sabato 11 luglio 2015

Il convitato di pietra e i conti senza l'oste. Americano


Fino a qualche anno fa, quando l'estate era ancora una vera estate, il giallo dell'estate era, per l'appunto, assieme al motivetto-tormentone, l'unico tema collettivo nell'atmosfera di svacco generalizzato indotto dalla calura; poi sono seguiti tre anni di clima autunnale perenne fino a questo 2015 in cui, dopo una primavera secondo i canoni, anche la stagione che la segue da calendario sembra essere tornata a una sua normalità, e con essa le vecchie consuetudini: questa volta si tratta della Grexit e di tutto ciò che chi vi è correlato. Chiunque si sente coinvolto: beninteso non nel dramma di centinaia di migliaia di pensionati e disoccupati ellenici ridotti alla fame e a necessitare di aiuti di emergenza, come pietosamente riconoscono e si accingono a organizzare perfino gli affossatori dell'economia del Paese, ma nella discussione sul referendum indetto per domenica scorsa da Alexis Tsipras, sul suo esito, sulle t-shirt e gli zainetti dell'ex ministro delle Finanze Varoufakis come sull'ammontare del debito e sull'avanzo primario, se sia auspicabile o meno l'uscita della Grecia dall'area-euro oppure no e, più in generale, se abbia senso un'unione dominata unicamente da un'ottica finanziario-bancaria di stampo liberista a oltranza o vi sia spazio per una visione alternativa e permeata dalla politica (quale, non si sa). Come diceva Flaiano, la situazione è grave ma non è seria, e chiunque si improvvisa esperto: perfino un idiota da competizione come il nostro presidente del Consiglio, che giusto una settimana fa sentenziava, a proposito del referendum greco, trattarsi di un derby tra euro e dracma (lo sottolineo soltanto con l'intento di ricordare ai gentili lettori chi sia alla guida del nostro Paese, titolare di un debito pubblico che, fatte le proporzioni, è significativamente superiore a quello dei nostri vicini sull'altro lato dello Ionio, 312 miliardi di euro su 11 milioni di abitanti loro, 2194 miliardi su 60 milioni di abitanti noi). Insomma, se ne sentono di tutti i colori, ognuno fa le proprie analisi, ipotesi, profezie, su basi più o meno fondate, ma nessuno, perlomeno tra quelli che hanno spazio sui media nostrani ma anche stranieri, che parta da una semplice considerazione sul ruolo sempre decisivo che, nelle vicende che riguardano l'Unione (cosiddetta) Europea, ha l'Amico Americano, soprattutto dopo la "caduta del Muro" nel 1989. Non che prima fosse irrilevante: dal 1945 la parte occidentale del Continente è sempre stata di fatto occupata militarmente dagli USA: direttamente, come Germania e Italia, oppure attraverso la NATO, con la sola eccezione parziale della Svizzera, dell'Austria, della Finlandia e della Francia gollista e poi mitterrendiana (fino al rientro all'ovile sotto la presidenza Sarkozy nel 2009), e con questo la mirabolante "costruzione europea" ha da sempre dovuto fare i conti; ma la presenza del "nemico ideologico" ai confini ha fatto sì che da parte del manovratore, chiamiamolo così, fosse consentita l'adozione di un modello capitalistico con varianti regionali di quella che è stata denominata "economia sociale di mercato", fatta passare come un marchio di fabbrica europeo e andata in frantumi, progressivamente, a partire appunto dal 1989, non casualmente in contemporanea con l'espansione della NATO verso Oriente, e sostituita dal neoliberismo globalizzato che è ormai diventato il modello unico da esportare su scala mondiale (se necessario con le armi e con i droni). Per il resto, gli USA sono sempre stati ostili alla formazione di un'entità europea politicamente (e militarmente) autonoma e pertanto potenzialmente concorrenziale, sul piano economico come su quello dei "valori", tant'è vero che hanno prima caldeggiato l'ingresso nella CE della loro Quinta Colonna per definizione, la Gran Bretagna, e poi man mano il suo allargamento a dismisura fino agli attuali 28 stati membri dell'attuale UE, sponsorizzado non a caso l'adesione perfino della Turchia (per quanto crassamente ignoranti in questioni storiche e geografiche, il divide et impera dei romani, così sapientemente utilizzato dai loro parenti inglesi, è stato applicato, nel caso europeo, alla perfezione). In sostanza: quel che interessa agli USA è avere un'Europa, che è pur sempre il mercato più ricco al mondo, politicamente insignificante, militarmente irrilevante (salvo per quanto riguarda il finanziamento delle spese della NATO e gli acquisti di armi USA), economicamente e culturalmente omogenea (a tutto questo provvederà in una volta sola la prossima entrata in vigore, ovviamente senza sentire il parere degli europei, del TTIP) in più con una moneta manovrabile dall'esterno (infatti quando serviva a rilanciare l'export e quindi l'economia USA abbiamo avuto un euro sopravvalutato, mentre ora che quest'emergenza è venuta meno e il petrolio è a buon mercato il dollaro è scambiato quasi alla pari con l'euro) a questo provvedono i propri uomini di paglia come ad esempio Mario Draghi, non a caso già vicepresidente e managing director della Goldman Sachs International prima di diventare presidente della BCE, ossia l'uomo che ha la parola decisiva per quanto riguarda la permanenza o meno della Grecia nell'area euro. Ora: è sufficiente prendere in mano una cartina geografica per capire che l'ipotesi di una Grecia, la quale è pur sempre un membro della NATO, che in caso di conflitto con Bruxelles guardi a Est, verso Mosca, a cui è culturalmente e storicamente legata dai tempi di Bisanzio, magari per interposta Serbia (ricordate i bombardamenti NATO del 1999?), non sia esattamente gradita a chi siede alla Casa Bianca: perdere una pedina nel "grande gioco" proprio quando ne ha piazzata una a ridosso della Russia in Ucraina sarebbe catastrofico. E allora ecco che si torna al tavolo della trattativa e una soluzione, anche dopo il massiccio OXI di domenica scorsa (o forse anche grazie a esso?) risulta a un tratto possibile. Difficile credere che non ci sia lo zampino di Washington, per quanto abbia operato sotto traccia, con insolita discrezione, eppure le prese di posizione del FMI, casualmente a guida franco-americana, a favore di una ristrutturazione del debito (leggi: taglio) significavano pure qualcosa e le direttive saranno pure venute da qualche parte, prima di essere partorite dal fervido ingegno di Christine Lagarde oppure no? Però ben pochi se ne sono accorti e meno ancora ne hanno scritto. In realtà, quando si conciona di costruzione europea, valori fondativi, democrazia nelle decisioni, modelli alternativi di sviluppo, solidarietà tra i popoli (?), giustizia sociale e quant'altro ho sempre l'impressione che si parli a vanvera: quando va bene, buone e belle intenzioni ma senza fare i conti con l'oste, ossia il convitato di pietra. Morale: è vero che non contiamo un cazzo, però non per questo dobbiamo smetterla di farci sentire e di ribadire che non ci stiamo a essere presi per il culo.

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