"La vera storia di Olli Mäki" (Hymyilevä mies) di Juho Kuosmanen. Con Jarkko Lahti, Eero Milonoff, Oona Airola, Joanna Haartti, Esko Barquero e altri. Finlandia, Svezia, Germania 2016 ★★★½
Tale è la mia ammirazione per Aki Kaurisimäki, che qualsiasi film arrivi dal suo Paese inevitabilmente attira la mia attenzione, a maggior ragione quando l'autore, Juho Kuosmanen, alla sua prima regìa, afferma di considerarlo il suo punto di riferimento. Le tracce del maestro si vedono, le particolarità che rendono i film finlandesi diversi (come del resto gli abitanti) da quelli degli altri Paesi scandinavi ci sono tutti, a cominciare dalla normalità dei personaggi, gente modesta e semplice, apparentemente stralunati e inermi davanti alle continue assurdità a cui li sottopone l'esistenza, ma in realtà ben presenti a sé stessi a alla propria condizione, che affrontano sempre con grande dignità. Ispirato a una vicenda vera, l'organizzazione, nell'estate del 1962, di un incontro di pugilato valido per la corona mondiale tra il detentore del titolo dei pesi piuma statunitense Davery Moore e lo sfidante finlandese Olli Mäki, chiamato il fornaio di Kokkola, il film ribalta il gusto (si fa per dire) tutto yankee delle epopee sportive alla Rocky, sempre per rimanere in campo pugilistico, ma comune a tutta la saga degli "eroi" americani in qualsiasi campo, che hanno sempre lo scopo di esaltare il "Paese dove tutti hanno la loro grande opportunità" e, sempreché ne accetti la logica del "vinca il più forte", anche il più derelitto ha la sua possibilità di riscatto (una su centomila, ovviamente, ma tanto basta per incantare i gonzi sulle infinite possibilità offerte dall'Ammeriga: da noi funziona con il SuperEnalotto e i Gratta-e-vinci). Non che si passi all'esaltazione del perdente, ché Olli, pur sconfitto per KO al secondo round, alla fine non lo è, ma si rende onore e si elogia la capacità di conservare la propria dimensione e la propria anima dell'antieroe, uno sportivo vero, che solo per amicizia e lealtà al proprio manager si lascia convincere prima a passare professionista e poi a tentare la scalata al titolo più alto (calando fin troppo di peso per rientrare in una categoria che non è la sua naturale) pur rimanendo il più puro dei dilettanti, nel senso stretto del termine. Il vero sconfitto del film è proprio il promoter e procuratore di Olli, un ex pugile di non grande talento che proietta su di lui una sete di rivincita che assume aspetti megalomani: da qui i suoi tentativi di imporgli ritmi di allenamento forzati, comportamenti da "professionista", partecipazione a eventi mondani, concessioni alla pubblicità e ai media, tutto questo mentre il pugile si accorge che tutto quello che desidera è tornare alla sua vita di sempre nella cittadina di provincia dove è nato, cresciuto, vive e lavora e coltivare il suo amore per Raja, la ragazza che frequenta da sempre e di cui è sempre più innamorato e con cui vuole sposarsi. Le situazioni che si verificano in questo goffo e ridicolo tentativo da parte del manager di imporre metodi e mentalità che sono completamente estranei all'ambiente e alla mentalità di Olli sono spesso grottesche e il regista le dipinge con ironia e leggerezza; fanno da contraltare quelle che hanno per protagonisti Olli, Rana quando si trovano sul loro terreno, ché in quelli artefatti della capitale si trovano come pesci fuor d'acqua. La pellicola è girata in un gradevole bianco e nero che rende bene l'epoca in cui si è svolta la vicenda e curiosamente sia il regista sia gli attori che interpretano Olli e Raja vengono da Kokkola, una cittadina a metà del Golfo di Botnia, mentre l'altrettanto bravo Eero Milonoff, il manager, è di Helsinki. Un bel film, positivo, che fa bene allo spirito.
Tale è la mia ammirazione per Aki Kaurisimäki, che qualsiasi film arrivi dal suo Paese inevitabilmente attira la mia attenzione, a maggior ragione quando l'autore, Juho Kuosmanen, alla sua prima regìa, afferma di considerarlo il suo punto di riferimento. Le tracce del maestro si vedono, le particolarità che rendono i film finlandesi diversi (come del resto gli abitanti) da quelli degli altri Paesi scandinavi ci sono tutti, a cominciare dalla normalità dei personaggi, gente modesta e semplice, apparentemente stralunati e inermi davanti alle continue assurdità a cui li sottopone l'esistenza, ma in realtà ben presenti a sé stessi a alla propria condizione, che affrontano sempre con grande dignità. Ispirato a una vicenda vera, l'organizzazione, nell'estate del 1962, di un incontro di pugilato valido per la corona mondiale tra il detentore del titolo dei pesi piuma statunitense Davery Moore e lo sfidante finlandese Olli Mäki, chiamato il fornaio di Kokkola, il film ribalta il gusto (si fa per dire) tutto yankee delle epopee sportive alla Rocky, sempre per rimanere in campo pugilistico, ma comune a tutta la saga degli "eroi" americani in qualsiasi campo, che hanno sempre lo scopo di esaltare il "Paese dove tutti hanno la loro grande opportunità" e, sempreché ne accetti la logica del "vinca il più forte", anche il più derelitto ha la sua possibilità di riscatto (una su centomila, ovviamente, ma tanto basta per incantare i gonzi sulle infinite possibilità offerte dall'Ammeriga: da noi funziona con il SuperEnalotto e i Gratta-e-vinci). Non che si passi all'esaltazione del perdente, ché Olli, pur sconfitto per KO al secondo round, alla fine non lo è, ma si rende onore e si elogia la capacità di conservare la propria dimensione e la propria anima dell'antieroe, uno sportivo vero, che solo per amicizia e lealtà al proprio manager si lascia convincere prima a passare professionista e poi a tentare la scalata al titolo più alto (calando fin troppo di peso per rientrare in una categoria che non è la sua naturale) pur rimanendo il più puro dei dilettanti, nel senso stretto del termine. Il vero sconfitto del film è proprio il promoter e procuratore di Olli, un ex pugile di non grande talento che proietta su di lui una sete di rivincita che assume aspetti megalomani: da qui i suoi tentativi di imporgli ritmi di allenamento forzati, comportamenti da "professionista", partecipazione a eventi mondani, concessioni alla pubblicità e ai media, tutto questo mentre il pugile si accorge che tutto quello che desidera è tornare alla sua vita di sempre nella cittadina di provincia dove è nato, cresciuto, vive e lavora e coltivare il suo amore per Raja, la ragazza che frequenta da sempre e di cui è sempre più innamorato e con cui vuole sposarsi. Le situazioni che si verificano in questo goffo e ridicolo tentativo da parte del manager di imporre metodi e mentalità che sono completamente estranei all'ambiente e alla mentalità di Olli sono spesso grottesche e il regista le dipinge con ironia e leggerezza; fanno da contraltare quelle che hanno per protagonisti Olli, Rana quando si trovano sul loro terreno, ché in quelli artefatti della capitale si trovano come pesci fuor d'acqua. La pellicola è girata in un gradevole bianco e nero che rende bene l'epoca in cui si è svolta la vicenda e curiosamente sia il regista sia gli attori che interpretano Olli e Raja vengono da Kokkola, una cittadina a metà del Golfo di Botnia, mentre l'altrettanto bravo Eero Milonoff, il manager, è di Helsinki. Un bel film, positivo, che fa bene allo spirito.
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