Juliet, Naked - Tutta un'altra musica (Juliet, Naked) di Jesse Peretz. Con Rose Byrne, Ethan Hawke, Chris O'Dowd, Azhy Robertson, Lily Brazier, Ayoola Smart, Megan Dodds e altri. GB 2018 ★★★-
Dei romanzi di Nick Hornby, come dei film tratti dai suoi libri, anche quando, come in questo caso, non è direttamente coinvolto nella sceneggiatura e sono diretti da un regista (prevalentemente televisivo) americano, si può dire che sono come le canzoni di Luciano Ligabue: variazioni sul tema, che invariabilmente è quello di una generazione, quella che era giovane tra gli anni Ottanta e i primi Novanta, incapace di diventare adulta e rimasta sotto quasi ogni aspetto allo stato adolescenziale; si parla ovviamente dell'ambiente in qualche modo legato al mondo della scuola e/o della musica, diciamo piccola borghesia intellettuale mediamente progressista e mai davvero trasgressiva o ribelle, che non ha mai avuto grossi problemi di sostentamento. E che, ormai arrivata all'età del dattero, va avanti a sorridere compiaciuta di sé stessa e delle proprie piccole manie e debolezze, che si trasformano in tormentoni capaci di tenere in piedi una storia o, in questo caso, una commedia leggera, innocua, gradevole, carina. Quest'ultimo, a seconda delle occasioni, un aggettivo pari a un insulto, che vale una stroncatura in questo ambito, ma non in questo caso, poiché rimango del parere che ogni film vada contestualizzato in sede di critica e valutato in base a due parametri: l'occasione, ossia il momento in cui lo si vede, e le aspettative che si nutrivano. L'occasione è stato un caldo sabato pomeriggio udinese, con metà degli abitanti che si sono trasferiti sul litorale adriatico per il primo vero fine settimana estivo e l'altra metà ad affollare il centro storico all'ora del taj e degli aperitivi: in questi casi, in attesa di una birra gelata quando sul clar della sera le temperature tornano gradevoli, rifugiarsi al fresco di una sala cinematografica è la soluzione migliore. Ann, direttrice di un piccolo museo naturalistico in una cittadina balneare dell'Inghilterra meridionale, sulle soglie dei 40, ha una relazione, abitudinaria come la sua vita, con Duncan, un insegnante più o meno coetaneo che tiene un blog per i pochi fan di un'oscura star dell'indie pop statunitense anni Novanta, Tucker Crowe, scomparsa nel nulla dopo un unico disco di (relativo) successo, diventato però di culto tra i suoi adepti, che costituiscono una vera e propria setta di cui Duncan è il capo: ne è talmente ossessionato che quando viene in possesso di un demo di quel disco e ne pubblica l'entusiasta recensione, Ann, in via anonima, lo demolisce in un commento che, in privato, viene pienamente approvato dal redivivo Tucker Crowe (Ethan Hawke), un altro Peter Pan attempato come Duncan, che vive da qualche parte in un garage di una delle ex mogli nello Stato di New York con l'ultimo di una serie di figli di cui non si è mai occupato. Chi conosce Hornby avrà già capito tutto il resto, per cui non vado oltre altrimenti tolgo al lettore anche il gusto della sorpresa (si fa per dire, ovviamente). La sceneggiatura è quella che è: valida per una commediola rosa; gli interpreti adatti alle parti (Rose Byrne in verità un po' troppo smorfiosa), tutto politically correct, la colonna sonora impreziosita da una versione non banale di Waterloo Sunset (capolavoro dei Kinks) dello stesso Ethan Hawke giustifica la sufficienza a una pellicola che alla fine, dati "causa e pretesto", è risultata meno peggio di quel che temessi. N.B. il titolo, Juliet Naked, non allude a nulla di erotico, perché il film è castigato come pochi e Rose Byrne sprizza erotismo come una mormone, ma al disco che rese celebre Tucker Crowe.
Dei romanzi di Nick Hornby, come dei film tratti dai suoi libri, anche quando, come in questo caso, non è direttamente coinvolto nella sceneggiatura e sono diretti da un regista (prevalentemente televisivo) americano, si può dire che sono come le canzoni di Luciano Ligabue: variazioni sul tema, che invariabilmente è quello di una generazione, quella che era giovane tra gli anni Ottanta e i primi Novanta, incapace di diventare adulta e rimasta sotto quasi ogni aspetto allo stato adolescenziale; si parla ovviamente dell'ambiente in qualche modo legato al mondo della scuola e/o della musica, diciamo piccola borghesia intellettuale mediamente progressista e mai davvero trasgressiva o ribelle, che non ha mai avuto grossi problemi di sostentamento. E che, ormai arrivata all'età del dattero, va avanti a sorridere compiaciuta di sé stessa e delle proprie piccole manie e debolezze, che si trasformano in tormentoni capaci di tenere in piedi una storia o, in questo caso, una commedia leggera, innocua, gradevole, carina. Quest'ultimo, a seconda delle occasioni, un aggettivo pari a un insulto, che vale una stroncatura in questo ambito, ma non in questo caso, poiché rimango del parere che ogni film vada contestualizzato in sede di critica e valutato in base a due parametri: l'occasione, ossia il momento in cui lo si vede, e le aspettative che si nutrivano. L'occasione è stato un caldo sabato pomeriggio udinese, con metà degli abitanti che si sono trasferiti sul litorale adriatico per il primo vero fine settimana estivo e l'altra metà ad affollare il centro storico all'ora del taj e degli aperitivi: in questi casi, in attesa di una birra gelata quando sul clar della sera le temperature tornano gradevoli, rifugiarsi al fresco di una sala cinematografica è la soluzione migliore. Ann, direttrice di un piccolo museo naturalistico in una cittadina balneare dell'Inghilterra meridionale, sulle soglie dei 40, ha una relazione, abitudinaria come la sua vita, con Duncan, un insegnante più o meno coetaneo che tiene un blog per i pochi fan di un'oscura star dell'indie pop statunitense anni Novanta, Tucker Crowe, scomparsa nel nulla dopo un unico disco di (relativo) successo, diventato però di culto tra i suoi adepti, che costituiscono una vera e propria setta di cui Duncan è il capo: ne è talmente ossessionato che quando viene in possesso di un demo di quel disco e ne pubblica l'entusiasta recensione, Ann, in via anonima, lo demolisce in un commento che, in privato, viene pienamente approvato dal redivivo Tucker Crowe (Ethan Hawke), un altro Peter Pan attempato come Duncan, che vive da qualche parte in un garage di una delle ex mogli nello Stato di New York con l'ultimo di una serie di figli di cui non si è mai occupato. Chi conosce Hornby avrà già capito tutto il resto, per cui non vado oltre altrimenti tolgo al lettore anche il gusto della sorpresa (si fa per dire, ovviamente). La sceneggiatura è quella che è: valida per una commediola rosa; gli interpreti adatti alle parti (Rose Byrne in verità un po' troppo smorfiosa), tutto politically correct, la colonna sonora impreziosita da una versione non banale di Waterloo Sunset (capolavoro dei Kinks) dello stesso Ethan Hawke giustifica la sufficienza a una pellicola che alla fine, dati "causa e pretesto", è risultata meno peggio di quel che temessi. N.B. il titolo, Juliet Naked, non allude a nulla di erotico, perché il film è castigato come pochi e Rose Byrne sprizza erotismo come una mormone, ma al disco che rese celebre Tucker Crowe.
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