"Giurato Numero 2" (Juror #2) di Clint Eastwood. Con Nicholas Hoult, Toni Collette, Chris Messina, J.K. Simmons, Kiefer Sutherland, Joey Deutch, Leslie Bibb, Gabriel Basso, Amy Aquino e altri. USA 2024 ★★★1/2
Anche alla veneranda età di 94 anni Clint Eastwood conserva una lucidità invidiabile e va dritto al centro della questione, che non è lo stabilire se un imputato è colpevole da parte di una giuria in un classico trial che, almeno da Perry Mason in poi, ci ha familiarizzato con un sistema processuale del tutto estraneo e con aspetti arbitrari, oltre che primitivi, a quello in uso in Europa, che discende dal diritto romano: fa eccezione la Gran Bretagna che, per (auto)-definizione Europa non è, né vuole esserlo, pur immischiandosi, come i suoi eredi oltre Oceano, nelle questioni del Continente. No: la questione è seminare il dubbio e far riflettere sulla questione se i concetti di giustizia e verità coincidano. Il buon vecchio Clint utilizza lo schema del classico Legal Movie per stravolgerlo, e infatti fin dalle primissime scene sappiamo che Justin Kemp, chiamato a far parte della giuria nel processo contro un giovane, James Sythe, già membro di una gang di quartiere e con un rispettabile curriculum di precedenti alle spalle, accusato di aver ucciso la sua ragazza dopo aver litigato con lei in un bar alle porte di Savannah Georgia, averla seguita, picchiata e gettata in un canale, questo durante una notte di pioggia intensa, è il vero responsabile della morte della ragazza, che aveva investito, non avendola vista, e scambiandola per un cervo. Unico testimone indiretto della scena, un anziano che vive in una roulotte e che, con una scarsissima visibilità, aveva visto una macchina fermarsi sul luogo del delitto e uscirne un uomo che potrebbe assomigliare all'imputato. Che del resto è il colpevole perfetto, per cui né la polizia né l'avvocato dell'accusa (una bravissima Toni Collette), a cui il caso capita a fagiolo per le sue ambizioni di farsi eleggere procuratrice, si curano di condurre un'indagine degna di questo nome. Una volta accettato di far parte della giuria, Justin ha una crisi di coscienza rendendosi conto, a posteriori, di essere stato lui il responsabile della morte della ragazza, in quella notte di un anno prima in cui era in crisi e disperato per la morte dei gemelli che la moglie stava per partorire. E' lui il fulcro del film, l'unico nella giuria a seminare il dubbio sulla colpevolezza dell'imputato, oltre all'avvocato d'ufficio (altro non si poteva permettere), convinto della sua innocenza. Anche Justin (Nicholas Hoult, convincente nella parte) ha dei precedenti da non ridere a causa di una pesante dipendenza dall'alcol: ma per lui non contano, perché è Redento, frequenta la chiesa Battista, o Avventista o qualcuna di quelle altre congreghe così diffuse negli USA, è un bravo futuro padre (la moglie, insopportabile, melensa e irritante è tale Zoey Deutch), con un buon lavoro, coscienzioso. "Uno di Noi", uno per bene. Perfino il suo consigliere spirituale, capo della congregazione nonché avvocato, lo convince che, se confessasse la verità (conosciuta, col svolgersi del processo, anche dall'avvocatessa dell'accusa), sarebbe distrutta la vita sua e quella della sua famigliola esemplare. E cosa può scegliere uno zelante membro della comunità WASP di uno Stato del Sud degli Stati Uniti, con un sistema giudiziario da trogloditi? Non so se Eastwood lo abbia fatto di proposito, ma ancora una volta ha messo il dito nella piaga delle tipiche contraddizioni americane: oltre all'ipocrisia, i retaggi della mentalità puritana che sta alla base dell'idea della predestinazione, per cui è sacrosanto che anche un non colpevole paghi perché vi era destinato, mentre per il redento, in altre parole colui che cancella il proprio passato facendo propri i valori dei "giusti", vale la regola che l'uomo è artefice del suo destino. Sempre a Dio piacendo, s'intende. Illuminante, per chi vuole vedere come stanno le cose da quelle parti e le logiche alla base di un sistema che sta fagocitando anche noi.