"Trieste, Yugoslavia" di Alessio Bozzer. Italia 2017 ★★★★
Altra chicca degna di nota nell'annuale traversata del deserto costituita dalla stagione cinematografica estiva, questa volta un vero e proprio documenario, nello stile di quelli che trasmetteva la RAI quando era ancora un'azienda seria e che si trovano qualche volta nei canali tematici o nelle teche, prodotto da VideoEst di Trieste in coproduzione con Missart (Zagabria) e Al Jazeera Balkans (Sarajevo), che racconta attraverso interviste e filmati d'epoca gli anni, a partire dalla metà degli anni Sessanta, "quando Ponterosso era il più grande centro commerciale dei Balcan)". La piazza, nel cuore del Borgo Teresiano, ossia nel pieno centro della città, era diventata la Mecca per i cittadini della ex-Jugoslavia che ogni fine settimana, grazie a quella che era la frontiera più aperta tra Est e Ovest, e in particolare dopo il Trattato di Osimo del 1976, vi arrivavano a migliaia con ogni mezzo: treni, corriere che invadevano le Rive, quelli da più vicino a bordo delle mitiche Zastava. Il mercato della frutta e verdura che vi si teneva abitualmente veniva sfrattato in un angolo della piazza e al suo posto venivano montate decine di bancarelle che vendevano soprattutto vestiti e, curiosamente, bambole; poi, negli anni Settanta e Ottanta, scoppiò il fenomeno dei blue jeans, chiamati cowbojka dai nostri vicini orientali presso i quali erano assurti a status symbol, e tutta la zona circostante si riempì di negozi, empori, magazzini di cui oggi rimane qualche malinconica traccia in qualche esercizio a gestione cinese tra la stazione ferroviaria e il Canal Grande. Un affare colossale per la città e i suoi commercanti (anche se molti non vedevano di buon occhio l'arrivo de tuti 'sti s-ciàvi), con almeno 8 milioni di paia di jeans venduti all'anno, difficile stimare quanti in nero, e centinaia di migliaia di cittadini jugoslavi che arrivavano e compravano di tutto, una manna finita all'improvviso con l'implosione della RSFJ e le successive, dolorose guerre balcaniche. Contribuiscono al documentario le testimonianzie di artisti come Željko Senečić, attori Rade Šerbedžija, scrittori come Dragan Velikić e Slavenka Draculić, giornalisti come Denis Kuljiš, Claudio Ernè, e Pierluigi Sabatti, antropologi e storici come Ivo Banac, Saša Mišić, Bojan Mitrović, musicisti come Goran Bregović, ma anche molti negozianti locali e semplici compratori del periodo che raccontano la loro esperienza, le peripezie dei loro viaggi in pullman, treno e macchina per raggiungere Trieste, nonché i doganieri che illustrano i trucchi utilizzati per contrabbandare la merce e gli episodi più curiosi. Rispetto a oggi, lasciatemelo dire, bei tempi, e non è solo la nostalgia che me lo fa dire e dei ricordi che per me sono ancora molto vivi. Come lo era la città, più di ora, e come lo era la Jugoslavia unita, con tutti i suoi difetti. Avercene...
Altra chicca degna di nota nell'annuale traversata del deserto costituita dalla stagione cinematografica estiva, questa volta un vero e proprio documenario, nello stile di quelli che trasmetteva la RAI quando era ancora un'azienda seria e che si trovano qualche volta nei canali tematici o nelle teche, prodotto da VideoEst di Trieste in coproduzione con Missart (Zagabria) e Al Jazeera Balkans (Sarajevo), che racconta attraverso interviste e filmati d'epoca gli anni, a partire dalla metà degli anni Sessanta, "quando Ponterosso era il più grande centro commerciale dei Balcan)". La piazza, nel cuore del Borgo Teresiano, ossia nel pieno centro della città, era diventata la Mecca per i cittadini della ex-Jugoslavia che ogni fine settimana, grazie a quella che era la frontiera più aperta tra Est e Ovest, e in particolare dopo il Trattato di Osimo del 1976, vi arrivavano a migliaia con ogni mezzo: treni, corriere che invadevano le Rive, quelli da più vicino a bordo delle mitiche Zastava. Il mercato della frutta e verdura che vi si teneva abitualmente veniva sfrattato in un angolo della piazza e al suo posto venivano montate decine di bancarelle che vendevano soprattutto vestiti e, curiosamente, bambole; poi, negli anni Settanta e Ottanta, scoppiò il fenomeno dei blue jeans, chiamati cowbojka dai nostri vicini orientali presso i quali erano assurti a status symbol, e tutta la zona circostante si riempì di negozi, empori, magazzini di cui oggi rimane qualche malinconica traccia in qualche esercizio a gestione cinese tra la stazione ferroviaria e il Canal Grande. Un affare colossale per la città e i suoi commercanti (anche se molti non vedevano di buon occhio l'arrivo de tuti 'sti s-ciàvi), con almeno 8 milioni di paia di jeans venduti all'anno, difficile stimare quanti in nero, e centinaia di migliaia di cittadini jugoslavi che arrivavano e compravano di tutto, una manna finita all'improvviso con l'implosione della RSFJ e le successive, dolorose guerre balcaniche. Contribuiscono al documentario le testimonianzie di artisti come Željko Senečić, attori Rade Šerbedžija, scrittori come Dragan Velikić e Slavenka Draculić, giornalisti come Denis Kuljiš, Claudio Ernè, e Pierluigi Sabatti, antropologi e storici come Ivo Banac, Saša Mišić, Bojan Mitrović, musicisti come Goran Bregović, ma anche molti negozianti locali e semplici compratori del periodo che raccontano la loro esperienza, le peripezie dei loro viaggi in pullman, treno e macchina per raggiungere Trieste, nonché i doganieri che illustrano i trucchi utilizzati per contrabbandare la merce e gli episodi più curiosi. Rispetto a oggi, lasciatemelo dire, bei tempi, e non è solo la nostalgia che me lo fa dire e dei ricordi che per me sono ancora molto vivi. Come lo era la città, più di ora, e come lo era la Jugoslavia unita, con tutti i suoi difetti. Avercene...
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