venerdì 29 maggio 2020

Favolacce

"Favolacce" di Fabio e Damiano D'Innocenzo. Con Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Tommaso Di Cola, Giulietta Rebeggiani, Barbara Ronchi, Max Malatesta, Giulia Melillo, Cristina Pellegrino, Gabriel Montesi, Justin Korovkin, Ileana D'Ambra, Lino Musella; voce narrante Max Tortora. Italia, Svizzera 2020 ★★★★+
Una graditissima conferma quella dei gemelli D'Innocenzo, al secondo film dopo l'ottimo esordio, due anni fa, con La terra dell'abbastanza, con cui avevano già dimostrato di possedere un linguaggio cinematografico originale e variegato, che sfrutta tutte le potenzialità del mezzo, e cambiando completamente genere, da un racconto tutto sommato lineare e realistico a una favola nera, a tratti irriverente e stralunata, introdotta e parzialmente commentata da una voce narrante (Max Tortora, già presente nel cast del film precedente) che finge di leggere da un diario lasciato da un preadolescente una sorta di cronaca degli accadimenti che portano a un epilogo che finisce all'onore delle cronache televisive come "i tragici fatti dello Spinaceto". Siamo dalla parte opposta di Roma rispetto a Ponte di Nona, dov'era ambientato La terra dell'abbastanza, in un quartiere di villette  con giardinetto che sembra finto per quanto somiglia agli analoghi americani, abitato da famigliole di apparente normalità ma di inquietante quanto lugubre mediocrità che si manifesta fin dalla scena iniziale: una cena tra due coppie di vicini che in realtà si detestano, entrambe con figli, quella degli ospiti con difficoltà di apprendimento, gli due, altri fratello e sorella, ospitanti, che recitano con finta compunzione le loro pagelle "tutti 10" (tranne il 9 in condotta della piccola, fetente ragazzina). Basta questo per dare il via a un film surreale, circolare, senza punti di riferimento temporali (gli episodi si svolgono nel corso di un'estate che sembra eterna), stralunato, disturbante, sospeso tra sogno e bassa materialità; che descrive il vuoto pneumatico di esistenze che si trascinano tra rancori, senso di impotenza, meschinità; rapporti fasulli e sempre sull'orlo di esplodere tra coniugi che non hanno nulla da dirsi e da fare; madri di una passività sconcertante, padri frustrati e isterici, incapaci di assumere un qualsiasi ruolo propositivo e figli pressoché afasici che tentano di crearsi un mondo loro e alternativo e trovano il loro punto di riferimento in un insegnante che mi ha fatto tornare in mente l'impiegato descritto da Fabrizio De André ne Il bombarolo. C'è una terza coppia di personaggi, tra i 12 la cui interazione viene raccontata in episodi almeno apparentemente slegati tra loro: un padre semideficiente, molto più immaturo del silenzioso figlio con cui convive in una specie di prefabbricato ai margini della comunità dei villini di cui vorrebbe fare parte, a completare il quadro di un'umanità che lascia ben poche speranze: i due autori, pur descrivendo una realtà malsana, lo fanno con uno sguardo beffardo. Un appunto avevo fatto a La terra dell'abbondanza: che non fossero forniti dei sottotitoli per il romanesco spurio e pressoché inintellegibile utilizzato dagli interpreti, ma qui le parole (a parte quelle della voce narrante), spesso mormorate, non sono importanti: dicono tutto sguardi e movenze degli attori, tutti all'altezza, affiatati, scelti con cura ed estremamente efficaci. Essere stati in grado di scegliere quelli giusti e averli amalgamati è un altro merito dei due "gemelli terribili". Vedo un grande futuro, per i D'Innocenzo. Che per fortuna di innocente non hanno nulla, e sanno essere beffardamente cattivi. 

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