermarsi i suoi presagi negativi, e Patrick, che scopre la sua omosessualità e che ha trascorso la sua vita nel tentativo di compiacere il padre "macho". Alla fine, la verità (e il vero ammòre) trionfano su tutto. Patetico dunque in quanto pastrocchio che ammicca a Hollywood, e al pubblico di bocca buona che ha amato "Mamma mia", altra produzione di successo sul genere, basata sull'opera omnia degli ABBA, gloria del pop scandinavo degli anni Settanta e dintorni, e afflizione per le orecchie dei musicofili (qui il titolo fa il verso a una delle più note canzoni dei "Beatles", ma purtroppo il leitmotiv è "That's Amore" cantata da Dean Martin), si rivela invece un film geniale se lo si guarda da una prospettiva, diciamo così, "Monty Python", maligna, caustica, dissacrante, e si desse credito, ma tendo a escluderlo, che le intenzioni della Bier fossero proprio quelle di mettere in ridicolo il luogo comune, sia sull'Italia "sole-amore-cuore-vino-pizza-mandolino", sia sullo scandinavo babbeo, imbranato e abbagliato dal Mediterranean Way of Life, sia le pellicole di genere: un'operazione mefistofelica, troppo per la regista e sceneggiatrice danese, perché se visto con l'ottica di un film comico alla Mel Brooks, "All You Need Is Love" è tutt'altro che disprezzabile e rasenta perfino la genialità: basti pensare con quale malvagia attenzione alle facce è stato messo insieme un cast che sembra uscito da un manicomio. Se fosse vera questa versione, a Susanne Bier va assegnato un Oscar alla carogneria.
Mah! Un film sconcertante, ambivalente, che si presta a due letture. Come commedia sentimentale di tipo brillante è penosa: l'umorismo è di tipo scandinavo, quando c'è, e dunque lascia perplessi alle nostre latitudini (come suppongo rimarrebbe basito un danese o uno svedese davanti a un cinepanettone di produzione nostrana), così come le espressioni facciali e il modo di comportarsi e di parlare dei personaggi, che sembrano un manipolo di mentecatti in libera uscita da un istituto specializzato in assistenza ai minorati, anzi: in viaggio premio, in una Sorrento da dépliant turistico, dove si sposano Patrick, il figlio del "bellone" di turno, Philip, titolare di una grande azienda ortofrutticola, un Pierce Brosnan frollo ma ancora tonico, un uomo d'affari indurito e diventato cinico dopo la morte dell'amata moglie, e Astrid, la figlia di Ida, una modesta parrucchiera (appena guarita, forse, da un tumore al seno) e Leif, che durante le cure della moglie si sollazzava con la contabile della sua ditta. Il matrimonio viene organizzato nella magione di Philip (che non si capisce se sia un oriundo italiano emigrato in Danimarca: come tale, Brosnan è poco credibile) e vi accade di tutto, tra preparativi e rivelazioni sorprendenti che hanno il loro culmine quando giungono tutti gli invitati giunti dalla Scandinavia, compresi l'amante di Leif, la cognata di Philip che lo sta puntando da quando è rimasto vedovo, e altri casi più o meno umani. Basti dire che nasce l'amore tra il duro Philip e la dolce Ida, che trova il coraggio per mandare all'inferno il suo stupido marito e cambiare vita, mentre salta il matrimonio tra Astrid, che vede confermarsi i suoi presagi negativi, e Patrick, che scopre la sua omosessualità e che ha trascorso la sua vita nel tentativo di compiacere il padre "macho". Alla fine, la verità (e il vero ammòre) trionfano su tutto. Patetico dunque in quanto pastrocchio che ammicca a Hollywood, e al pubblico di bocca buona che ha amato "Mamma mia", altra produzione di successo sul genere, basata sull'opera omnia degli ABBA, gloria del pop scandinavo degli anni Settanta e dintorni, e afflizione per le orecchie dei musicofili (qui il titolo fa il verso a una delle più note canzoni dei "Beatles", ma purtroppo il leitmotiv è "That's Amore" cantata da Dean Martin), si rivela invece un film geniale se lo si guarda da una prospettiva, diciamo così, "Monty Python", maligna, caustica, dissacrante, e si desse credito, ma tendo a escluderlo, che le intenzioni della Bier fossero proprio quelle di mettere in ridicolo il luogo comune, sia sull'Italia "sole-amore-cuore-vino-pizza-mandolino", sia sullo scandinavo babbeo, imbranato e abbagliato dal Mediterranean Way of Life, sia le pellicole di genere: un'operazione mefistofelica, troppo per la regista e sceneggiatrice danese, perché se visto con l'ottica di un film comico alla Mel Brooks, "All You Need Is Love" è tutt'altro che disprezzabile e rasenta perfino la genialità: basti pensare con quale malvagia attenzione alle facce è stato messo insieme un cast che sembra uscito da un manicomio. Se fosse vera questa versione, a Susanne Bier va assegnato un Oscar alla carogneria.
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