Curioso: l'anno scorso la 31ª edizione del festival dedicato alla cinematografia dell'Europa Centro Orientale era stata l'ultima manifestazione pubblica a cui avevo partecipato prima dell'inizio della quarantena da Covid/19 e, nonostante le quotidiane trasferte a Trieste, due ore e mezzo almeno fra andata e ritorno, non avevo nessun problema a scrivere un post sui film che avevo visto il giorno precedente; quest'anno, in streaming, beatamente spaparanzato tra poltrona o divano di casa (invece delle scomodissime e anguste sedute del Rossetti), al caldo e con generi di conforto a portata di mano e la possibilità di mettere in pausa il film in visione, l'ispirazione è pressoché nulla. Un motivo ci sarà, e non sta soltanto nella qualità delle proposte, comunque più che discreta visto quel che passa il convento in questi tempi grami. Certo: dopo aver scelto di trasmettere, nella serata d'apertura di giovedì scorso, niente meno che il geniale Underground di Emir Kusturica (1995), per di più goduto in lingua originale, le aspettative erano altissime, ed è stata dura adeguarsi alla più mesta proposizione di opere perlopiù intimistiche, alcune delle quali di una lentezza talvolta esasperante, in un caso un pippone cervellotico e insopportabile come Desatskisi/L'inizio della georgiana Dea Kulumbegashvili, l'ultimo dei 13 in concorso, in programmazione ieri sera, a mio parere il peggiore della lista: al confronto dei più, le tre ore del capolavoro del regista serbo sono sembrate un lampo. Al di là della situazione contingente di semireclusione e della sensazione di essere in balìa di eventi e di personaggi fuori controllo, è che non riesco proprio a concepire il cinema fuori dal contesto delle sale a esso deputate, e lo stesso mi capita anche col calcio e con la musica: a malapena riesco a tenere la radio accesa come sottofondo, la mattina e non oltre l'ora di pranzo, per non parlare del teatro, inguardabile su qualsivoglia schermo. Quindi mi passa anche la voglia di parlarne e in questa occasione mi limiterò a fare un accenno ai cinque film che ho apprezzato di più: è anche un gioco per verificare se avrò avuto ragione nel ritenere che tra essi uscirà quello premiato nella sezione lungometraggi, mentre di "corti" e documentari mi sono limitato a vedere quelli che più mi ispiravano, e fra essi segnalo O jednoj mladosti/C'era una volta un giovane del croato Ivan Ramljak, in memoria del fotografo e videomaker Marko Čaklović, suo coetaneo e amico fraterno, che racconta la generazione perduta della Zagabria degli anni Novanta.
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