"Mr Ove" (A Man Called Ove) di Hannes Holm. Con Rolf Lassgard, Bahar Pars, Ida Engvoll, Filip Berg, Catharina Larsson, Börje Lundberg, Tobias Almborg, Zoza Akgün. Svezia 2015 ★★½
Non mi sento di essere più generoso con questo film di buoni sentimenti, ma in salsa scandinava, benché l'interpretazione di Rolf Lassgard, alias commissario Kurt Wallander, nei panni di Mr Ove, un burbero e scorbutico auto-prepensionato 59enne, ferreo tutore del regolamento di un quartierino di villette alla periferia di una qualche grande città svedese, confermi che si tratti di un attore coi fiocchi. Di bisbetici domati è pieno il teatro, a cominciare da Shakespeare, come il cinema, e se in questa pellicola è apprezzabile la critica alla invadente stupidità della burocrazia di Stato, di cui Mr Ove è acerrimo nemico fin da quando gli creò infiniti intralci alla costruzione di una rampa d'accesso per disabili per consentire alla propria amata moglie, Sonja, rimasta paralizzata in un incidente, di andare a insegnare, quello che alla fine stanca è l'eccessiva sottolineatura dell'inverosimile accumulo di disgrazie che si accanisce su questo pover'uomo, che all'inizio viene dipinto come un ossessivo rompicoglioni, una versione condominiale del classico umarell, ma il cui passato giustifica ampiamente l'evoluzione, venendo evocato in corso d'opera in successivi flash-back sempre più prolissi e tediosi, fino farlo diventare, nei fatti, un film a episodi. A ritroso: è rimasto vedovo da poco; si è autolicenziato dal posto nelle Ferrovie che aveva ereditato dal padre (così come la dedizione alle Saab), morto sul lavoro travolto da un treno; si è sentito in colpa per tutta la vita perché la moglie, per di più incinta all'ottavo mese, è rimasta vittima di un altro incidente viario, questa volta in Spagna e per colpa di un autista ubriaco rimanendo paralizzata alle gambe; la casa di famiglia, che aveva amorevolmente restaurato, è bruciata in un incendio causato dall'idiozia dei vicini; era bambino quando perse la madre, venendo cresciuto da un padre timido... Una vita segnata: invariabilmente, ogni tentativo di suicidio, da quello con la corda a quello con il gas di scarico dell'auto, nel tentativo di evadere dall'imbecillità che lo circonda e di raggiungere la Sonja in un altrove più sopportabile va a vuoto perché a distrarlo e salvarlo involontariamente è la nuova vicina, Parvaneh, una giovane donna di origina iraniana, incinta e con due figlie, sposata con uno svedese più imbranato e stolido della media dei suoi connazionali. Siccome è un film svedese, il protagonista, non appena tornato "umano", ovviamente muore nel momento stesso in cui si è riappacificato con la vita e col prossimo, gatti compresi. Al solito, un inno alla gioia, alla voglia di vivere e all'ottimismo: dalle parti di Stoccolma, salvo eccezioni rarissime, riescono a fare diventare tetre perfino le commedie.
Non mi sento di essere più generoso con questo film di buoni sentimenti, ma in salsa scandinava, benché l'interpretazione di Rolf Lassgard, alias commissario Kurt Wallander, nei panni di Mr Ove, un burbero e scorbutico auto-prepensionato 59enne, ferreo tutore del regolamento di un quartierino di villette alla periferia di una qualche grande città svedese, confermi che si tratti di un attore coi fiocchi. Di bisbetici domati è pieno il teatro, a cominciare da Shakespeare, come il cinema, e se in questa pellicola è apprezzabile la critica alla invadente stupidità della burocrazia di Stato, di cui Mr Ove è acerrimo nemico fin da quando gli creò infiniti intralci alla costruzione di una rampa d'accesso per disabili per consentire alla propria amata moglie, Sonja, rimasta paralizzata in un incidente, di andare a insegnare, quello che alla fine stanca è l'eccessiva sottolineatura dell'inverosimile accumulo di disgrazie che si accanisce su questo pover'uomo, che all'inizio viene dipinto come un ossessivo rompicoglioni, una versione condominiale del classico umarell, ma il cui passato giustifica ampiamente l'evoluzione, venendo evocato in corso d'opera in successivi flash-back sempre più prolissi e tediosi, fino farlo diventare, nei fatti, un film a episodi. A ritroso: è rimasto vedovo da poco; si è autolicenziato dal posto nelle Ferrovie che aveva ereditato dal padre (così come la dedizione alle Saab), morto sul lavoro travolto da un treno; si è sentito in colpa per tutta la vita perché la moglie, per di più incinta all'ottavo mese, è rimasta vittima di un altro incidente viario, questa volta in Spagna e per colpa di un autista ubriaco rimanendo paralizzata alle gambe; la casa di famiglia, che aveva amorevolmente restaurato, è bruciata in un incendio causato dall'idiozia dei vicini; era bambino quando perse la madre, venendo cresciuto da un padre timido... Una vita segnata: invariabilmente, ogni tentativo di suicidio, da quello con la corda a quello con il gas di scarico dell'auto, nel tentativo di evadere dall'imbecillità che lo circonda e di raggiungere la Sonja in un altrove più sopportabile va a vuoto perché a distrarlo e salvarlo involontariamente è la nuova vicina, Parvaneh, una giovane donna di origina iraniana, incinta e con due figlie, sposata con uno svedese più imbranato e stolido della media dei suoi connazionali. Siccome è un film svedese, il protagonista, non appena tornato "umano", ovviamente muore nel momento stesso in cui si è riappacificato con la vita e col prossimo, gatti compresi. Al solito, un inno alla gioia, alla voglia di vivere e all'ottimismo: dalle parti di Stoccolma, salvo eccezioni rarissime, riescono a fare diventare tetre perfino le commedie.
Nessun commento:
Posta un commento