"C'era una volta a... Hollywood" (Once Upon a Time in Hollywood) di Quentin Tarantino. Con Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Emile Hirsch, Margaret Qualley, Timothy Olyphant, Austin Butler, Dakota Fanning, Bruce Dern, Kurt Russell, Al Pacino, Damian Lewis, Luke Perry, Lorenza Izzo e altri. USA 2019 ★★★★★
Da convinto tarantiniano della prima ora, lasciatevi dire che questo nono film del Maestro, se all'apparenza è quello più lontano dai cliché che una critica snob quanto banale gli ha appiccicato addosso, è in realtà quello che più dice del suo autore, di ciò che pensa e, soprattutto, della sua sensibilità: qui, sempre nelle forme della favola, come del resto negli altri suoi lavori, il cinema riscrive la realtà (l'aveva fatto, in modo particolare, in Bastardi senza Gloria); in più, lo fa in forma poetica e commossa. Questo pur non facendo mancare alcuno dei suoi ingredienti più tipici con cui ha conquistato fedeli seguaci come il sottoscritto: dal pulp, ai piedi femminili, alle citazioni cinematografiche (in un film sulla Hollywood che fu il terreno è particolarmente fertile), a una colonna sonora da sballo. Multicolore, sgargiante, irriverente, ambientato nella Hollywood del 1969, la guerra del Vietnam sullo sfondo, racconta la crisi di un attore in declino, Rick Dalton (Leonardo DiCaprio), fossilizzato nella parte di cattivo di film western e serie TV (come gli fa notare Al Pacino nelle parti del produttore Marvin Schwarz, che lo convince a trasferirsi per un periodo in Europa a girare Spaghetti Western) in un momento in cui va affermandosi un nuovo genere di attore, adatto a un cinema diverso, e quella parallela della sua controfigura, lo stunt man e suo amico nonché angelo custode Cliff Booth (Brad Pitt), ex combattente, a quanto si dice "moglicida", che vive in una roulotte in compagnia di Brenda, una pitbull dolce quanto feroce all'occorrenza, del tutto simile nel carattere al suo compagno bipede: si alternano le giornate di lavoro di Rick, tra una ripresa, magagne e incontri fra set e studios, compresa la trasferta in Italia da dove torna con qualche soldo, una moglie e tanti dubbi in più, e quelle di Cliff, in giro per le strade di Hollywood e dintorni, a cominciare dagli ex studios in smantellamento dove aveva girato anni prima e ora occupati dai membri della Family di Charles Manson. Eh, sì, perché nell'ancora rutilante Mecca del cinema di quel fatale 1969 (era anche l'anno dello sbarco sulla Luna ma il buon Quentin, e glie ne siamo eternamente grati, ci risparmia la commemorazione dell'evento) c'erano anche loro e non solo: vicini di casa di Rick, e all'occasione di Cliff quando lo assiste nei momenti di delirio alcolico, sono Roman Polanski e il suo entourage, a cominciare dalla moglie Sharon Tate, che dalla Manson Family verrà massacrata insieme ad altri amici il 9 agosto di quell'anno nella realtà, ma non nella versione di Tarantino: è lei il terzo personaggio principale del film, interpretata dalla fulgida Margot Robbie, che attraversa la pellicola come una fata innocente, sempre stupefatta da quel mondo magico che era, o sembrava, quello del cinema di una volta. Una favola a lieto fine, come dev'essere una favola bella. E quella del buon Quentin lo è. Per me, scontato quanto si vuole, il massimo dei voti e un bravissimo a tutti, con menzione speciale per Damian Lewis (il Bobby Axelrod di Billions, per intenderci), che nella parte di Steve McQueen è sensazionale e Margaret Qually in quella di Pussycat, in quelli della hippie svitata che vuole accalappiare lo scettico Cliff.
Da convinto tarantiniano della prima ora, lasciatevi dire che questo nono film del Maestro, se all'apparenza è quello più lontano dai cliché che una critica snob quanto banale gli ha appiccicato addosso, è in realtà quello che più dice del suo autore, di ciò che pensa e, soprattutto, della sua sensibilità: qui, sempre nelle forme della favola, come del resto negli altri suoi lavori, il cinema riscrive la realtà (l'aveva fatto, in modo particolare, in Bastardi senza Gloria); in più, lo fa in forma poetica e commossa. Questo pur non facendo mancare alcuno dei suoi ingredienti più tipici con cui ha conquistato fedeli seguaci come il sottoscritto: dal pulp, ai piedi femminili, alle citazioni cinematografiche (in un film sulla Hollywood che fu il terreno è particolarmente fertile), a una colonna sonora da sballo. Multicolore, sgargiante, irriverente, ambientato nella Hollywood del 1969, la guerra del Vietnam sullo sfondo, racconta la crisi di un attore in declino, Rick Dalton (Leonardo DiCaprio), fossilizzato nella parte di cattivo di film western e serie TV (come gli fa notare Al Pacino nelle parti del produttore Marvin Schwarz, che lo convince a trasferirsi per un periodo in Europa a girare Spaghetti Western) in un momento in cui va affermandosi un nuovo genere di attore, adatto a un cinema diverso, e quella parallela della sua controfigura, lo stunt man e suo amico nonché angelo custode Cliff Booth (Brad Pitt), ex combattente, a quanto si dice "moglicida", che vive in una roulotte in compagnia di Brenda, una pitbull dolce quanto feroce all'occorrenza, del tutto simile nel carattere al suo compagno bipede: si alternano le giornate di lavoro di Rick, tra una ripresa, magagne e incontri fra set e studios, compresa la trasferta in Italia da dove torna con qualche soldo, una moglie e tanti dubbi in più, e quelle di Cliff, in giro per le strade di Hollywood e dintorni, a cominciare dagli ex studios in smantellamento dove aveva girato anni prima e ora occupati dai membri della Family di Charles Manson. Eh, sì, perché nell'ancora rutilante Mecca del cinema di quel fatale 1969 (era anche l'anno dello sbarco sulla Luna ma il buon Quentin, e glie ne siamo eternamente grati, ci risparmia la commemorazione dell'evento) c'erano anche loro e non solo: vicini di casa di Rick, e all'occasione di Cliff quando lo assiste nei momenti di delirio alcolico, sono Roman Polanski e il suo entourage, a cominciare dalla moglie Sharon Tate, che dalla Manson Family verrà massacrata insieme ad altri amici il 9 agosto di quell'anno nella realtà, ma non nella versione di Tarantino: è lei il terzo personaggio principale del film, interpretata dalla fulgida Margot Robbie, che attraversa la pellicola come una fata innocente, sempre stupefatta da quel mondo magico che era, o sembrava, quello del cinema di una volta. Una favola a lieto fine, come dev'essere una favola bella. E quella del buon Quentin lo è. Per me, scontato quanto si vuole, il massimo dei voti e un bravissimo a tutti, con menzione speciale per Damian Lewis (il Bobby Axelrod di Billions, per intenderci), che nella parte di Steve McQueen è sensazionale e Margaret Qually in quella di Pussycat, in quelli della hippie svitata che vuole accalappiare lo scettico Cliff.
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