"Martin Eden" di Pietro Marcello. Con Luca Marinelli, Jessica Cressy, Vincenzo Nemolato, Marco Leonardi, Denise Scardisco, Calro Cecchi, Carmen Pommella, Autilia Ranieri, Pietro Ragusa, Gaetano Bruno, Anna Patierno, Aniello Arena e altri. Italia 2019 ★★★★
Qualcosa di più di un film, e di più complesso, che si serve del mezzo (la sceneggiatura, liberamente tratta, ma con rigore, dal Martin Eden di Jack London, edito nel 1909; la macchina da presa, il montaggio, il materiale d'archivio, riproposto in originale oppure opportunamente trattato; la notevole colonna sonora) cinematografico per proporre qualcosa di completamente diverso e polimorfo, in cui anche la dimensione temporale è fluttuante, ambientata com'è la vicenda, invece che nella San Francisco di inizio Novecento, in una Napoli che spazia dai primi comizi anarchici e socialisti agli scontri tra interventisti e neutralisti prima dell'entrata in guerra nel 1915 agli anni Settanta. Il sempre ispirato e a tratti spiritato Luca Marinelli, che per l'interpretazione ha vinto la Coppa Volpi maschile all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, è un Martin Eden napoletano che lavora come marinaio e a cui capita di entrare in contatto con la borghese e liberale famiglia Orsini per avere salvato da un pestaggio il suo rampollo Alfredo: quando viene invitato per essere ringraziato, è amore a prima vista con la sorella del ragazzo, Elena, cosa che stimola Martin, già intelligente e affamato di conoscenza per conto suo, di farsi una cultura, incoraggiato da lei. La motivazione è doppia: non soltanto cercare, tramite un'istruzione adeguata, di superare le barriere sociali tra lui e la ragazza, ma anche assecondare la sua vena poetica e la ferma volontà di diventare scrittore, per raccontare il mondo e la realtà così come lo vede con i suoi occhi di uomo del popolo. Durante la sua crescita intellettuale, abbraccia le idee di Herbert Spencer, assumendo posizione anarchiche, ponendosi così in contrasto sia con i liberali borghesi sia con i socialisti, che accusa di assecondare una nuova forma di schiavitù in nome dello Stato o del sindacato trascurando completante la dimensione individuale dell'uomo. In una prima fase ogni suo scritto o saggio viene rifiutato, ma con l'intervento del suo amico e mentore Russ Brissenden, l'unico altro personaggio che conserva il nome originale datogli da London (non si capisce il perché), diviene una sorta di caso editoriale e, dopo aver assunto posizioni sempre più nichiliste, anche per la rottura con Elena e il suo ambiente, una specie di fenomeno da baraccone spedito in tournée promozionale come gli scrittori del giorno d'oggi. Premesso che non è il mio genere, anche se, come detto, di "genere" non si può propriamente parlare, e che nella seconda parte il film concede un po' troppo al feuilleton per i miei gusti, è indubbio che il lavoro di Pietro Marcello sia di grande qualità e rappresenti un qualcosa di inconsueto, come del resto aveva già fatto vedere con La bocca del Lupo, uscito sugli schermi dieci anni fa: non è un autore prolifico, ma quando fa qualcosa, è con cognizione di causa. Personalmente avrei visto meglio una versione teatrale di questo Martin Eden. Ineccepibili gli attori, in particolare felice la scelta di quelli, eccezionali, che lavorano sulle scene partenopee, uno più bravo dell'altro; un'eccezione per la fiacca interpretazione di Jessica Cressy nella parte di Elena, la quale non si capisce perché debba parlare con accento francese; una scelta probabilmente dovuta alla coproduzione con i cugini transalpini.
Qualcosa di più di un film, e di più complesso, che si serve del mezzo (la sceneggiatura, liberamente tratta, ma con rigore, dal Martin Eden di Jack London, edito nel 1909; la macchina da presa, il montaggio, il materiale d'archivio, riproposto in originale oppure opportunamente trattato; la notevole colonna sonora) cinematografico per proporre qualcosa di completamente diverso e polimorfo, in cui anche la dimensione temporale è fluttuante, ambientata com'è la vicenda, invece che nella San Francisco di inizio Novecento, in una Napoli che spazia dai primi comizi anarchici e socialisti agli scontri tra interventisti e neutralisti prima dell'entrata in guerra nel 1915 agli anni Settanta. Il sempre ispirato e a tratti spiritato Luca Marinelli, che per l'interpretazione ha vinto la Coppa Volpi maschile all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, è un Martin Eden napoletano che lavora come marinaio e a cui capita di entrare in contatto con la borghese e liberale famiglia Orsini per avere salvato da un pestaggio il suo rampollo Alfredo: quando viene invitato per essere ringraziato, è amore a prima vista con la sorella del ragazzo, Elena, cosa che stimola Martin, già intelligente e affamato di conoscenza per conto suo, di farsi una cultura, incoraggiato da lei. La motivazione è doppia: non soltanto cercare, tramite un'istruzione adeguata, di superare le barriere sociali tra lui e la ragazza, ma anche assecondare la sua vena poetica e la ferma volontà di diventare scrittore, per raccontare il mondo e la realtà così come lo vede con i suoi occhi di uomo del popolo. Durante la sua crescita intellettuale, abbraccia le idee di Herbert Spencer, assumendo posizione anarchiche, ponendosi così in contrasto sia con i liberali borghesi sia con i socialisti, che accusa di assecondare una nuova forma di schiavitù in nome dello Stato o del sindacato trascurando completante la dimensione individuale dell'uomo. In una prima fase ogni suo scritto o saggio viene rifiutato, ma con l'intervento del suo amico e mentore Russ Brissenden, l'unico altro personaggio che conserva il nome originale datogli da London (non si capisce il perché), diviene una sorta di caso editoriale e, dopo aver assunto posizioni sempre più nichiliste, anche per la rottura con Elena e il suo ambiente, una specie di fenomeno da baraccone spedito in tournée promozionale come gli scrittori del giorno d'oggi. Premesso che non è il mio genere, anche se, come detto, di "genere" non si può propriamente parlare, e che nella seconda parte il film concede un po' troppo al feuilleton per i miei gusti, è indubbio che il lavoro di Pietro Marcello sia di grande qualità e rappresenti un qualcosa di inconsueto, come del resto aveva già fatto vedere con La bocca del Lupo, uscito sugli schermi dieci anni fa: non è un autore prolifico, ma quando fa qualcosa, è con cognizione di causa. Personalmente avrei visto meglio una versione teatrale di questo Martin Eden. Ineccepibili gli attori, in particolare felice la scelta di quelli, eccezionali, che lavorano sulle scene partenopee, uno più bravo dell'altro; un'eccezione per la fiacca interpretazione di Jessica Cressy nella parte di Elena, la quale non si capisce perché debba parlare con accento francese; una scelta probabilmente dovuta alla coproduzione con i cugini transalpini.
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