"Una questione privata" di Paolo e Vittorio Taviani. Con Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy, Valentina Bellè, Francesca Agostini, Jacopo Olmo Antinori. Italia, Francia 2017 ★½
Ennesimo adattamento letterario nella loro interminbabile carriera e, per quanto mi riguarda, ennesima occasione in cui mi chiedo il motivo per cui il cinema dei Fratelli Taviani (una specie di marchio COOP) sia tanto osannato. Dalla critica, s'intende, in particolare quella militonta di matrice ex comunista, molto meno dal pubblico. Della loro produzione ho apprezzato davvero un solo film: Cesare deve morire, che peraltro era un documentario su uno spettacolo teatrale realizzato da detenuti nel carcere di Rebibbia, e solo per la parte che li vedeva in scena: tutto il resto è noia, velleitarismo e artificio, benché ci provino ogni volta a inserire elementi ironici (che quasi nessuno è in grado di cogliere realmente), semplicità, realismo. Anzi: più insistono sul vero e sull'autentico e più risultano posticci. L'impressione è sempre di assistere a qualcosa di stantìo, scollegato, senza ritmo: c'è immobilità anche nell'azione, che pure in Una questione privata, tratto da un romanzo incompiuto di Beppe Fenoglio, esiste. Perfino interpreti bravissimi e intensi come Luca Marinelli (l'unico motivo che mi abbia motivato a vedere la pellicola, dando per scontato che avrebbero rovinato il mio amato Fenoglio) mostrano la corda e sembrano recitare roboticamente. Marinelli è Milton, uno studente che fa parte della resistenza badogliana nelle Langhe, che capitando nella villa dove aveva conosciuto e s'era innamorato di Fulvia, una studentessa torinese sfollata, viene a sapere dalla custode che forse c'è stata una relazione tra lei e il suo migliore amico, Giorgio, anche lui partigiano, ma in una formazione diversa dalla sua. Per scoprire la verità va a cercarlo, e quando Giorgio viene catturato dai repubblichini il pensiero diventa doppiamente ossessivo e parte alla disperata caccia di un fascista da catturare a sua volta e scambiare con l'amico. Ecco: sul lato umano, personale di chi aveva partecipato alla lotta partigiana aveva scritto in questo romanzo Fenoglio, come ne Il partigiano Johnny, lontani dalla retorica della Resistenza tanto cara al PCI e ai suoi discendenti fino ai giorni nostri, convinti come erano e sono di averne l'esclusiva, e questo traspare sì nel film dei Taviani, ma facendo di Milton un personaggio più che altro grottesco, e anche degli altri non ce n'è uno che susciti un minimo di empatia. Insomma, una cosa di poco spessore e piuttosto squallida che per fortuna dura soltanto 84 minuti che però sembrano il doppio.
Ennesimo adattamento letterario nella loro interminbabile carriera e, per quanto mi riguarda, ennesima occasione in cui mi chiedo il motivo per cui il cinema dei Fratelli Taviani (una specie di marchio COOP) sia tanto osannato. Dalla critica, s'intende, in particolare quella militonta di matrice ex comunista, molto meno dal pubblico. Della loro produzione ho apprezzato davvero un solo film: Cesare deve morire, che peraltro era un documentario su uno spettacolo teatrale realizzato da detenuti nel carcere di Rebibbia, e solo per la parte che li vedeva in scena: tutto il resto è noia, velleitarismo e artificio, benché ci provino ogni volta a inserire elementi ironici (che quasi nessuno è in grado di cogliere realmente), semplicità, realismo. Anzi: più insistono sul vero e sull'autentico e più risultano posticci. L'impressione è sempre di assistere a qualcosa di stantìo, scollegato, senza ritmo: c'è immobilità anche nell'azione, che pure in Una questione privata, tratto da un romanzo incompiuto di Beppe Fenoglio, esiste. Perfino interpreti bravissimi e intensi come Luca Marinelli (l'unico motivo che mi abbia motivato a vedere la pellicola, dando per scontato che avrebbero rovinato il mio amato Fenoglio) mostrano la corda e sembrano recitare roboticamente. Marinelli è Milton, uno studente che fa parte della resistenza badogliana nelle Langhe, che capitando nella villa dove aveva conosciuto e s'era innamorato di Fulvia, una studentessa torinese sfollata, viene a sapere dalla custode che forse c'è stata una relazione tra lei e il suo migliore amico, Giorgio, anche lui partigiano, ma in una formazione diversa dalla sua. Per scoprire la verità va a cercarlo, e quando Giorgio viene catturato dai repubblichini il pensiero diventa doppiamente ossessivo e parte alla disperata caccia di un fascista da catturare a sua volta e scambiare con l'amico. Ecco: sul lato umano, personale di chi aveva partecipato alla lotta partigiana aveva scritto in questo romanzo Fenoglio, come ne Il partigiano Johnny, lontani dalla retorica della Resistenza tanto cara al PCI e ai suoi discendenti fino ai giorni nostri, convinti come erano e sono di averne l'esclusiva, e questo traspare sì nel film dei Taviani, ma facendo di Milton un personaggio più che altro grottesco, e anche degli altri non ce n'è uno che susciti un minimo di empatia. Insomma, una cosa di poco spessore e piuttosto squallida che per fortuna dura soltanto 84 minuti che però sembrano il doppio.
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