mercoledì 10 giugno 2020

Grazie a dio

"Grazie a Dio" (Grâce à dieu) di François Ozon. Con Melvil Poupad, Dénis Menochet, Swann Arlaud, Éric Caravaca, François Marthouret, Bernard Preynat, Josiane Balasko, François Chattot, Martine Erhel e altri. Francia 2019 ★★★★
Era impensabile che dopo il tonfo dell'improponibile Doppio amore François Ozon, uno dei migliori talenti del cinema europeo, non si sarebbe prontamente ripreso, e infatti rieccolo con un film piuttosto inconsueto rispetto a quelli, acuti e raffinatamente indagatori delle ambiguità della psiche umana, a cui ci ha (ben) abituati, alle prese con una vicenda che, pur accaduta in un tempo definito (benché prolungato) e in un luogo ben preciso (Lione e la sua diocesi) non si può ridurre a un mero fatto di cronaca ma coinvolge le responsabilità della gerarchia della chiesa cattolica nel suo complesso: la diffusione della pedofilia fra il suo clero. L'angolo di visuale scelto dal regista è però quello delle vittime degli abusi da parte di un ex sacerdote, Bernard Preynat (condannato a gennaio a 5 anni di carcere) quando, negli anni Ottanta e Novanta, erano ragazzini, in particolare tre personaggi: Alexandre, un cattolico praticante che nel 2016, venuto casualmente a conoscenza che il prete continuava ad avere contatti coi bambini, rivelando i fatti, caduti ormai in prescrizione, sperava di poter cambiare le cose dall'interno della chiesa smuovendola dall'immobilismo. Deluso, si mette in contatto con altri possibili testimoni per avviare un'azione legale: tra questi François, diventato ateo dopo aver subito le stesse angherie mentre era scout, ed Emmanuel, il più complesso e quello che più degli altri ha avuto la vita devastata dall'esperienza, ma anche il più giovane, per cui i delitti imputati a Preynat non erano ancora caduti in prescrizione. I tre danno vita a una associazione e a un sito, La parole libérée, per raccogliere più testimonianze possibili, il cui intento non è soltanto quello di sostenere l'azione legale o di mettere alle strette il cardinale di Lione Barbarin, che ha preferito sopire lo scandalo, ma anche se non soprattutto quello di consentire alle vittime di togliersi il macigno che portano dentro proprio attraverso il racconto degli abusi subito e il confronto con altri che hanno avuto le stesse esperienze e farli sentire meno soli, e Ozon segue, in modo rigoroso e cronologico, quasi documentaristico, il loro percorso, non mancando, però, di raccontare, con la consueta sottigliezza, i loro conflitti interni, le contraddizioni che si innescano con i diversi ambienti di provenienza, il tutto senza dare giudizi e con profonda umanità. Un film scarno, basato, per l'appunto, sulla parola; lineare, essenziale, pudico, che non infierisce nemmeno su Preynat, che ha sempre ammesso le proprie colpe considerandosi, però, un malato e, dunque, a sua volta, una vittima; e nemmeno sul cardinale e arcivescovo Barbarin, nel frattempo assolto dall'accusa di omissione di atti di ufficio ma le cui dimissioni sono state accettate dal Papa, cui durante una conferenza stampa era uscita l'infelice espressione che dà il titolo al film: "Grazie a Dio, i fatti a cui si fa riferimento sono tutti prescritti". Quel che si dice cinema civile.

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