"Dove non ho mai abitato" di Paolo Franchi. Con Emmanuelle Devos, Fabrizio Gifuni, Giulio Brogi, Hippolyte Girardot, Isabella Briganti, Giulia Michelini, Fausto Cabra e altri. Italia 2017 ★★★★
Quarto lavoro di Paolo Franchi, autore che centellina le sue regie, che mi non mi aveva ispirato quand'era uscito nelle sale, nell'autunno dell'anno scorso, paventando una caduta nel più scontato mélo di ambientazione borghese, sono contento di aver cambiato idea e rimediato con la riproposizione estiva, perché se è vero che la storia si dipana nel milieu dell'architettura di alto livello (vedi le case, sia quelle d'abitazione dei personaggi principali, sia la villa in ristrutturazione fuori Torino a cui lavorano i due protagonisti) e la vicenda quella di un amore che nasce per attrazione e affinità elettive ma che non riesce a realizzarsi del tutto, il film innesca riflessioni sulle scelte di vita che sono universali e fa leva su sentimenti e situazioni che travalicano l'appartenenza sociale. Massimo (Gifuni) e Francesca (Devos) sono due architetti cinquantenni, il primo allievo prediletto ed erede professionale nonché socio di studio di Manfredi (Brogi: un monumento), professionista di fama internazionale 84 enne, la seconda è la figlia del Maestro, talentuosa anche lei ma che ha scelto di abbandonare la professione venti anni prima e trasferirsi a Parigi per sposare un ricco finanziere francese che il padre disprezza, ma soprattutto non le perdona di aver sprecato, con una scelta così pavida, a suo avviso, le sue doti. I due si conoscono quando Francesca torna per un certo periodo a Torino ad assistere il genitore che si è fratturato il femore e questi si industria perché lo sostituisca e affianchi Massimo nei lavori di completamento della villa di cui sopra, con la speranza che la figlia riscopra la sua vera vocazione e intuendone la compatibilità col suo erede professionale: entrambi introversi, sensibili, a cui manca qualcosa. E infatti la scintilla scocca, ma in maniera non scontata e attraverso un percorso graduale che il regista illustra facendo emergere man mano dai due interpreti, bravissimi entrambi (Gifuni senz'altro fra i più sensibili e versatili che abbiamo in Italia), tutte le sfaccettature più nascoste dei loro caratteri e le loro insicurezze, facendo trasparire come il diverso rapporto con i genitori abbia determinato le rispettive scelte. E' anche e soprattutto un film sulle occasioni mancate e l'amara coscienza che se ne ha una volta raggiunta la mezza età: quella di seguire fino in fondo le proprie passioni per Francesca, che ha preferito rinunciarvi anche per le eccessive pressioni paterne; quella di instaurare un rapporto d'amore vero e di formare una famiglia per Massimo che, parafrasando il titolo, costruisce case che non abita, tant'è vero che nel suo appartamento stazionano ancora gli scatoloni dall'ultimo trasloco avvenuto due anni prima e la relazione con la donna che frequenta rimane in una situazione congelata e sospesa senza evolversi. Fotografia eccellente, misura, grazia, tempi giusti, interpretazioni tutte di alto livello, una sceneggiatura solida: un ottimo film, altamente consigliato alle signore, ma non solo; e che ricorda per qualche verso non secondario Antonioni.
Quarto lavoro di Paolo Franchi, autore che centellina le sue regie, che mi non mi aveva ispirato quand'era uscito nelle sale, nell'autunno dell'anno scorso, paventando una caduta nel più scontato mélo di ambientazione borghese, sono contento di aver cambiato idea e rimediato con la riproposizione estiva, perché se è vero che la storia si dipana nel milieu dell'architettura di alto livello (vedi le case, sia quelle d'abitazione dei personaggi principali, sia la villa in ristrutturazione fuori Torino a cui lavorano i due protagonisti) e la vicenda quella di un amore che nasce per attrazione e affinità elettive ma che non riesce a realizzarsi del tutto, il film innesca riflessioni sulle scelte di vita che sono universali e fa leva su sentimenti e situazioni che travalicano l'appartenenza sociale. Massimo (Gifuni) e Francesca (Devos) sono due architetti cinquantenni, il primo allievo prediletto ed erede professionale nonché socio di studio di Manfredi (Brogi: un monumento), professionista di fama internazionale 84 enne, la seconda è la figlia del Maestro, talentuosa anche lei ma che ha scelto di abbandonare la professione venti anni prima e trasferirsi a Parigi per sposare un ricco finanziere francese che il padre disprezza, ma soprattutto non le perdona di aver sprecato, con una scelta così pavida, a suo avviso, le sue doti. I due si conoscono quando Francesca torna per un certo periodo a Torino ad assistere il genitore che si è fratturato il femore e questi si industria perché lo sostituisca e affianchi Massimo nei lavori di completamento della villa di cui sopra, con la speranza che la figlia riscopra la sua vera vocazione e intuendone la compatibilità col suo erede professionale: entrambi introversi, sensibili, a cui manca qualcosa. E infatti la scintilla scocca, ma in maniera non scontata e attraverso un percorso graduale che il regista illustra facendo emergere man mano dai due interpreti, bravissimi entrambi (Gifuni senz'altro fra i più sensibili e versatili che abbiamo in Italia), tutte le sfaccettature più nascoste dei loro caratteri e le loro insicurezze, facendo trasparire come il diverso rapporto con i genitori abbia determinato le rispettive scelte. E' anche e soprattutto un film sulle occasioni mancate e l'amara coscienza che se ne ha una volta raggiunta la mezza età: quella di seguire fino in fondo le proprie passioni per Francesca, che ha preferito rinunciarvi anche per le eccessive pressioni paterne; quella di instaurare un rapporto d'amore vero e di formare una famiglia per Massimo che, parafrasando il titolo, costruisce case che non abita, tant'è vero che nel suo appartamento stazionano ancora gli scatoloni dall'ultimo trasloco avvenuto due anni prima e la relazione con la donna che frequenta rimane in una situazione congelata e sospesa senza evolversi. Fotografia eccellente, misura, grazia, tempi giusti, interpretazioni tutte di alto livello, una sceneggiatura solida: un ottimo film, altamente consigliato alle signore, ma non solo; e che ricorda per qualche verso non secondario Antonioni.
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