"I morti non muoiono" (The Dead Don't Die) di Jim Jarmusch. Con Bill Murray, Adam Driver, Chloë Savigny, Tilda Swinton, Steve Buscemi, Tom Waits, Danny Glover, Caleb Landry Jones, Selena Gomez, Iggy Pop e altri. USA 2019 ★★★½
I morti non muoiono: e infatti, a causa della smagnetizzazione dei Poli, risultato delle devastazioni ambientali a cui è sottoposto il pianeta, l'asse di rotazione della terra è mutato e una delle conseguenze è la loro uscita in massa dalle tombe, a nutrirsi di carne umana e a rinnovare il famelico consumo, per lo più indotto, di tutti quegli oggetti che erano stati la loro fissazione quand'erano vivi, dallo chardonnay allo smartphone, dal wi-fi alla TV via cavo, dall'automobile agli psicofarmaci, dalla chitarra al caffè (quella brodaglia immonda che gli americani ingurgitano a litri: irresistibile Iggy Pop in versione zombie, che non ne ha mai abbastanza); in compenso a essere sostanzialmente morti, e comunque senza speranza, sono i vivi. Jarmusch, da sempre una sorta di poeta delle piccole cose, sceglie come punto d'osservazione un piccolo centro dell'Ohio, Centerville, 738 abitanti, "un posto tranquillo", come recita il cartello all'ingresso della cittadina, che è un microcosmo di ciò che sono gli Stati Uniti (e non solo) e per raccontare il disgusto che prova per come sia ridotto il mondo in cui viviamo (anzi: consumiamo) usa una parabola nonché il cliché dei morti viventi, potendo così anche prodursi in numerose citazioni cinematografiche (a cominciare da George Romero) e confezionando un film stralunato, grottesco, sfruttando un cast di prim'ordine per caratterizzare, con pochi tocchi, una galleria di personaggi-tipo che riassumono un po' tutta l'umanità. Che "finirà male" lo dice fin dall'inizio il giovane poliziotto Ronnie (Adam Driver, già protagonista dell'ultimo, bellissimo film di Jarmusch, Paterson) quando, di ronda col suo capo Cliff, un imperturbabile e umanissimo Bill Murray (mai abbastanza utilizzato dal cinema USA), si accorge che l'alternanza giorno-notte è stata stravolta: entrambi sembrano rassegnati al peggio, per quanto combattano con ogni mezzo i morti viventi (per eliminarli completamente occorre mozzare loro la testa, che poi va in fumo), ma tutti quanti i personaggi che abitano la cittadina, dal benzinaio al proprietario del Motel; dal ferramenta nero alle due donne che lavorano al Diner al farmer razzista sembrano correre verso l'ineluttabile: fanno eccezione Bob (Tom Waits, l'eremita che da anni vive nei boschi e assiste alla rovina che sempre previsto), tre ragazzini ospiti di un reclusorio minorile che riescono a dileguarsi in mezzo alla confusione e la neoproprietaria delle pompe funebri, uno bizzarro personaggio giunto dalla Scozia che si esprime con un linguaggio strano, che di morti se ne intende e sotto le cui sembianze si nasconde una donna-samurai (Tilda Swinton, e il riferimento a Kill Bill è evidente). Una fiaba amara, insomma, dove comunque si riesce a ridere; un film curioso e inconsueto, che può facilmente suscitare reazioni opposte: a me è piaciuto, perché il messaggio giunge forte e chiaro, Jarmusch i film li sa girare e gli interpreti sono tutti molto bravi e in parte.
I morti non muoiono: e infatti, a causa della smagnetizzazione dei Poli, risultato delle devastazioni ambientali a cui è sottoposto il pianeta, l'asse di rotazione della terra è mutato e una delle conseguenze è la loro uscita in massa dalle tombe, a nutrirsi di carne umana e a rinnovare il famelico consumo, per lo più indotto, di tutti quegli oggetti che erano stati la loro fissazione quand'erano vivi, dallo chardonnay allo smartphone, dal wi-fi alla TV via cavo, dall'automobile agli psicofarmaci, dalla chitarra al caffè (quella brodaglia immonda che gli americani ingurgitano a litri: irresistibile Iggy Pop in versione zombie, che non ne ha mai abbastanza); in compenso a essere sostanzialmente morti, e comunque senza speranza, sono i vivi. Jarmusch, da sempre una sorta di poeta delle piccole cose, sceglie come punto d'osservazione un piccolo centro dell'Ohio, Centerville, 738 abitanti, "un posto tranquillo", come recita il cartello all'ingresso della cittadina, che è un microcosmo di ciò che sono gli Stati Uniti (e non solo) e per raccontare il disgusto che prova per come sia ridotto il mondo in cui viviamo (anzi: consumiamo) usa una parabola nonché il cliché dei morti viventi, potendo così anche prodursi in numerose citazioni cinematografiche (a cominciare da George Romero) e confezionando un film stralunato, grottesco, sfruttando un cast di prim'ordine per caratterizzare, con pochi tocchi, una galleria di personaggi-tipo che riassumono un po' tutta l'umanità. Che "finirà male" lo dice fin dall'inizio il giovane poliziotto Ronnie (Adam Driver, già protagonista dell'ultimo, bellissimo film di Jarmusch, Paterson) quando, di ronda col suo capo Cliff, un imperturbabile e umanissimo Bill Murray (mai abbastanza utilizzato dal cinema USA), si accorge che l'alternanza giorno-notte è stata stravolta: entrambi sembrano rassegnati al peggio, per quanto combattano con ogni mezzo i morti viventi (per eliminarli completamente occorre mozzare loro la testa, che poi va in fumo), ma tutti quanti i personaggi che abitano la cittadina, dal benzinaio al proprietario del Motel; dal ferramenta nero alle due donne che lavorano al Diner al farmer razzista sembrano correre verso l'ineluttabile: fanno eccezione Bob (Tom Waits, l'eremita che da anni vive nei boschi e assiste alla rovina che sempre previsto), tre ragazzini ospiti di un reclusorio minorile che riescono a dileguarsi in mezzo alla confusione e la neoproprietaria delle pompe funebri, uno bizzarro personaggio giunto dalla Scozia che si esprime con un linguaggio strano, che di morti se ne intende e sotto le cui sembianze si nasconde una donna-samurai (Tilda Swinton, e il riferimento a Kill Bill è evidente). Una fiaba amara, insomma, dove comunque si riesce a ridere; un film curioso e inconsueto, che può facilmente suscitare reazioni opposte: a me è piaciuto, perché il messaggio giunge forte e chiaro, Jarmusch i film li sa girare e gli interpreti sono tutti molto bravi e in parte.
In qualche modo bisogna pur ridurre la popolazione spropositata che popola il pianeta, altro che consumismo, qui si tratta di sopravvivenza e i dominanti la sfangano sempre sui dominati. Quindi sono sempre gli stessi che lo prendono in quel posto.
RispondiEliminaViva Tom!