lunedì 29 agosto 2022

200 metri

"200 metri" (200 Meters) di Ameen Nayef. Con Ali Suliman, Lana Zreik, Anna Unterberger, Motaz Malhees, Mahmud Abu Eita, Nabil al A Raee, Samia Bakri, Ghassan Abbas e altri. Palestina, Giordania, Qatar, Italia, Svezia 2020 ★★★1/2

Vincitore del premio del pubblico alle Giornate degli Autori due anni fa a Venezia e giunto nelle sale soltanto ora, 200 metri sancisce il lusinghiero esordio alla regìa del palestinese Ameen Nayef, che riesce a raccontare attraverso una storia emblematica della vita di tutti i giorni del protagonista il dramma delle popolazioni arabe della Cisgiordania, in particolare coloro che abitano a ridosso degli inquietanti e vergognosi muri eretti dagli israeliani con la scusa di proteggere Gerusalemme dall'infiltrazione di terroristi e, di fatto, gli insediamenti abusivi a macchia di leopardo dei loro coloni, nonché con lo scopo di rendere sempre più complicata l'esistenza dei residenti locali, che peraltro in buona parte lavorano nel territorio dello Stato Ebraico, al di là degli sbarramenti. E' il caso di Mustafa, che vive con la madre in una casa a ridosso del muro perché si è sempre rifiutato di chiedere i documenti israeliani di residenza a differenza della moglie Salwa che, per accudire al meglio la clientela ebraica, ha perfino affittato un appartamento, dove vive coi tre figli (il minore controvoglia), esattamente dall'altra parte dello sbarramento: 200 sono per l'appunto i metri che li separano (talvolta anche le le celle dei gestori telefonico vanno in sovrapposizione o si confondono) e quando scende la sera, prima di andare a dormire, si salutano accendendo e spegnendo le luci. Anche Mustafa, che con tutta evidenza è un uomo di buona cultura, di cui si ignorano storia e precedenti, spesso va in Israele per lavoro, soprattutto a prestare la sua opera in cantieri edili assieme a un amico capomastro e sottoponendosi ogni volta a una faticosa e umiliante trafila di controlli, ma la sera rientra regolarmente in Cisgiordania, finché un bel giorno anche il permesso di lavoro gli scade e proprio in quel frangente viene avvertito che il figlio più piccolo si trova in un ospedale a Gerusalemme dopo essere stato investito da un'automobile. E' così costretto a ricorrere, come tanti, a un trafficante (di merce di contrabbando, anche umana), attività fiorente in quella zona ibrida dove, come in tutte le situazioni simili di ipercontrollo, in realtà terra di nessuno, l'illegalità e la delinquenza prosperano, e così inizia l'avventura che nel giro di una dozzina di ore lo porta a percorrere 200 chilometri, invece dei 200 metri del titolo, su e giù per i "Territori" per raggiungere la sua faimglia, cambiando mezzo da un furgone carico di altri "irregolari" a una macchina con targa israeliana, per cui meno soggetta a controlli pedanti ai vari posti di blocco, nonché compagni di ventura, tra cui un ragazzo diciottenne che conosce un luogo in cui il muro è meno difficile da superare (presidiato però da farabutti locali che pretendono il "pizzo" e lo menano mandandolo a sua volta in ospedale) e una coppia bizzarra, Kiffah, un giovane palestinese "bene" dall'aspetto europeo e Anne, sedicente regista tedesca a cui fa da interprete, che testardamente usa la fotocamera anche nei frangenti più inopportuni allo scopo di documentare l'assurdità della situazione, tra militarizzazione, traffici, posti di blocco, insediamenti di coloni ortodossi e varia umanità. Ci sarà una sorpresa, oltre alla conferma del fatto che Mustafa è uno che la sa lunga, e il gruppo, ridotto a tre persone (oltre a lui Anne e Kifah) giunge a Gerusalemme senza ulteriori danni e Mustafa al capezzale del figlio. Una storia della quotidiana follia che si vive in posti dove ci si rifiuta di dialogare sul serio e di capirsi, quando spesso a livello personale le cose vanno in tutt'altra maniera, ma si sa che chi detiene il potere, un qualsiasi potere, non ragiona come un essere umano che si confronta col prossimo e con la realtà di tutti i giorni. Il lavoro di Ameen Nayef pecca naturalmente di qualche ingenuità, a tratti è un po' didascalico e alcuni caratteri sono tratteggiati grossolanamente, ma gli intenti chiaramente politici e di denuncia non sono urlati né esplicitati dogmaticamente, bensì attraverso l'immedesimazione che lo spettatore prova immergendosi nella quotidianità di un uomo e della sua famiglia in una realtà non troppo lontana dalla nostra. 

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