giovedì 9 luglio 2009

Da Kaunas alla Pomerania attraverso i Laghi Masuri

Municipio di KaunasGRUDZIADZ (Polonia) – Lasciata Vilnius questa mattina, per una volta imbroccando subito la direttrice per Kaunas grazie a un’indicazione piazzata a pochi incroci dalla via dell’albergo, preventivamente individuata e che non ci ha risparmiato una escursione nell’intrico di raccordi che ci avrebbero infine condotti sulla superstrada, siamo giunti a metà mattinata nella seconda città del Paese, poco meno grande della capitale ma infinitamente più dimessa e, in parte, desolante e all'apparenza priva di vita. La città si trova alla confluenza tra i fiumi Nemunas e Neris e il centro storico, situato nella penisola che ne risulta, coincide con il perimetro della fortezza che, nel XIV secolo, resistette per oltre cinquant’anni ai continui attacchi dei cavalieri dell’Ordine Teutonico, che conquistandola avrebbero potuto dominare un territorio ininterrotto dall’Estonia alla Prussia orientale, e congiunto i possedimenti di quest’ultima con quelli della Livonia a Nord-Est. Dal 1440 fu annessa alla Lega Anseatica e la sua importanza commerciale crebbe di conseguenza. Nel 1795 passò alla Russia e divenne capoluogo di un Governatorato fino ad assumere il ruolo, in seguito all’occupazione di Vilnius da parte della Polonia (che non è solo stata vittima, nel corso della sua storia, come vuole accreditarsi, ma a sua volta aggressore), di capitale dello Stato lituano tra il 1920 e il 1940, ed essere nuovamente contesa tra russi e tedeschi nel corso della Seconda Guerra Mondiale. La visita è stata rapida, anche perché non è che vi sia moltissimo da vedere: il lungo viale pedonalizzato che divide in due il centro porta da un lato dalla cattedrale di San Pietro e Paolo all’ex Palazzo Presidenziale; dall’altro da quest’ultimo alla bella piazza dell’ex municipio (nella foto in alto), costruito a partire dal 1542, con una torre campanaria alta oltre 50 metri che lo fa assomigliare a una chiesa, simile a quella vera al suo lato, dedicata a San Francesco; a poca distanza, quella di San Giorgio, parte di un monastero cistercense. Affacciata al Nemunas, la chiesa di San Vito. A Est si estende la città nuova, sviluppatasi a partire dal XIX secolo, decisamente meno attraente. Una torre ricostruita e una parte delle mura e del fossato sono ciò che resta del Castello di Kaunas, ossia quel che rimane dell’antica città fortificata. A pochi chilometri dal centro, il “Nono Forte”, costruito nell’Ottocento come fortificazione dai russi e trasformato dai nazisti in campo di concentramento, dove furono sterminate almeno 80 mila persone, tra cui quasi tutta la popolazione ebraica della città. Nel Dopoguerra i sovietici completarono l’opera, utilizzandolo come prigione e luogo delle esecuzioni. Per mancanza di tempo, abbiamo dovuto saltarne la visita. Seconda in tutto rispetto alla capitale, per certi versi come Milano nei confronti di Roma (e mi viene un groppo allo stomaco a dirlo), Kaunas primeggia però nello sport: la squadra di calcio del FBK Kaunas è la più titolata del Paese così come la più celebre Žalgiris della pallacanestro, di cui fu stella, e ora presidente e maggiore azionista, il fenomenale gigante Arvidas Sabonis, probabilmente il migliore “centro” europeo di sempre, che gli appassionati sicuramente ricorderanno. Infine, nell’ultima sosta in terra lituana, e quindi occasione possibile, siamo riusciti a entrare in possesso di due bottiglie di midus, l’idromele di cui andavano ghiotte le popolazioni medievali, prodotto dalla benemerita Stakliskes con il procedimento originale, che avevamo cercato invano a Vilnius. Per acquistarle abbiamo dovuto fare buon viso di fronte all’incredibile scortesia e maleducazione della vecchia, orrida e acida bottegaia che gestisce l’emporio. Nel contempo, però, le abbiamo sbolognato gli ultimi Altarino a Michael Jackson - Kaunaslitas rimastici in tasca, investendoli in un acquisto fondamentale quanto prezioso. Di fronte al negozio, un grazioso altarino innalzato a Michael Jackson (foto a sinistra). Da Kaunas sono soltanto un’ottantina i chilometri al confine con la Polonia, e all’inizio della via crucis costituita dalle sue strade. Attraversarla a una velocità media superiore ai 50 all’ora è un’impresa titanica e, fino a questa sera, ci siamo riusciti. Via crucis in senso letterale, per la profusione di croci e statue di Madonne lungo il percorso e in senso figurato, perché un Paese così bello e interessante non si merita una rete viaria così malridotta, la peggiore che abbia sperimentato nel Continente dopo quella romena (a esclusione di quella della Russia, che ho qualche perplessità a considerare propriamente Europa). Alla strettezza delle carreggiate si aggiungono la sconnessione della pavimentazione, le indicazioni mancanti e, quando presenti, spesso demenziali nonché lo stile di guida degli indigeni, che definire carente è un complimento. E’ caratterizzato dall’originale “svolta polacca”, quella a destra in particolare, la cui manovra inizia con l’azionamento della freccia di segnalazione, nei casi fortunati, e dal simultaneo spostamento della vettura che precede nella carreggiata opposta, ossia in senso contrario a quello indicato dai lampeggianti, e dalla brusca sterzata a dritta, interrotta da un colpo di freni quando la vettura è in posizione obliqua rispetto a chi segue, pressoché sulla tangente del paraurti sinistro. Se il guidatore dell'automezzo che precede è un cretino assoluto, in assenza di segni di vita da parte degli indicatori di direzione, sarete convinti che stia preparandosi a sorpassare il veicolo che precede: ebbene, nel 20% dei casi non è così. Estote parati. Sempre. Un altro suggerimento è quello di prendere in considerazione le strade secondarie rispetto alle statali: l’estate è periodo di grandi cantieri sulla viabilità principale e in questo modo eviterete lunghe attese ai semafori mobili e, al contempo, l’esasperante  attraversamento dei centri più importanti. Grazie a questa scelta che si è rilevata geniale abbiamo avuto modo di goderci appieno i panoramiLaghi masuri davvero incantevoli della zona dei Laghi Masuri (da qui il probabile etimo della mazurka, cfr foto a destra), luogo di una delle prime battaglie sul fronte orientale durante la Grande Guerra, un’area di circa 50 mila chilometri quadrati a Est della Vistola, chiamata anche “Regione dei Mille Laghi” (in realtà i bacini sono oltre duemila), una specie di Finlandia a Sud del Baltici che fino al 1945 faceva parte della Prussia Orientale così come l’exclave russa di Kaliningrad, ovvero  la tedesca Königsberg, patria di Immanuel Kant. Il che spiega in buona parte la presenza relativamente massiccia di turisti germanici. Insignificante più ancora che brutto il capoluogo Olsztyn, abbiamo deciso di proseguire fino a Grudziadz, già parte del voivodato di Cuiavia-Pomerania, e fare tappa in questo centro, che si trova su una delle direttrici principali del Paese, la Statale n° 5 che collega da Nord a Sud Danzica a Poznan e Wroklaw (Breslavia), crocevia verso la Germania e la Repubblica Ceca. Grudziadz, pur dotata di un piacevole centro storico pedonalizzato, e nonostante abbia oltre 100 mila abitanti, alle otto di sera sembra una città fantasma se non fosse per la presenza di personaggi dall’aspetto vagamente inquietante, a cui bisogna pur rivolgersi per cercare di ottenere qualche indicazione al fine di trovare un albergo e un luogo di ristorazione vista la totale assenza di segnaletica. Alla fine non si riveleranno nemmeno malintenzionati o insidiosi, soltanto un po’ strani e completamente digiuni di qualsiasi idioma straniero, salvo, in un caso su dieci, di qualche rudimento di tedesco. Stessa situazione nell’unico locale aperto che non fosse soltanto una pizzeria, dove abbiamo dovuto improvvisarci glottologi per cercare di scovare comuni radici indoeuropee nelle parole stampate sul menù rigorosamente in polacco, ed è tornato utile il fondamentale linguaggio dei gesti, in cui noialtri italiani siamo particolarmente versati, considerata le generale insipienza nelle lingue straniere mediamente pari a quella degli indigeni di Grudziaz. Ci è andata bene: il risultato sono stati una cotoletta impanata per il “Segretario” e un sapido polpettone in sugo di  selvaggina e aneto, che però si chiama ingannevolmente “kotlett”, per me. Immancabili e squisite le patate, fritte (e non surgelate e precotte) oltre al cavolo cappuccio, ai cetrioli e al pomodoro pallido, che qui chiamano insalata. Ottima come sempre la birra, e da queste parti la fa da padrone la “Zubr”, che significa bisonte, e dà il nome anche a una celebre vodka polacca. Come dessert delle ricche omelette alle mele con abbondante cannella, deliziose. Il conto, come sempre in questo Paese, decisamente leggero rispetto ai livelli deliranti a cui siamo abituati nella Terra dei Cachi. 

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