MONTEVIDEO - Dopo cinque anni di assenza, il mio ritorno nella capitale della República Oriental, sulla sponda opposta del Rio de la Plata rispetto a Buenos Aires (tre ore e mezzo di traversata con un battello veloce, per rendere l'idea) coincide con un evento calcistico di alta drammaticità. Ossia Uruguay-Argentina, che si giocherà domani alle 20 nello storico stadio "Centenario", dove si disputò la finale del primo Mondiale di calcio, nel 1930: vinsero i padroni di casa, per 4-2, proprio sugli argentini. L'incontro deciderà la partecipazione di una delle due al prossimo torneo che si svolgerà in Sudafrica l'estate prossima e il possibile ripescaggio dell'altra allo spareggio, se non addirittura la sua esclusione definitiva dalla competizione. Insomma una cosa seria in due Paesi calciofili come pochi: si prevede una serata muy caliente per domani, anche se in città non si avverte la tensione. Gli 80 mila biglietti sono andato a ruba già da ieri, nonostante fosse un giorno festivo, in città si pala della grande sfida ma con rilassatezza, com'è nel carattere degli uruguagi, molto più rilassati, bonari e, alla fine, sereni, dei loro cugini della riva occidentale. Cinque anni fa avevo lasciato una città triste, grigia, impoverita, umiliata. La crisi che aveva travolto l'Argentina a cavallo tra il 2001 e il 2002 aveva messo in ginocchio questo piccolo ma orgoglioso Paese, che è sempre dipeso, nella buona come nella cattiva sorte, dai più potenti vicini: i cugini argentini da una parte e il colosso del Continente, il Brasile, dall'altro, con i suoi Stati più ricchi. Mi ricordo come fosse ieri le tante saracinesche abbassate per cessata attività perfino lungo la venaaorta della città, Avenida 18 de Julio, e gli anziani pensionati di origine italiana, dall'aspetto dimesso, che attaccavano discorso - mi è testimone l'amico Copy, mio compagno di viaggio di allora - si potrebbe dire "piangendo miseria", in senso letterale, ma in realtà increduli di vedere il proprio piccolo ma fiero, colto Paese ridotto in condizioni così penose. Si sentivano umiliati e si vergognavano: erano convinti, giustamente di non meritarsi questo dopo una vita di lavoro e di impegno, politico e civile, un impasto che aveva portato l'Uruguay a essere una sorta di Svizzera del Sud America. Ho ritrovato la Montevideo che conoscevo da prima: manca ilglamour che contraddistingue alcune zone di Buenos Aires e che rende elettrizzante e à la page la "scena" porteña, ma l'understatement, come si usa dire, è una "cifra" di questa città e di questo Paese. A mio parere, l'altra faccia dei cugini "occidentali", il DNA essendo in gran parte comune, il risultato, in qualche misura divergente. Se si guarda alle dimensioni, si potrebbe dire che l'Uruguay è un'Argentina in miniatura: il rapporto è di uno a dieci sia per quanto riguarda gli abitanti complessivi, sia quello delle due capitali sia, ancora, quello della loro incidenza sul resto del Paese. Uguale anche la percentuale di urbanizzazione, oltre l'82%, e di alfabetizzazione: di gran lunga il più alto in America Latina e ancora maggiore in Uruguay. Identica la predominanza di una classe media, anch'essa caso unico nel Continente, che va però sfaldandosi e riducendosi man mano, e uguale la dipendenza dalle esportazioni del settore agricolo in senso lato. Pur avendo la stessa struttura rigorosamente ortogonale, un'impronta italo-ispano-francese evidente soprattutto nei loro palazzi dell'epoca d'oro, tra la fine dell'Ottocento e la metà del Novecento, con evidente influenza Liberty, Buenos Aires e Montevideo non potrebberoessere più diverse nel loro rapporto con l'elemento che hanno in comune più di ogni altro: il Rio de la Plata. Buenos Aires rifugge l'acqua: la nega. Perfino Puerto Madero, il nuovo quartiere di lusso costruito su un terreno artificiale sottratto al fiume, guarda verso il centro e si affaccia sui vecchi bacini del porto, i "diques", trasformati in canale interno, e non sul "fiume aperto" (uso quest'espressione perché sembra un mare). Montevideo è tutta sull'acqua: la sua Città Vecchia è una penisola circondata sui due lati dal fiume. Dalle "vertiginose" altezze della sua via centrale, i 50 metri della già citata Avenida 18 de Julio, si vedono entrambi i versanti, il porto da un lato e le ramblas del lungofiume dall'altro, a 6-7 isolati di distanza (350 metri circa). Buenos Aires è piatta come una tavola da biliardo e si estende all'infinito mentre in confronto Montevideo, città che ha un suo limite spaziale ed è come tale finita, risulta audacemente ondulata e porta non a caso la radice "monte" nel suo nome. In compenso c'è da dire che l'Argentina possiede le montagne più alte d'America e sei climi diversi come i suoi habitat naturali mentre l'Uruguay è pampa, acqua dolce e mare. Per il resto entrambe le città hanno in comune il tango: e perfino la superba Buenos Aires non osa metterne in dubbio la paternità in comune. Entrambe le città hanno l'identica pavimentazione tipo piastrella in cotto delle veredas, o marciapiedi, e i taxi neri col tetto giallo: ma a Montevideo, nonostante sia meno pericolosa di Buenos Aires, dotati di vetro antiproiettile tra autista e passeggero; in comune la passione per i cani e per il mate, con punte maniacali in Uruguay: una persona su due gira equipaggiata di bombilla, calabaza e thermos dell'acqua calda, oltre alla riserva di yerba, in qualsiasi situazione della giornata. La parlata e la pronuncia del castigliano sono identiche, ma quella orientale meno cantilenante e più comprensibile; in Uruguay la popolazione d'origine italiana è perfino maggiore rispetto all'Argentina, superando il 50%, e in più è presente anche un 5% circa di persone di colore, perfettamente integrate: sull'altra sponda del fiume i neri non sono mai esistiti se non come turisti. Anche i conflitti politici sono vissuti in maniera completamente diversa, pure se l'impegno è palese, e perfino maggiore sulla sponda orientale del fiume. Sono capitato nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali che si svolgeranno il 25 di ottobre e il fair play è inimmaginabile in Argentina, per non parlare dell'Italia: un sogno. Infine, devo ammetterlo: gli uruguagi, donne e uomini, sono mediamente più belli e più alti. E non più infelici come cinque anni fa: questo mi ha riempito di gioia e mi fa pregustare un'altra settimana di permanenza in questo ospitale e civilissimo Paese.
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