"Le cose belle" di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno. Con Adele, Enzo, Fabio e Silvana. Documentario, Italia 2013 ★★★★
"Le cose belle" sono quelle che anche i napoletani più fedeli al dialetto augurano, pronunciando la locuzione in italiano, e sono quelle che auguravano a sé stessi da adolescenti i quattro protagonisti di questo documentario, quando avevano girato "Intervista a mia madre" a cura degli stessi autori, e ripresi a 13 anni di distanza da Ferrente e Piperno, che mettono a confronto la loro esistenza attuale tra disoccupazione, precariato cronico, famiglia sconquassate, violenze camorristiche e degrado urbano, culturale e sociale con i sogni e i progetti del passato. Chi voleva diventare modella, chi ballerina, chi calciatore e chi cantante: l'unica a seguire la sua "vocazione" è stata Adele, una figlia da mantenere, il compagno assente, una madre che ha sempre prediletto l'altro figlio, un transessuale, la quale esercita la sua professione in un lugubre locale da lap dance. Enzo, che con la sua voce d'oro da ragazzo accompagnava il padre chitarrista per trattorie, e raccogliere qualche spicciolo, fa vendite di contratti telefonici per rete fissa porta a porta per conto di un'agenzia "giovane, dinamica e motivante", che alla fine lo lascia a piedi, come la sua fidanzata d'origine nigeriana: un ragazzo profondamente buono, nostalgico del suo vecchio quartiere, dove vive anche Fabio, l'aspirante calciatore, il più ciarliero e colto dei quattro, segnato dalla morte prematura del fratello maggiore, che continua a vivere con la madre, il quale alterna un lavoretto un altro, rassegnato a un fatalismo sfiduciato: della passione del calcio gli è rimasta l'attività di vendita (abusiva) di sciarpe e cappellini fuori dallo stadio San Paolo prima delle partite del Napoli; le due ragazze hanno degli ambienti famigliari devastati e dei rapporti assai conflittuale con le rispettive madri, di cui diventano le vittime preferite, rassegnate anche loro a un destino che come alternativa ha solo la fuga da una città che non offre prospettive. Una pellicola toccante che racconta Napoli e i suoi giovani così com'è, senza pietismi né prediche né compiacimenti, lasciando parlare i fatti, la quotidianità e il confronto con quello che i giovani di oggi erano da adolescenti, e la disillusione è tutta nei loro sguardi, nelle loro espressioni, nel loro modo di muoversi ed esprimersi (sempre in dialetto, sottotitoli in italiano). Perfette anche le (poche) canzoni, ripetute, che costituiscono la colonna sonora. Gran bel film.
"Le cose belle" sono quelle che anche i napoletani più fedeli al dialetto augurano, pronunciando la locuzione in italiano, e sono quelle che auguravano a sé stessi da adolescenti i quattro protagonisti di questo documentario, quando avevano girato "Intervista a mia madre" a cura degli stessi autori, e ripresi a 13 anni di distanza da Ferrente e Piperno, che mettono a confronto la loro esistenza attuale tra disoccupazione, precariato cronico, famiglia sconquassate, violenze camorristiche e degrado urbano, culturale e sociale con i sogni e i progetti del passato. Chi voleva diventare modella, chi ballerina, chi calciatore e chi cantante: l'unica a seguire la sua "vocazione" è stata Adele, una figlia da mantenere, il compagno assente, una madre che ha sempre prediletto l'altro figlio, un transessuale, la quale esercita la sua professione in un lugubre locale da lap dance. Enzo, che con la sua voce d'oro da ragazzo accompagnava il padre chitarrista per trattorie, e raccogliere qualche spicciolo, fa vendite di contratti telefonici per rete fissa porta a porta per conto di un'agenzia "giovane, dinamica e motivante", che alla fine lo lascia a piedi, come la sua fidanzata d'origine nigeriana: un ragazzo profondamente buono, nostalgico del suo vecchio quartiere, dove vive anche Fabio, l'aspirante calciatore, il più ciarliero e colto dei quattro, segnato dalla morte prematura del fratello maggiore, che continua a vivere con la madre, il quale alterna un lavoretto un altro, rassegnato a un fatalismo sfiduciato: della passione del calcio gli è rimasta l'attività di vendita (abusiva) di sciarpe e cappellini fuori dallo stadio San Paolo prima delle partite del Napoli; le due ragazze hanno degli ambienti famigliari devastati e dei rapporti assai conflittuale con le rispettive madri, di cui diventano le vittime preferite, rassegnate anche loro a un destino che come alternativa ha solo la fuga da una città che non offre prospettive. Una pellicola toccante che racconta Napoli e i suoi giovani così com'è, senza pietismi né prediche né compiacimenti, lasciando parlare i fatti, la quotidianità e il confronto con quello che i giovani di oggi erano da adolescenti, e la disillusione è tutta nei loro sguardi, nelle loro espressioni, nel loro modo di muoversi ed esprimersi (sempre in dialetto, sottotitoli in italiano). Perfette anche le (poche) canzoni, ripetute, che costituiscono la colonna sonora. Gran bel film.
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