"Most Beautiful Island" di Ana Asensio. Con Ana Asensio, Natasha Romanova, David Little, Nicholas Tucci, Caprice Benedetti e altri. USA 2017 ★★★★
La lettura della sinossi della trama non mi aveva ben disposto nei confronti di questo film, che si basa su fatti veri e dai risvolti autobiografici che riguardano l'autrice, sceneggiatrice e interprete: la spagnola Ana Asensio, nata a Madrid e residente a New York. Racconta le vicende di Luciana, una giovane donna dall'aspetto particolare (una forte somiglianza con Julia Roberts) e un po' inquietante, che si arrabatta in questa città mastodontica, confusionaria, scostante, trasandata scelta per sfuggire a una tragedia che l'ha colpita in patria (pare di capire la perdita di una figlia) e agli incubi che continuano ad assalirla, e che passa da un lavoretto all'altro, ovvero quelli che può consentirle la mancanza della Green Card: distribuire volantini di un fast food travestita da pollo, il baby sitting e simili: quando una conoscente, un'ex modella russa, nelle sue stesse condizioni, le chiede di sostituirla per fare atto di presenza a un party, in cui non le verrà imposto nulla che decida di non fare in cambio di 2000 dollari, che possono raddoppiare nel caso venisse richiamata, Luciana, che l'indomani deve pagare la sua parte d'affitto alla coinquilina, accetta. L'unica condizione è che si procuri un abito elegante e un paio di scarpe adatte. E così Luciana, che per la prima metà del film abbiamo visto aggirarsi nella metropoli sbattendosi in attività improbabili con una certa superficialità e dabbenaggine che finisce per renderla irritante, viene inghiottita in un mondo ambiguo, letteralmente nelle viscere di questa città marcia che milioni di persone si ostinano a vedere come un miraggio, una terra promessa, il luogo per antonomasia in cui tutto è possibile, e quindi perfetto per "svoltare" (motivo per cui in generale non suscitano la mia simpatia. La domanda che viene spontanea è: se hai problemi a Madrid, o in Messico, o in Guatemala, per dire, proprio negli USA devi andare, dove ti tratteranno peggio di uno schiavo? E dove se fallisci ti diranno che è solo colpa tua e che quindi è quello che ti meriti? Non riesci proprio a immaginarti un Paese diverso in cui cominciare una nuova vita, invece di quello che più di ogni altro ha contribuito a ridurre il pianeta nello stato in cui è ora?). A che prezzo, però: Ana Asensio lo racconta nella forma del thriller psicologico, ché in questo si trasforma la pellicola nella seconda parte e, come dispone la locandina italiana, non è il caso che mi metta a raccontare il finale, e nemmeno lasci trapelare troppi indizi. Posso soltanto garantire che non c'è alcun riferimento sessuale, come ci si potrebbe aspettare, o qualcosa che abbia a che vedere con la pornografia o la prostituzione, se non in senso molto traslato: molto peggio. Unico avvertimento: meglio che si astenga dalla visione chi soffre di aracnofobia. La durata è di soli 80 minuti ma quando si è bravi e si hanno idee buone, bastano e avanzano. Un gioiellino di intelligenza, dove la perfezione nell'interpretazione è completamente superflua, anzi: non c'entrerebbe nulla. Bene la prima, verrebbe da dire con la grande Mina.
La lettura della sinossi della trama non mi aveva ben disposto nei confronti di questo film, che si basa su fatti veri e dai risvolti autobiografici che riguardano l'autrice, sceneggiatrice e interprete: la spagnola Ana Asensio, nata a Madrid e residente a New York. Racconta le vicende di Luciana, una giovane donna dall'aspetto particolare (una forte somiglianza con Julia Roberts) e un po' inquietante, che si arrabatta in questa città mastodontica, confusionaria, scostante, trasandata scelta per sfuggire a una tragedia che l'ha colpita in patria (pare di capire la perdita di una figlia) e agli incubi che continuano ad assalirla, e che passa da un lavoretto all'altro, ovvero quelli che può consentirle la mancanza della Green Card: distribuire volantini di un fast food travestita da pollo, il baby sitting e simili: quando una conoscente, un'ex modella russa, nelle sue stesse condizioni, le chiede di sostituirla per fare atto di presenza a un party, in cui non le verrà imposto nulla che decida di non fare in cambio di 2000 dollari, che possono raddoppiare nel caso venisse richiamata, Luciana, che l'indomani deve pagare la sua parte d'affitto alla coinquilina, accetta. L'unica condizione è che si procuri un abito elegante e un paio di scarpe adatte. E così Luciana, che per la prima metà del film abbiamo visto aggirarsi nella metropoli sbattendosi in attività improbabili con una certa superficialità e dabbenaggine che finisce per renderla irritante, viene inghiottita in un mondo ambiguo, letteralmente nelle viscere di questa città marcia che milioni di persone si ostinano a vedere come un miraggio, una terra promessa, il luogo per antonomasia in cui tutto è possibile, e quindi perfetto per "svoltare" (motivo per cui in generale non suscitano la mia simpatia. La domanda che viene spontanea è: se hai problemi a Madrid, o in Messico, o in Guatemala, per dire, proprio negli USA devi andare, dove ti tratteranno peggio di uno schiavo? E dove se fallisci ti diranno che è solo colpa tua e che quindi è quello che ti meriti? Non riesci proprio a immaginarti un Paese diverso in cui cominciare una nuova vita, invece di quello che più di ogni altro ha contribuito a ridurre il pianeta nello stato in cui è ora?). A che prezzo, però: Ana Asensio lo racconta nella forma del thriller psicologico, ché in questo si trasforma la pellicola nella seconda parte e, come dispone la locandina italiana, non è il caso che mi metta a raccontare il finale, e nemmeno lasci trapelare troppi indizi. Posso soltanto garantire che non c'è alcun riferimento sessuale, come ci si potrebbe aspettare, o qualcosa che abbia a che vedere con la pornografia o la prostituzione, se non in senso molto traslato: molto peggio. Unico avvertimento: meglio che si astenga dalla visione chi soffre di aracnofobia. La durata è di soli 80 minuti ma quando si è bravi e si hanno idee buone, bastano e avanzano. Un gioiellino di intelligenza, dove la perfezione nell'interpretazione è completamente superflua, anzi: non c'entrerebbe nulla. Bene la prima, verrebbe da dire con la grande Mina.
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