"Jersey Boys" di Clint Eastwood. Con John Lloyd Young, Erich Bergen, Michael Lomenda, Vincent Piazza, Christopher Walken, Renée Marino, Erica Piccininni e tanti altri. USA 2014 ★★★★
Film che è l'ennesima dimostrazione che non bisogna fidarsi della cosiddetta critica cinematografica maggioritaria e conformista, che ha parlato di un "Eastwood minore" (ma che in prevalenza non aveva amato, inizialmente, nemmeno quello "maggiore" salvo ricredersi dopo il favore incontrato dal pubblico nella sua carriera di regista e dopo averlo per anni snobbato come attore): avevo tergiversato inizialmente ad andare a vederlo, sapendo che è tratto da un musical di grande successo a Broadway che ripercorre la storia di Frankie Valli e del gruppo dei "Four Seasons" che tanto successo ebbe nei primi anni Sessanta negli USA, dominando il mondo del pop prima della comparsa dei Beach Boys e lo sbarco dei Beatles. E invece è geniale proprio l'idea di raccontare cinematograficamente e attraverso l'artificio palese di una commistione di generi tra biografico, documentario, musicale, drammatico, perfino comico in modo estremamente efficace una vicenda reale, ripercorrendola nei dettagli e ricostruendo con estrema attenzione caratteri e ambiente, e nell'affrontare quello musicale il grande Clint sa di cosa parla, avendolo raccontato in altri film indimenticabili come Honky Tonk Man, e il documentario Blues in collaborazione con Martin Scorsese ed essendo musicista lui stesso. Nelle sue colonne sonore Eaastwood ha scandagliato tutta la musica americana del Novecento, e nel suo carnet non poteva mancare l'epoca di cui si parla, e lo fa attraverso la storia di un gruppo che nasce a Belleville, sobborgo di Newark, nel New Jersey, formato da quattro ragazzi italo-americani che vivono di lavoretti ed espedienti in stretto contatto con l'onnipresente mafia locale, ma appassionati di musica e che ruotano attorno a Frankie, il più giovane di loro ma dotato di una voce che è un "dono di dio" per quanto è estesa e gli consente di cantare in un falsetto che verrà imitato fino a oggi. Anche il boss locale, Gyp De Carlo, un sempre notevole Christopher Walken, è convinto del loro talento e li asseconderà e aiuterà lungo l'arco di tutta la loro carriera, finendo per essere una specie di arbitro nelle loro controversie, il simbolo del legame con il loro quartiere d'origine. Un altro artificio è fare raccontare e "chiosare" le vicende ai diversi personaggi che si rivolgono direttamente alla telecamera, anche se il narratore principale sarà Tommy De Vito, amico d'infanzia di Frankie ma suo opposto, tanto furbo, vizioso, truffaldino quanto l'altro è innocente, onesto, rigoroso, che racconterà gli inizi, ossia la parte su cui maggiormente si concentra la pellicola. La fotografia, un po' seppiata, fortemente contrastata, spesso notturna, è tipicamente eastwoodiana; la musica potente, i personaggi indimenticabili come i motivi che hanno portato al successo, spesso commoventi; perfino il trucco, fortemente esagerato (gli strati di cerone che gli artisti si mettono in scena sotto i riflettori), paradossalmente rende ancora più realistici e credibili i por volti (mi vengono in mente i primi piani dei Rolling Stones ripresi in concerto da Scorsese in Shine a Light). Tra le curiosità: c'è anche Joe Pesci, come personaggio e non come interprete, che si improvvisa talent scout di indubbio naso, e un curioso cameo di Clint Eastwood che riprende sé stesso in un telefilm dell'epoca trasmesso in TV. A mio parere un film notevole, da non perdere per chi ama la musica e vuole curiosare dietro le quinte. Quando non ci sarà più Clint Eastwood a raccontare le storie di uomini autentici della "sua" America, ne sentiremo la mancanza. Lunga vita...
Film che è l'ennesima dimostrazione che non bisogna fidarsi della cosiddetta critica cinematografica maggioritaria e conformista, che ha parlato di un "Eastwood minore" (ma che in prevalenza non aveva amato, inizialmente, nemmeno quello "maggiore" salvo ricredersi dopo il favore incontrato dal pubblico nella sua carriera di regista e dopo averlo per anni snobbato come attore): avevo tergiversato inizialmente ad andare a vederlo, sapendo che è tratto da un musical di grande successo a Broadway che ripercorre la storia di Frankie Valli e del gruppo dei "Four Seasons" che tanto successo ebbe nei primi anni Sessanta negli USA, dominando il mondo del pop prima della comparsa dei Beach Boys e lo sbarco dei Beatles. E invece è geniale proprio l'idea di raccontare cinematograficamente e attraverso l'artificio palese di una commistione di generi tra biografico, documentario, musicale, drammatico, perfino comico in modo estremamente efficace una vicenda reale, ripercorrendola nei dettagli e ricostruendo con estrema attenzione caratteri e ambiente, e nell'affrontare quello musicale il grande Clint sa di cosa parla, avendolo raccontato in altri film indimenticabili come Honky Tonk Man, e il documentario Blues in collaborazione con Martin Scorsese ed essendo musicista lui stesso. Nelle sue colonne sonore Eaastwood ha scandagliato tutta la musica americana del Novecento, e nel suo carnet non poteva mancare l'epoca di cui si parla, e lo fa attraverso la storia di un gruppo che nasce a Belleville, sobborgo di Newark, nel New Jersey, formato da quattro ragazzi italo-americani che vivono di lavoretti ed espedienti in stretto contatto con l'onnipresente mafia locale, ma appassionati di musica e che ruotano attorno a Frankie, il più giovane di loro ma dotato di una voce che è un "dono di dio" per quanto è estesa e gli consente di cantare in un falsetto che verrà imitato fino a oggi. Anche il boss locale, Gyp De Carlo, un sempre notevole Christopher Walken, è convinto del loro talento e li asseconderà e aiuterà lungo l'arco di tutta la loro carriera, finendo per essere una specie di arbitro nelle loro controversie, il simbolo del legame con il loro quartiere d'origine. Un altro artificio è fare raccontare e "chiosare" le vicende ai diversi personaggi che si rivolgono direttamente alla telecamera, anche se il narratore principale sarà Tommy De Vito, amico d'infanzia di Frankie ma suo opposto, tanto furbo, vizioso, truffaldino quanto l'altro è innocente, onesto, rigoroso, che racconterà gli inizi, ossia la parte su cui maggiormente si concentra la pellicola. La fotografia, un po' seppiata, fortemente contrastata, spesso notturna, è tipicamente eastwoodiana; la musica potente, i personaggi indimenticabili come i motivi che hanno portato al successo, spesso commoventi; perfino il trucco, fortemente esagerato (gli strati di cerone che gli artisti si mettono in scena sotto i riflettori), paradossalmente rende ancora più realistici e credibili i por volti (mi vengono in mente i primi piani dei Rolling Stones ripresi in concerto da Scorsese in Shine a Light). Tra le curiosità: c'è anche Joe Pesci, come personaggio e non come interprete, che si improvvisa talent scout di indubbio naso, e un curioso cameo di Clint Eastwood che riprende sé stesso in un telefilm dell'epoca trasmesso in TV. A mio parere un film notevole, da non perdere per chi ama la musica e vuole curiosare dietro le quinte. Quando non ci sarà più Clint Eastwood a raccontare le storie di uomini autentici della "sua" America, ne sentiremo la mancanza. Lunga vita...
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