Calma e gesso, piedi in terra, ragionare a mente fredda senza farsi prendere dagli orgasmi e scambiare i desideri con la realtà. E magari sapere di cosa si parla, conoscere un minimo la storia di un Paese e i suoi precedenti. Vale per il cosiddetto Colpo di Stato di stanotte in Turchia, fallito se lo si considera il tentativo da parte di gruppi kemalisti dell'esercito di abbattere il presidente Erdogan; un successo e il via libera verso le definitiva e totale presa del potere da parte di quest'ultimo, anzi: il suo capolavoro. Ma vale anche per gli attentati "terroristici" a ripetizione, ultimo in ordine di tempo quello di venerdì a Nizza, domandarsi, anche, chi se ne giova. Lascio la parola ad Antonio Ferrari, intervistato (o autointervistato?) dal "Corriere della Sera" on line
Che cosa è avvenuto realmente in Turchia? Un golpe?
«Beh, golpe è una parola grossa. Al massimo potremmo definirlo un minigolpe improprio, a scoppio anticipato».
Perché non credi al golpe?
«Primo: perché nella mia vita professionale ho visto tutto e il contrario di tutto, ma un golpe di sole quattro ore non avrei mai potuto immaginarlo, neppure nello stato libero di Bananas. Secondo, ci sono retroscena quasi inquietanti, quantomeno improbabili».
Puoi raccontarli e spiegarli?
«Parto dalle notizie accertate. Ho conosciuto la Turchia trentasei anni fa, e vi sono tornato regolarmente. Ho intervistato tutti i leader politici, compreso il carismatico Recep Tayyip Erdogan, con il quale una volta ho litigato.Tanta frequentazione mi ha consentito di tessere importanti rapporti personali. Insomma, ho fonti credibili e preziosissime. Anche venerdì sera, per telefono, mi hanno messo in guardia».
In che senso?
«Mi hanno fatto capire: attenzione, può essere una sceneggiata. Domani Erdogan sarà più forte di oggi».
Ma ci sono stati circa 200 morti...
«Sì, ma — scusate il cinismo — il bilancio delle vittime è simile a quello dei morti di Ankara durante la manifestazione pacifista. Credete che importi a Erdogan?».
Insomma, cos’è accaduto?
«Noi giornalisti, spesso per vanità o per attrazione fatale della prima Repubblica, tendiamo a preferire l’articolessa e i banali ghirigori old style, sottostimando i fatti. Ma sono i fatti, la sana cronaca, occhi attenti, umiltà e una mente attrezzata a ragionare a fare la differenza. Non mi sono sfuggite e non ne ho ridotto la portata, notizie e informazioni degli ultimi mesi dalla Turchia. La nomina di un nuovo capo del governo, Binali Yildirim, fedelissimo di Erdogan. Personalità grigia ma capace. Improvvisamente il presidente ha aumentato la pressione militare sui curdi in armi del Pkk, intensificando la repressione più violenta. E Yildirim ha annunciato, a tappe ravvicinate: primo, la pace con Israele dopo la rottura seguita all’assalto contro il convoglio navale pacifista turco, al largo di Gaza, costato 9 morti; secondo, una lettera di scuse di Erdogan a Putin, e la pace fatta con la Russia dopo l’abbattimento del cacciabombardiere di Mosca nei cieli della Siria; terzo, la mano tesa al regime siriano, cioè mano tesa a Bashar al Assad, che fino al giorno prima il presidente turco avrebbe fatto ammazzare: al punto che il sultano faceva affari con i tagliagole dell’Isis (petrolio di contrabbando),e portava armi agli estremisti islamici siriani, a partire dal sedicente stato islamico; quarto, rilancio del ruolo della Turchia nella Nato e amicizia perenne con gli Usa».
D’accordo, ma il golpe o minigolpe che c’entra?
«A questo punto abbandoniamo il binario dei fatti comprovati ed entriamo in quello delle ipotesi, supportate però da forti indizi. Le Forze armate turche erano in agitazione, in opposizione a Erdogan, accusato di molte nefandezze: repressione della libertà di stampa, bugie sui profughi, rifiuto di partecipare attivamente alla coalizione internazionale contro il terrorismo. Ma la bassa forza, molti colonnelli e graduati minori non avevano realizzato che gli alti comandi si erano avvicinati al sultano».
Questa bassa forza era pronta ad agire in proprio?
«No, ma era influenzata da Fetullah Gulen, il predicatore sunnita che vive in esilio negli Usa. Un islamico visionario e moderato, amico anzi quasi fratello di Erdogan — o almeno del primo Erdogan. Fu Gulen a spalancare al futuro sultano le porte delle fondazioni più influenti. Gulen è miliardario, controlla scuole, università, ha radici nella magistratura, nei servizi segreti, nella polizia, ed è molto popolare tra i soldati. Forse, i tempi del minigolpe sono stati quelli di una prova di forza».
Innescata da chi?
«Non mi stupirei che la miccia sia stata accesa dallo stesso Erdogan o dai suoi fedelissimi».
Vuoi dire che potrebbe essere un «golpe fasullo»?
«Esattamente. Le mie fonti turche hanno sostenuto questa possibilità».
E il viaggio aereo di Erdogan nei cieli d’Europa?
«Temo che qualcuno, compreso qualche collega, abbia confuso Erdogan con Ocalan. Il leader del Pkk Abdullah Ocalan, che ho intervistato nella valle della Bekaa, fu cacciato dalla Siria e vagò nei cieli in cerca di asilo politico, prima d’essere catturato dai turchi e condannato all’ergastolo.Pensate possibile che Erdogan lanci un appello al popolo invitandolo a scendere nelle strade e di proteggere il Paese, mentre vola su Francoforte, pronto a scendere a Berlino per inginocchiarsi davanti a Merkel supplicando asilo politico? E magari, dopo il no di Merkel, pronto a virare su Londra per comprendere le intenzioni della neopremier May? Ma per favore, solo a pensarci mi vien da ridere. Amici e colleghi, questo è il risultato di non conoscere ciò di cui si parla, magari sbraitando scemenze in un salotto televisivo».
Quindi, secondo te, dov’era il presidente?
«In vacanza, a Marmara. È salito sull’aereo diretto ad Ankara, poi ha preferito dirigersi a Istanbul, avendo saputo che c’erano migliaia di persone ad attenderlo, assonnate ma festanti. Fine del golpe, quattro ore dopo. Ma per cortesia, siamo seri finalmente»
Per te, insomma, è quasi una farsa?
«Se non ci fossero i morti, direi di sì».
Ma a chi ha giovato questo minigolpe, come lo hai chiamato?
«A Erdogan. È molto più forte. Magari spera di avere i voti per cambiare la Costituzione, e trasformare la Turchia in una Repubblica presidenziale».
La tua opinione?
«Spero di no, soprattutto per i miei amici turchi. E per i miei colleghi che in quel Paese rischiano ogni giorno la prigione. Se non peggio».
L'evanescente golpe turco di mezza estate presenta caratteristiche così particolari che, a mia memoria, hanno vaghi precedenti solo in alcuni velleitari pronunciamientos di reparti militari nelle traballanti democrazie sudamericane della prima metà del secolo passato. Erano situazioni in cui bastava che un pugno di generali ordinasse di accendere i motori dei carri armati in alcune caserme, di fare come dicevano, “un poquito de fracaso” (disastro), per intimorire e prendere in ostaggio governi e parlamenti. Viceversa, a impressionare per analogia con ben altro precedente, sono le conseguenze del tentato putsch di Ankara menzionate da pochi giornali. Mi riferisco all’incendio del Reichstag, il Parlamento tedesco, a Berlino nel 1933. Nei pressi la polizia trova, nudo, un comunista olandese. Subito i nazisti accusano lui e l’intero partito e ottengono dal presidente Von Hinderburg un decreto d’emergenza che cancella le libertà e i diritti costituzionali fondamentali e spiana la strada a Hitler.
RispondiEliminaIn Turchia le prime vittime, oltre ai 300 morti di entrambe le parti, sono giovanissimi soldati di leva probabilmente all’oscuro dei piani dei loro superiori, che si lasciano disarmare e vengono denudati, frustati e bastonati da poliziotti e dagli attivisti di Erdogan. Unico diabolico mandante sarebbe Fethullah Gulen, teologo pacifista di 75 anni, cardiopatico e diabetico, ex amico di Erdogan da tempo ospite degli Usa. Tanto basta. In poche ore in tutto il paese si scatena una repressione d’inaudita violenza che colpisce con arresti e licenziamenti in tronco 50mila persone tra militari e magistrati, insegnanti e impiegati pubblici e privati. La folla eccitata dai muezzin e dai giornalisti di regime reclama purghe, pulizia, leggi eccezionali, la messa al bando di ogni dissenso e la pena di morte per i traditori. Erdogan annuncia che non si opporrà e, al timido altolà della cancelliera Merkel, replica che se la pena di morte è bandita in Europa è invece lecita in Russia, in Cina e negli Usa.
Evidentemente il sultano si sente pari ai grandi e ormai se ne frega dei negoziati per l’adesione all’Unione o pensa di tenerla al guinzaglio con i due milioni di profughi siriani stipati nei campi turchi, che quando vuole potrebbe lasciar scappare. Non credo che rinuncerà a tutti i soldi che ha contrattato, semmai ne chiederà di più. GIÀ, l’Europa: se esistesse, i negoziati li avrebbe già interrotti per manifesta impossibilità di far entrare nell’Unione un paese che impone una religione di Stato, perseguita le minoranze, discrimina le donne, gli insegnanti e gli accademici, arresta i giornalisti critici e chiude o sequestra i media indipendenti. Per non parlare dei curdi e delle ambiguità verso l’Isis. Ma quello era solo l’antipasto. Se c’è stato un momento nel passato in cui Erdogan ha davvero pensato di pagare il biglietto d’ingresso nell’Union europea con più libertà e più diritti per i cittadini turchi, se c’è stato, ma ne dubito, quel momento è passato. Ora, chiudere gli occhi sul precipitare della Turchia verso la dittatura ci renderebbe complici e ancor più vulnerabili di quel che siamo. Quanto alla sicurezza, nell’ipotesi che Erdogan apra un gran giro di valzer con Putin, ci penserà la Nato. Gli europei hanno smesso di farlo da sessant’anni, figuriamoci se cominceranno oggi senza il Regno Unito.
indovina di chi è!
il segretario
Ineccepibile, Segretario! E ti ringrazio per aver riportato alla memoria (che non inganna) il precedente del Reichstag e delle sue conseguenze. Come scrive quest'oggi Furio Colombo sul "Fatto Quotidiano", in Italia solo due voci note si sono levate a dire come stanno le cose: Antonio Ferrari, da subito, sul CorSera, ed Emma Bonino, sebbene non condivida molte sue posizioni in politica estera, e aggiungo, anche se può sembrare strano, per una volta, Laura Boldrini. Il resto è ignoranza mista e ignavia.
RispondiEliminaebbene l'autore del fondo da me riportato è Claudio Martelli sul "Giorno"
RispondiEliminail segretario