"Chuck Norris vs Communism" di Ilinca Calugareanu. Con Irina Nistor, Ana Maria Moldovan, Toader Zamfir, Dan Chiorean e altri. GB 2015 ★★★★
Anche quest'anno la stagione estiva, pressoché morta per quanto riguarda le uscite in sala, risulta invece fruttuosa per il doveroso recupero o riproposizione di alcune chicche cinematografiche, tra cui è senz'altro da annoverare questa della giovane regista romena Ilinca Calugareanu, a metà tra il documentario e il noir, che racconta come negli ultimi anni della dittatura di Nicolae Ceausescu, quando il controllo su ogni aspetto della vita dei suoi "sudditi" era diventato particolarmente ossessivo (il Conducator presentiva la propria fine e, dopo aver demolito chiese, raso al suolo decine di villaggi, letteralmente "spostato" interi palazzi nonché ridotto i canali televisivi da due a uno, che trasmetteva per due sole ore al giorno oltre a lasciare l'intero Paese praticamente al buio dopo il tramonto nell'intento di risparmiare sulla bolletta energetica, dopo essersi inimicato perfino Mosca), e in particolare su qualsiasi contaminazione giungesse dall'estero per preservare la purezza ideologica dell'Uomo Nuovo, l'unico "assaggio" di mondo esterno che avessero i cittadini romeni fosse costituito dal cinema per mezzo delle videocassete che venivano contrabbandate dall'Occidente attraverso la frontiera ungherese, una delle più "porose", specie in direzione Austria, dall'ingegnoso e intraprendente Toader Zamfir (che appare come sé stesso nel finale del film) che le faceva doppiare da Irina Nistor (anche lei appare nel finale) la quale, per colmo, ufficialmente lavorava alla Commissione Censura del regime, come traduttrice. La quale interpretava tutte le voci, fossero maschili o femminili, e aveva il vezzo di non pronunciare espressioni triviali sostituendole locuzioni che finivano per avere un effetto spiazzante e spesso comico, ma il cui tono era conosciuto e benvoluto in tutto il Paese: le poche volte in cui fu sostituita da un altro, il pubblico, in continua espansione, non ne voleva sapere. Già, perché gli affari del signor Zamfir andavano a gonfie vele: lui procedeva all'importazione, traduzione e in parte alla duplicazione delle videocassette, altri le smistavano, infine finivano nelle mani di chi provvedeva a organizzare le proiezioni clandestine nei propri salotti ai condomini degli orridi falansteri in stile staliniano che hanno sfregiato il panorama umiliando la pregevole architettura locale dietro modico compenso: così ognuno ci guadagnava qualcosa e in più poteva farsi un'idea, per quanto distorta dalla lente hollywoodiana, di cosa succedesse nel mondo capitalista. Come accennato, il film consta del racconto di come avvenissero traffico e proiezioni fino alla loro scoperta da parte della famigerata Securitate (la polizia segreta, che chiudeva un occhio e non riferiva nulla al Grande Capo perché i suoi stessi funzionari appartenevano alla rete di Zamfir o comunque erano fruitori della sua attività) e delle testimonianze degli spettatori di allora, i quali rievocano l'incanto e le impressioni che ricevevano da quelle immagini spesso sfocate e mal riprodotte, e l'atmosfera di quelle serate che per alcuni, già allora adulti, avevano un significato di resistenza e di sfida, e per chi allora era bambino o ragazzo una sorta di educazione sentimentale. Interessante, simpatico, intelligente, autentico. Una storia vera e ben narrata: qualcosa più di un film o, meglio, qualcosa di diverso.
Anche quest'anno la stagione estiva, pressoché morta per quanto riguarda le uscite in sala, risulta invece fruttuosa per il doveroso recupero o riproposizione di alcune chicche cinematografiche, tra cui è senz'altro da annoverare questa della giovane regista romena Ilinca Calugareanu, a metà tra il documentario e il noir, che racconta come negli ultimi anni della dittatura di Nicolae Ceausescu, quando il controllo su ogni aspetto della vita dei suoi "sudditi" era diventato particolarmente ossessivo (il Conducator presentiva la propria fine e, dopo aver demolito chiese, raso al suolo decine di villaggi, letteralmente "spostato" interi palazzi nonché ridotto i canali televisivi da due a uno, che trasmetteva per due sole ore al giorno oltre a lasciare l'intero Paese praticamente al buio dopo il tramonto nell'intento di risparmiare sulla bolletta energetica, dopo essersi inimicato perfino Mosca), e in particolare su qualsiasi contaminazione giungesse dall'estero per preservare la purezza ideologica dell'Uomo Nuovo, l'unico "assaggio" di mondo esterno che avessero i cittadini romeni fosse costituito dal cinema per mezzo delle videocassete che venivano contrabbandate dall'Occidente attraverso la frontiera ungherese, una delle più "porose", specie in direzione Austria, dall'ingegnoso e intraprendente Toader Zamfir (che appare come sé stesso nel finale del film) che le faceva doppiare da Irina Nistor (anche lei appare nel finale) la quale, per colmo, ufficialmente lavorava alla Commissione Censura del regime, come traduttrice. La quale interpretava tutte le voci, fossero maschili o femminili, e aveva il vezzo di non pronunciare espressioni triviali sostituendole locuzioni che finivano per avere un effetto spiazzante e spesso comico, ma il cui tono era conosciuto e benvoluto in tutto il Paese: le poche volte in cui fu sostituita da un altro, il pubblico, in continua espansione, non ne voleva sapere. Già, perché gli affari del signor Zamfir andavano a gonfie vele: lui procedeva all'importazione, traduzione e in parte alla duplicazione delle videocassette, altri le smistavano, infine finivano nelle mani di chi provvedeva a organizzare le proiezioni clandestine nei propri salotti ai condomini degli orridi falansteri in stile staliniano che hanno sfregiato il panorama umiliando la pregevole architettura locale dietro modico compenso: così ognuno ci guadagnava qualcosa e in più poteva farsi un'idea, per quanto distorta dalla lente hollywoodiana, di cosa succedesse nel mondo capitalista. Come accennato, il film consta del racconto di come avvenissero traffico e proiezioni fino alla loro scoperta da parte della famigerata Securitate (la polizia segreta, che chiudeva un occhio e non riferiva nulla al Grande Capo perché i suoi stessi funzionari appartenevano alla rete di Zamfir o comunque erano fruitori della sua attività) e delle testimonianze degli spettatori di allora, i quali rievocano l'incanto e le impressioni che ricevevano da quelle immagini spesso sfocate e mal riprodotte, e l'atmosfera di quelle serate che per alcuni, già allora adulti, avevano un significato di resistenza e di sfida, e per chi allora era bambino o ragazzo una sorta di educazione sentimentale. Interessante, simpatico, intelligente, autentico. Una storia vera e ben narrata: qualcosa più di un film o, meglio, qualcosa di diverso.
Nessun commento:
Posta un commento