"Parthenope" di Paolo Sorrentino. Con Celeste Dalla Porta, Stefania Sandrelli, Gary Oldman, Silvio Orlando, Luisa Ranieri, Peppe Lanzetta, Isabella Ferrari, Giampiero De Concilio, Paola Calliari, Alfonso Santagata, Biagio Izzo, Nello Mascia, Daniele Rienzo e altri. Italia 2024 ★★★★★🙌
Cinema significa innanzitutto immagini, e quelle che propone Paolo Sorrentino nei suoi film, soprattutto quelli da La grande bellezza in poi, sono sontuose, seducenti, emozionanti come poche, grazie a una fotografia splendida e senza dover ricorrere a trucchetti ed elaborazioni digitali. Quelle di Parthenope sono le più intense e coinvolgenti che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni. Se E' stata la mano di dio era per molti versi, ma non solo, l'autobiografia del regista nella sua gioventù, Parthenope è il racconto, dal 1950 a oggi, dei momenti salienti della lunga esistenza di una donna nata nel mare di Posillipo (la piccola baia dove si trova Palazzo Donn'Anna, per la precisione) nel 1950. Che sarebbe nata una femmina l'aveva pronosticato il Comandante Achille Lauro (futuro sindaco di Napoli) con cui collaborava il padre della ragazza, venuta al mondo con parto in immersione, e a cui fu dato il nome della Sirena collegata al mito della origini della città (del resto anche Venere sorse dalle acque) e al mare è legata non solo Napoli ma anche la storia della donna, nel bene e nel male (anche se dio, come recita una voce fuori campo sui titoli di coda "non ama il mare"). Una dea, interpretata dalla giovane e splendida Celeste dalla Porta, che suscita desiderio ma sfuggente, intelligente, arguta, che rivediamo in alcuni momenti chiave: attorno alla metà degli anni Sessanta, in piena adolescenza; poi nell'anno del colera, il fatidico 1973, i suoi primi amori e l'irreparabile perdita del fratello durante una vacanza a Capri, che sconvolge gli equilibri della famiglia e l'inizio della decadenza della splendida casa in cui essa vive; l'incontro con personaggi per lei fondamentali, tra cui John Cheever (Gary Oldman); poi, durante gli anni dell'università, con il professor Marotta, un grandioso Silvio Orlando, antropologo di cui diventerà allieva e poi assistente e con cui avrà un intenso legame basato su una tacita complicità, oltre a un'enorme rispetto e un'altissima stima reciproci; il vescovo Tesorone (Peppe Lanzetta: eccezionale), che le mostrerà il tesoro di San Gennaro e al contempo terrà un'esemplare lezione di seduzione: anche qui desiderio allo stato puro, mentre la conclusione, il sesso, è ciò che lo estingue. Sempre chiederà a Marotta, il suo mentore, cosa sia l'antropologia, a cui anch'essa si dedicherà: vedere. Cosa che si impara quando viene a mancare tutto il resto. Quel resto che ha attraversato la giovinezza di Parthenope: gioventù, sensualità, desiderio, appunto. Si trasferirà all'università di Trento, ordinario di antropologia, e rientrerà nella sua città natale, interpretata questa volta da una disincantata e calibratissima Stefania Sandrelli, soltanto dopo che sarà andata in pensione. Questa, in sintesi, la storia, ma Parthenope è un viaggio, nei sensi, nelle suggestioni, nella riflessione, nelle immagini: vedere, per l'appunto. E far vedere: che è esattamente il compito di un regista. Un viaggio anche, parallelamente, nei luoghi e nei meandri della città di Napoli, magnifica, barocca, contraddittoria, disincantata, cinica quanto profondamente umana, carnale e al contempo inafferrabile. Sorrentino sentenzioso, dicono: ma le frasi che l'autore e regista mette in bocca ai personaggi hanno sempre un senso profondo e mai banale, e l'autoironia non manca mai; i suoi film non portano da nessuna parte, altra eterna critica nei suoi confronti: e per fortuna, dato che è lo spettatore a venire immerso nel flusso di racconto e immagini, e dove dovrebbero portare se non a una riflessione, che ognuno deve fare per conto suo, sul senso delle cose e della propria vita? Venivo da una settimana di intenso malumore, e la visione di Parthenope, non a caso, è stata una salutare boccata d'aria fresca, uno squarcio di luce e mi ha regalato un senso di serenità, per quanto rassegnata. Non ha senso indicare soluzioni ai misteri: non ce ne sono. Saggio è non illudersi di trovarle e andare avanti a vivere. Il senso si trova lì. La struggente Era già tutto previsto di Riccardo Cocciante è il brano portante della colonna sonora che, come in tutti i film di Sorrentino, è fondamentale e cucita su misura. E dice già tutto. Perdersi un film così bello è un delitto.
Concordo.... anche se non tutti si tuffano nel mistero
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