venerdì 20 dicembre 2024

Il corpo

"Il corpo" di Vincenzo Alfieri. Con Giuseppe Battiston, Claudia Gerini, Andrea Di Luigi, Andrea Sartoretti, Amanda Campana, Rebecca Sisti e altri. Italia 2024 ★★★+

Versione italiana del noir spagnolo El cuerpo di Oriol Paulo, del 2012, il terzo lungometraggio del regista, attore, sceneggiatore e montatore Vincenzo Alfieri mette senza dubbio in rsalto il mestiere di quest'ultimo, nonostante la giovane età: prodotto che usa tutti gli stilemi del genere, dall'atmosfera cupa, piovosa e quasi esclusivamente notturna all'ambientazione tra l'obitorio di un istituto di medicina legale, la casa di lusso e la altrettanto patinata sede del gruppo farmaceutico di cui era proprietaria Rebecca Zuin, il cui corpo, appunto, è scomparso dalla cella frigorifera della camera mortuaria dopo che è stata trovata senza vita, non si sa se per cause naturali o meno. A condurre le indagini è l'ispettore Cosser che, per chi ha visto la recente serie RAI tratta dai romanzi di Fulvio Ervas e che vede protagonista lo stesso Giuseppe Battiston, è la versione incazzata e incattivita dell'ispettore Stucky, che ancora non ha superato la morte dell'adorata moglie in un tragico incidente stradale di 5 anni prima a causa dell'omissione di soccorso da parte dei colpevoli. Investigatore a cui Bruno, il marito più giovane di Rebecca e che le subentrerà nel patrimonio nonché alla guida dell'azienda, fin dal primo incontro non va per niente a genio: ambiguo, donnaiolo, carrierista, il tipico rampante, capisce subito che si è fatto impalmare dalla riccona per interesse; del resto anche per Rebecca il giovane e oscuro assistente universitario di chimica industriale era una sorta di giocattolo e spesso vittima di scherzi piuttosto pesanti. I sospetti sul tipo si infittiscono sia per il suo comportamento e le sue omissioni sia, e soprattutto, perché il misterioso e rocambolesco trafugamento del cadavere appare sempre più congegnato per fare sparire l'oggetto del reato: senza cadavere è ben difficile provare il delitto, ma diventano certezza quando si scopre che la donna era stata avvelenata con un ritrovato che si utilizza in azienda dopo il rinvenimento del suo cadavere. Cosser ci aveva visto giusto, e Bruno viene condannato a 25 anni per omicidio. Ci aveva visto giusto anche Diana, la figlia di Cosser, che aveva avuto una relazione con Bruno, ma non dico cosa e perché: ci penserà il padre poliziotto a spiegarlo, all'uxoricida impietrito, quando dopo altri 5 anni va a trovarlo in carcere, dove gli altri detenuti gli riservano un trattamento adeguato a chi commette reati non ammessi nel codice della malavita e a chiarire così la situazione all'inclito pubblico. Ed è un bel colpo di scena. A cui si arriva in maniera forse un po' macchinosa e a tratti poco plausibile, ma il meccanismo funziona se si rimane col fiato sospeso fino all'ultimo e alla fine sorpresi e spiazzati dal finale. E soddisfatti. Battiston su tutti, ma nella parte anche Gerini (Rebecca) e Di Luigi (Bruno) che riesce a risultare decisamente odioso, e Sartoretti, che interpreta Mancini, l'assistente di Cosser, l'unico equilibrato della compagnia.

martedì 17 dicembre 2024

La stanza accanto

"La stanza accanto" (The Room Next Door) di Pedro Almodóvar. Con Julianne Moore, Tilda Swinton, John Turturro, Alessandro Nivola, Melina Matthews, Juan Diego Botto, Raúl Arevalo e altri. Spagna, 2024 ★★★★1/2

Ridotta col tempo la presenza in sala, a causa della diminuzione dell'offerta, in concomitanza con lo scadimento della qualità media, cosicché per distrarsi aumenta la fruizione delle serie televisive, cercando col lanternino quelle valide: in mancanza di grandi novità, al cinema la scelta prevalente è quella di andare sul sicuro, e questo spiega anche perché i "voti", in questa sede, siano ultimamente sono mediamente alti. Come nel caso di Pedro Almodóvar, a 75 anni al suo primo film in lingua inglese, con cui ha vinto il Leone d'oro per la miglior regìa nell'ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia, dopo avere ricevuto quello alla carriera. Un film lucido, essenziale, che ha per tema la morte, o meglio: il diritto di scegliere il momento di uscire dignitosamente la vita (abbandonare il party, dice una delle due splendide protagoniste, Martha, interpretata da una algida Tilda Swinton), e l'amicizia. Già colleghe di lavoro e sodali, in una rivista d'avanguardia nella New York degli anni Ottanta, Martha e Ingrid, Julianne Moore, si incontrano di nuovo quando quest'ultima, che sta traslocando nuovamente in città dopo anni trascorsi a Parigi, alla presentazione di un suo libro viene a sapere che l'altra è malata: un cancro alla cervice, e decide di andarla a trovare in ospedale. Il loro rapporto, già molto intenso, riprende da dove era iniziato: Ingrid, scrittrice di successo, nel suo ultimo lavoro racconta di come non riesca a concepire la morte; Martha, invece, l'ha affrontata e attraversata durante tutta la sua carriera di corrispondente di guerra, per la quale ha rinunciato a fare la moglie e, soprattutto la madre di una figlia che non ha mai saputo chi fosse il padre e con cui ha un pessimo rapporto. In seguito a un peggioramento delle sue condizioni dopo aver intrapreso una cura sperimentale, è proprio a Ingrid che Martha chiede di starle vicina, e precisamente "nella stanza accanto", nel momento in cui deciderà che sia giunto il momento di chiudere la partita, essendosi già procurata, nel dark web, una pillola per togliersi la vita. Non di assisterla o aiutarla in qualsiasi maniera, ben conscia dei rischi legali che l'amica correrebbe per avere agevolato il suicidio. Conscia di come la pensi, Ingrid non è nemmeno la "prima scelta" di Martha tra le persone a cui ha fatto questa richiesta, e dopo averne parlato anche con Damian già amico e anche al tempo amante di entrambe, John Turturro, in due brevi ma significativi camei, Ingrid accetta. Nella prima parte del film le due amiche ripercorrono le loro rispettive vite, anche in forma di flash backe l'appartamento di Martha, con una splendida vista sul fiume, con tutto quel che contiene ne è il contenitore; ma quando la decisione è presa, decidono di spostarsi fuori città in un luogo più asettico, senza ricordi, elegante e confortevole: immersa nella natura nelle vicinanze di Woodstock, la villa che scelgono ricorda quelle di Frank Lloyd Wright. In attesa che Martha decida quando sia giunto il momento, unico segnale sarà la porta della sua stanza lasciata aperta, i dialoghi serrati tra le due donne, così diverse tra loro, sono esemplari, intensi quanto lo è il loro rispetto reciproco, tra tensione e leggerezza, caldi e pieni di di affetto ma anche lucidi e crudi. Come la vita e la morte, del resto. Il finale non si racconta, ma è di una delicatezza poetica. Un film esemplare per come è costruito, girato, interpretato, con una fotografia eccezionale e una colonna sonora originale perfetta. Senza fronzoli, diretto, sincero. Senz'altro da vedere. 

sabato 14 dicembre 2024

Napoli-New York

"Napoli-New York" di Gabriele Salvatores. Con Pierfrancesco Favino, Dea Lanzaro, Antonio Guerra (I), Omar Benson Miller, Anna Ammirati, Anna Lucia Pierro, Tomas Arana, Antonio Catania e altri. Italia 2024 ★★★★1/2

Riprendere in mano un soggetto irrealizzato da Federico Fellini e Tullio Pinelli, una sorta di fiaba realistica, ricavarne una sceneggiatura e farne un film più che convincente poteva riuscire soltanto a Gabriele Salvatores, forte della sua esperienza teatrale negli adattamenti dei testi, e di una capacità rara di lavorare con bambini e adolescenti, dono che hanno solo registi sensibili e capaci di empatia. Protagonisti sono Celestina, una bambina orfana rimasta senza tetto e senza la zia che l'accudiva, morta per il crollo di una casa rasa al suolo dallo scoppio di una bomba inesplosa, lascito della guerra da poco conclusa (siamo a Napoli nel 1949) e Carmine, l'unica persona rimastale, poco più grande di lei, che vive di espedienti così come pressoché tutta la città nell'immediato dopoguerra. Fregato da un cuoco nero di una nave passeggeri americana che aveva aiutato a vendere della merce illegale, insieme all'amica riesce a salire a bordo della nave per recuperare il compenso pattuito, ma il bastimento riparte con i due a bordo, soluzione che a Celestina va bene perché a New York, dove è diretto, vive Agnese, che vi era andata per raggiungere l'americano che aveva promesso di sposarla. I due compiono così la traversata da clandestini, finendo per essere scoperti dal commissario di bordo, Domenico Garofalo, un italoamericano burbero ma che non ha dimenticato le sue origini, che alla fine li protegge e li aiuta a sbarcare di nascosto senza consegnarli alla polizia. Evitano così le umiliazioni che toccano alle centinaia di connazionali a Ellis Island, dove si trovava il centro dei controlli per l'immigrazione, e finiscono inghiottiti dalla grande città, dove li aspetta una serie di mirabolanti avventure, ma non riescono a trovare Agnese, finché la bimba, che si è ne frattempo persa, non scopre che la sorella si trova in prigione. Tralascio il motivo, ma Carmine, a Little Italy, riesce a rintracciare Garofalo, che lo ospita assieme alla moglie e, con l'aiuto della comunità italiana, riescono a ritrovare Celestina e poi a impedire una dura condanna ad Agnese. Una fiaba, dunque, a lieto fine, ma niente di mieloso e stucchevole: l'avranno vinta la cazzimma e la dignità dello scugnizzo, il buon senso, per una volta l'umanità. E, in futuro, forse l'amore: il finale lascia tutte le porte aperte, così come il cuore degli spettatori. A smentire le menate degli incontentabili e schizzinosi (iper)critici di professione sono sufficienti i volti sorridenti e rilassati del numeroso pubblico in sala, segno che ancora una volta Salvatores ha fatto centro. Interpretazioni da manuale, a cominciare dai due protagonisti, da Favino e dalla Ammirati, sua moglie nel film, e di Antonio Catania, vecchio storico sodale del regista. Mano sicura, fotografia notevole e, come sempre, colonna sonora all'altezza, come si conviene al fondatore, con Ferdinando Bruni, del sempre benemerito Teatro dell'Elfo di Milano.

lunedì 9 dicembre 2024

Berlinguer - La grande ambizione

"Berlinguer - La grande ambizione" di Andrea Segre. Con Elio Germano, Elena Radoncich, Stefano Abbati, Paolo Calabresi, Francesco Acquaroli, Andrea Pennacchi, Fabio Bussotti, Giorgio Tirabassi, Fabrizia  Sacchi, Roberto Citran, Paolo Pierobon, Pierluigi Corallo. Italia 2024 ★★★★1/2

Sono stato indeciso fino all'ultimo se andare a vedere o meno l'ultimo lavoro di Andrea Segre, che ripercorre alcuni anni cruciali nella vita e nella storia ormai non più tanto recente italiana, dal 1973 al 1978, attraverso quella dell'allora segretario del più grande partito comunista dell'Occidente, Enrico Berlinguer. Il timore di assistere a un "santino" era troppo forte, e conoscendo per esperienza l'inclinazione al culto della personalità a cui indulgevano i suiveurs del PCI e dintorni, che Segre, in quanto documentarista tra i più validi avrebbe certamente consultato, ne paventavo il risultato. Le critiche che leggevo alla sua uscita erano contrastanti: a Luciana Castellina era piaciuto il film ma non il ritratto "politico" di un uomo che aveva conosciuto molto bene di persona; Nanni Moretti, che non parla mai a caso, aveva fatto notare che "se Andrea Segre ed Elio Gemano avessero avuto vent'anni nel 1973 avrebbero odiato il compromesso storico". Io, come il buon Nanni, li avevo e concordo in pieno, così come non condividevo per niente la maggior parte delle scelte di Berlinguer. E non ho cambiato parere nemmeno dopo 50 anni. Ma la stima per Segre, che ho seguito dai suoi primi lavori e mai mi aveva deluso, e quella per Elio Germano, uno dei migliori attori in attività, di cui condivido anche le idee, erano tali che, negli ultimi giorni di programmazione in sala, mi sono finalmente deciso. E "santino" non è stato. Nessuna apologia del politico e nessuna santificazione dell'uomo, che comunque condivideva la stima della stragrande maggioranza degli italiani, perché nessuno (nemmeno i fascisti, a cominciare da Almirante) mai ha messo in dubbio la sua moralità, misura, correttezza e di cui trasparivano onestà, timidezza, serietà ma anche una certa vena scherzosa e ironica: era un uomo, non una macchietta, come altri personaggi dell'epoca, che comunque rispetto agli attuali protagonisti di una scena politica di raro squallore, giganteggiavano. Inframmezzato da filmati d'epoca (me ne aspettavo di più) La grande ambizione racconta la vita di Berlinguer tra famiglia e partito, nei momento cruciali di quel quinquennio, dalle riflessioni sulla possibilità che le cose in Italia andassero come in Cile se il PCI fosse arrivato al governo attraverso il voto, da cui la necessità di allearsi non tanto e non solo con i cattolici in quanto tali, ma con quella Democrazia Cristiana, dove Moro e le correnti di sinistra erano l'eccezione, e non la regola; il tentativo da parte dei servizi segreti bulgari di eliminarlo durante un viaggio a Sofia; la vicenda del divorzio e la clamorosa avanzata di consensi alle elezioni amministrative del 1975 e poi alle politiche del 1976, dopo l'intervento, a Mosca, al 25° Congresso del PCUS e relativo "strappo", quando il PCI raggiunse il 34% dei voti; il 1977 e la dura contestazione da parte del Movimento del 1977; sullo sfondo lo stillicidio degli attentati orchestrati da fascisti e servizi più o meno deviati e le incessanti manovre di questi ultimi; infine il sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse proprio nel giorno, il 16 marzo del 1978, in cui al Parlamento era prevista la presentazione del programma del quarto governo Andreotti: il precedente aveva goduto della "non sfiducia" da parte del PCI, questo del suo appoggio esterno, ma diretto. Non che la base, e buona parte del partito ne fosse convinta: e questo risulta anche dal film, che non giustifica per nulla le scelte del segretario comunista, a cominciare da quella sua accettazione dell'"ombrello" della NATO, che era qualcosa di più della semplice constatazione della situazione di fatto, che mal si concilia con la  coscienza, che pure aveva, che gli USA non avrebbero mai accettato la presenza dei comunisti italiani al governo, come risulta evidente anche dall'esito della vicenda Moro, quando, coerentemente con sue idee (e contro quelle di buona parte della popolazione nonché delle altre forze di sinistra, quella parlamentare del PSI e quella nelle piazze e fuori dai palazzi) schierò il PCI contro ogni trattativa con i rapitori (e quella del contrasto ai nemici "a sinistra" è sempre stata una fissazione di quel partito). Insomma la "Grande ambizione" del titolo non esclude le ambiguità del personaggio, almeno sul piano politico, né l'estrema complessità del periodo in questione. Alla fine trovo il film molto equilibrato, che non trancia giudizi, capace di rendere piuttosto bene l'aria che tirava e lo spirito del tempo, oltre che, se non soprattutto, dell'uomo Berlinguer reso dal protagonista del film. Ché l'interpretazione che ne fa Elio Germano è tra le sue migliori ed efficaci, da fuoriclasse, ma non scherzano nemmeno i colleghi che danno il volto al resto dello stato maggiore del Partitone, alcuni dei quali ho avuto modo di vedere e anche conoscere dal vero, tutti resi in maniera assai credibile, anche se mancano Pajetta e Amendola, tra i più rappresentativi. Insomma bravissimi tutti a cominciare da Andrea Segre, che ha fugato tutti i miei dubbi preventivi e che a me non sembra proprio aver amato, a posteriori e pregiudizialmente, il compromesso storico. Traspare, invece, l'abisso di partecipazione (e di speranza) con il giorno d'oggi.