sabato 30 luglio 2022

I Tuttofare

"I Tuttofare" (Sis Dies Corrents) di Neus Ballús. Con Mohamend Mellali, Valero Escolar, Pep Sarrá, Paqi Becerra, Pere Codorníu e altri. Spagna 2021 ★★★

In 85', tanto dura I Tuttofare, ho dato un'occhiata all'orologio 5 volte e, all'uscita della sala, dove mi trovavo in beata solitudine nel tardo pomeriggio di ieri, la prima reazione è stata: un film inutile, al di là di avermi fatto trascorrere un'ora e mezzo al fresco. Ragionandoci sopra, non del tutto: la regista catalana è riuscita nell'intento di girare una commedia in cui non succede assolutamente nulla usando uno stile prettamente documentaristico e facendo interpretare sé stessi e la propria attività tre tizi che sono per davvero degli idraulici-elettricisti, di fatto quei preziosi aggiusta-tutto dei quali c'è sempre un disperato bisogno, di cui uno effettivamente in pensione: Valero è il corpulento marito della proprietaria nonché amministratrice di un'impresa famigliare, Pep il collega che sta per andare ritirarsi e Moha (Mohamed) un trentenne marocchino candidato a sostituirlo, e che è anche la voce narrante della storia, che è quella della sua settimana di prova. I capitoli sono sei, quanti i giorni lavorativi, tanti quanti saranno necessari perché il burbero ma ciarliero Valero, un classico bauscia (termine milanese che sta per sbruffone), superi i suoi pregiudizi nei confronti del potenziale nuovo collega, cosa che avverrà il settimo giorno quando Moha lo manderà finalmente affanculo dicendogli quel che pensa davvero di lui e "conquistandolo". In realtà a "lavorarlo" saranno già stati da un lato Pep, che agisce come mediatore e lo conosce (e sopporta) da una vita, e dall'altro Paqi, che sa come trattare il marito: entrambi riflettono, a tutta evidenza, la posizione della regista, che ha il pregio di non abbandonarsi al banale e triste dogma del "politicamente corretto" raccontando con occhio divertito una vicenda di pregiudizi (reciproci) ma anche il tentativo di integrazione da parte del giovane marocchino in una realtà, come quella catalana (siamo a Barcellona) dove gli indigeni già a fatica sopportano gli immigrati dalle altre regioni della Spagna per il solo fatto che parlano castigliano, figurarsi un nord africano, e invece Moha prende perfino lezioni di quest'altra lingua. E poi c'è la particolarità di un lavoro, quello dei tre personaggi, che li fa entrare nella quotidianità e intimità delle vite altrui, e così un giorno capitano nell'abitazione di un centenario maniaco della ginnastica e dell'alimentazione naturale, un altro di un ragazzo alle prese con la fidanzata che lo lascia e due sorelle minori incontrollabili che finiscono per chiudere Valero e Moha sul terrazzo; quello successivo a casa di una fotografa di moda che convince Moha a posare per lei; un altro ancora nella casa-studio di uno psichiatra pazzo almeno quanto i suoi pazienti, e infine in una enorme cucina dove un gruppo di muratori ha combinato disastri lavorando, come si suol dire, "col culo" facendo indignare i tre Tuttofare e fino a venire alle mani con loro. Le giornate terminano  invariabilmente nel bar di quartiere a raccontarsela su sui fatti salienti davanti a una birra, con gran sofferenza di Valero a cui tocca berla analcolica perché perennemente a dieta. Non si capisce neanche bene come finisca la storia perché non ha importanza: è la vita di tutti i giorni che scorre davanti ai nostri occhi, dove non ci sono eroi né avvenimenti strabilianti. E alla fine il film ha comunque un suo perché, forse perché è strambo e imprevedibilmente prevedibile, sicuramente originale e alla fine l'ho rivalutato: si può fare. 

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