giovedì 19 maggio 2016

Cuencano - 1



Ci sono città con cui si entra immediatamente in sintonia ed è amore a prima vista: Cuenca è una di queste. Già la marcia di avvicinamento da Riobamba, sei ore e mezzo di saliscendi su una strada tortuosa ma in buone condizioni, cominciando con la "circumnavigazione" del Chimborazo, era stata promettente: panorami spesso idilliaci, campagne popolate, nessuna coltivazione estensiva, ma fino in alta quota, anche 3500 metri e oltre (come nella zona di Cuzco in Perú, per esempio), spesso sfruttando terreni con pendenze da capogiro, dove pascolava liberamente una gran quantità di bovini, prevalentemente pezzati bianconeri, forse di razza frisone, senza slcun pericolo di inquinamento da delezioni, di utilizzo di mangimi chimici e di sprechi spropositati di acqua da allevamenti intensivi, ma anche cavalli e pecore, al punto che pareva di essere in Irlanda, anche per il clima, con la differenza che la terra vulcanica di qui è ben più fertile e generosa. Insediamenti urbani nelle vallate come Alausí, El Tambo, Cañar, che si intravedevano dal finestrino della corriera, nubi sottostanti permettendo, cambiavano man mano aspetto e colore procedendo verso Sud, e cambiando regione già Azogues dava una impressione di maggiore ordine e cura: mezz'ora dopo Cuenca si è rivelata subito in gioiello raro, fatte sole poche centinaia di metri dal terminal dei bus e dall'aeroporto, che si trovano nell'immediata periferia cittadina in direzione dell'albergo che avevo scelto. 



Comodo, pulito, sviluppato su più livelli perché costruto sul barranco, il dirupo che dà sul fiume, il Tomebamba, che scorre impetuoso da Est a Ovest, dotato di terrazze con viste spettacolari sul lato Sud della città e le alture che la racchiudono, per l'appunto, in una conca. Parte, quella meridionale, che sarebbe quella moderna di Cuenca, ma priva di obbrobri architettonici e di grattacieli megalomani che in questo contesto risulterebbero un pugno nell'occhio. Già il fatto fi essere più omogrenea me la fa preferire a Quito, oltre all'atmosfera più rilassata, la cordialità della gente, la dimensione e misura umane (i suoi 350 mila abitanti ne fanno comunque un centro di grande rilevanza), l'attenzione alle persone e alle cose che trasmettono bellezza, serenità, tranquillità e anche benessere e che insieme mettono a proprio agio il visitatore fin dal primo impatto. 




Una differenza che balza subito all'ochio con il centro storico pur curato della capitale, che col tramonto si svuota e dalle 20 in poi divemta un deserto quasi inquietante dove a muoversi sembra essere soltanto la polizia, è che qui le strade e i locali sono animati fino a tardi e il controllo poliziesco risulta molto più rilassato ma non per questo blando: è comunque consideara una delle città più sicure di tutto il Continente; l'altra si percepisce nell'aria, meno inquinata nonostante i pestilenziali scarichi dei bus urbani, e più mite di un paio di gradi: effetto dei trecento metri d'altura in meno (siamo a quota. 2540) e della relativa vicinanza con la Costa, ormai non più così remota. In qualche modo Cuenca mi ha subito ricordato Salisburgo, non solo re tanto per la presenza di un fiume ma soprattutto per la posizione e la concentrazione di beni culturali, però per nulla imbalsamata, bamboleggasnte e cartolinesca come invece la città austriaca, e soprattutto non così fastidiosamente spocchiosa e offensivamente cara. Insomma: procedendo verso Sud (perché ogni Paese ne ha uno) la insospettabile componente terrona che pure alberga in me riprende vita e comincia a sentirsi di casa. Alla prossima...

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