Visto l'andazzo emergenziale da Covid-19, ma la tendenza era già in atto, toccherà adeguarsi a una fruizione prevalentemente casalinga del prodotto cinematografico: fino a qualche mese fa mi rifiutavo di recensire film visti in streaming sullo schermo della TV (Netflix finora mi pare la scelta migliore), ora tocca rassegnarmi, anche perché le poche sale che hanno riaperto continuano a offrire una programmazione alquanto scarsa, di qualità come di quantità. Non è un caso quindi che questo primo film del giovane regista cileno Gaspar Antillo, coprodotto dal connazionale Paulo Larraín e vincitore dell'ultima anomala edizione del Tribeca Film Festival nella categoria esordienti sia tra i migliori visti nella stagione. Memo ha sui trentacinque anni e si è nascosto dal mondo: vive su un'isola nella Patagonia cilena, nei pressi di Valdivia, e assieme a uno zio accudisce le pecore e ne concia le pelli: unico contatto con la terraferma un commerciante che, in motoscafo, le preleva in cambio di rifornimenti vari. Dotato da adolescente di una voce meravigliosa, ma non del physique du rôle per diventare una star, il padre l'aveva venduta, in cambio di un bel gruzzolo, per concederla ad Angel Casas, un coetaneo di bell'aspetto che cantava in playback, un personaggio costruito a tavolino che ne aveva usurpato i sogni; così Memo ha innalzato muri contro il resto del mondo, chiudendosi nei suoi sogni e in pochi svaghi: giocare a basket con lo zio e penetrare, di nascosto, nelle ville dei più abbienti, da cui però non ruba niente: solo per il piacere di guardare. Le cose cambiano quando, a sostituire il padre malato sul motoscafo, sull'isola, periodicamente, capita Marta, una giovane ragazza che ne riconosce la voce collegandola all'enorme successo goduto da Angel Cosas anni prima, e conquista pian piano la fiducia di Memo riuscendo alla fine a convincerlo a partecipare a una trasmissione con lo stesso Casas, ma da qui in poi non racconto oltre la trama: realtà e fantasia si confondono ma non è questo il punto, né interessante: quel che conta è il modo di raccontare la triste vicenda di questo infelice, l'artificiosità e l'ipocrisia del mondo dello Show Biz, l'avidità di certi genitori, il disvelamento, per gradi, dei retroscena. Suggestive le immagini, che mi hanno fatto tornare in luoghi che ho conosciuto piuttosto bene e mi sono rimasti nel cuore, essenziali ma precisi i dialoghi, atmosfera sospesa e giusti tempi. Grande interpretazione di Jorge García, volto noto di serie televisive di successo, di Gaspar Antillo sentiremo certamente parlare presto. Per il resto, il valore della cinematografia latino-americana e del Cono Sur in particolare non la si scopre adesso: dovrebbe accorgersene anche la distribuzione italiana, però.
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