"La vita davanti a sé" di Edoardo Ponti. Con Sophia Loren, Ibrahima Gueye, Renato Carpentieri, Abril Zamora, Babak Karim, Diego Iosif Pirvu, Massimiliano Rossi e altro. Italia, USA 2020 ★★½
Ora: si può capire (fino a un certo punto) ma non giustificare sempre e comunque ciò che spinge chi è nato e cresciuto in un determinato ambiente, in questo caso quello cinematografico, a seguire in qualche modo le orme dei propri genitori, in questo caso un mito come Sophia Loren e un peso massimo tra i produttori come Carlo Ponti, e la scelta di proporre, con il medesimo titolo, il rifacimento di un film che fu premiato con l'Oscar come migliore film straniero come pretesto di riportare sulle scene l'augusta genitrice nel ruolo che fu di Simone Signoret conferma la mancanza di idee di un regista che al suo attivo ha ben poco salvo una pellicola dimenticabile come Cuori estranei del lontano 2002, che fu un buco nell'acqua nonostante il prestigioso cast (sempre con mammà protagonista). Come se non bastasse, la classica vicenda di perdizione e riscatto ambientata non si sa perché a Bari Vecchia quando avrebbe trovato una sede ancora più credibile a Napoli nel rione Sanità o nei Quartieri Spagnoli, viste le origini di Loren e Carpentieri, si inserisce nell'ormai invasiva onda buonista, ma almeno Ponti non la cavalca e l'ottimo Ibrahima Gueye che dà vita a Momò, il dodicenne senegalese rimasto orfano che viene affidato alle cure di una anziana ex prostituta ebrea cui le sue ex colleghe affidano i loro figli, mostra anche le numerose ombre e i lati inquietanti e non soltanto le luci del ragazzino. Momò, nella prima scena del film, scippa proprio Madame Rosà, la Loren, di due candelabri d'argento, cosa che viene scoperta dal dottor Cohen, amico di vecchia data e correligionario di Madame Rosà, il quale, dopo averle fatto restituire il maltolto, la convince a curarsi per un paio di mesi del giovane discolo, non essendo in grado di stargli dietro, per evitare che finisca nelle grinfie, invero pericolosissime di questi tempi, dei servizi sociali. Il nucleo del film è l'evoluzione dei rapporti tra Momò e l'anziana donna, indurita da una vita in cui ne ha viste di tutte, a cominciare da un soggiorno ad Auschwitz da bambina di cui porta il marchio sul braccio e nell'anima, inizialmente conflittuali ma alla fine di complicità; di pari passo il percorso di "redenzione" dell'adolescente, da piccolo spacciatore ingegnoso e di successo ad aiuto artigiano e, forse, sulla via di un futuro impostato sulla parola e dunque sullo studio, come gli suggerisce Hamil (babak Karim), un collezionista di libri e oggetti antichi ridotto a vendere souvenir di plastica prodotti in Cina, cui Madame Rosà lo affida qualche pomeriggio a settimana come aiutante per togliere Momò dalla strada; altri personaggi di contorno ma riusciti sono il copensionante Joseph e la trans Lola (Abril Zamora). Il fatto è che, nonostante la poca o nessuna originalità la scelta degli interpreti è perfetta, la prova della Loren sempre magistrale anche nella distaccata citazione di sé stessa nei vari ruoli che ha interpretato in carriera, la vicenda stranamente credibile e il luogocomunismo buonista sotto controllo, col risultato che il film si fa guardare pur essendo appena discreto, e assai migliore di quelli più recenti (e ben più costosi, sconclusionati e peggio interpretati come il pretenzioso The Midnight Sky), proposti ultimamente da Netflix.
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