UNAWATUNA - Serendib fu il nome in arabo, persiano e urdu per Sri Lanka (dal sanscrito: isola splendente), Taprobane quello dato dai greci e Ceilão dai portoghesi, da cui il Ceylon adottato da olandesi e inglesi, per denominare questa isola a forma di goccia (o di pera) situata appena a Sud-Est della punta meridionale del Subcontinente Indiano, e serendipity è un termine che indica la sensazione che si prova quando ci si imbatte in una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un’altra o, semplicemente, per caso: insomma una piacevole sorpresa, un felice accidente. Questa è stata per me Unawatuna e credo sia la prima volta dalla mia prima adolescenza che soggiorno, senza averlo peraltro minimamente programmato, in un luogo che si può definire di villeggiatura, al mare, per tre settimane di fila. Non un "colpo di fulmine", ma la sensazione, sin dal primo momento di essere a proprio agio, e di adeguarsi, senza nemmeno accorgersene, al placido ritmo di questo paesino sulla costa meridionale, pochi chilometri a Est di Galle, che conta meno di un migliaio di abitanti. Gentili, sorridenti, per nulla invadenti, che vivono prevalentemente di turismo ma non per questo vedono lo straniero come un pollo da spennare: la seconda volta che ti incrociano ti salutano già come se fossi uno del luogo, e come tale uno ci si sente, se è nello spirito giusto. Alcuni stranieri (due gemelli gallesi, un inglese, tutti sulla cinquantina) hanno messo su famiglia qui e conducono delle guesthouse con ristorante, e sempre turisti che avevano soggiornato qui ed erano rimasti affezionati al luogo, prevalentemente europei, anche dell'Est, hanno dato una grossa mano a risollevare le sorti di Unawatuna dopo il disastroso tsunami del 26 dicembre 2004 che si abbattè su due terzi delle coste dell'isola, devastando in particolare la costa sud-occidentale. Nella sola Unawatuna, ci furono 60 morti, di cui 10 stranieri. Pesca, artigianato e agricoltura le attività di contorno senza concessioni a un turismo di tipo predatorio o da villaggio turistico: si resta soltanto se ci si adatta a quel che passa il convento, che è più che sufficiente per persone che non hanno per modello una vacanza né riminesca, né tipo Ibiza e meno che mai "Sharm". A differenza di ogni altra località balneare che abbia visto nel Sud Est Asiatico, qui la spiaggia è vissuta anche dai locali, a cominciare dal pomeriggio quando ragazze e ragazzi, rigorosamente in divisa, escono da scuola, e soprattutto al tramonto. Non è un'esclusiva degli ospiti, e non hanno con l'acqua il rapporto puramente funzionale di thailandesi, vietmaniti, cinesi, malesi, ma anche ludico: ci nuotano, giocano, si divertono. Una motivo in più per non sentirsi degli estranei, ma integrati a pieno titolo nella comunità. Ed è una sensazione che dà calore e un senso di pace. Per questo Unawatuna è un posto che rimane nel cuore di chi ci è stato.
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