"Copenaghen" di Michael Frayn. Traduzione di Filippo Ottoni e Maria Teresa Petruzzi, regia di Mauro Avogadro. Con Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Giuliana Lojodice. Scene di Giacomo Andrico; costumi di Gabriele Meyer; luci di Giancarlo Salvatori; musiche di Andrea Liberovici. Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione - CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli-Venezia Giulia.
Un balsamo per il cuore e un tonico per la mente questa immersione in un'immaginaria aula di fisica, una scenografia fatta di lavagne con formule matematiche alle spalle di un palco con quattro sedie di metallo, utilizzate e spostate all'occorrenza dai tre magnifici interpreti, che immaginariamente rievocano, post mortem, un incontro realmente avvenuto nel settembre del 1941 nella capitale della Danimarca ai tempi occupata dai nazisti, fra due premi Nobel per la fisica, entrambi tra i fondatori della meccanica quantistica, con Werner Heisenberg (Massimo Popolizio), padre del principio di indeterminazione, a capo del programma atomico di Hitler, a rendere visita al suo mentore e vecchio maestro Niels Bohr (Umberto Orsini), a malapena tollerato dagli occupanti in quanto mezzo ebreo. Terza voce, a fare da moderatore ma per nulla neutrale, la moglie di Bohr, Margrethe, per cercare di chiarire quale fu il motivo per cui quella visita tra maestro e allievo, tra cui esisteva un rapporto simile a quello tra padre e figlio, con tutte le contraddizioni che gli sono proprie, si concluse bruscamente con la rottura dell'antico sodalizio tra i due, motivo mai chiarito dalle parti in causa mentre erano ancora in vita. La vicenda viene ricostruita da ciascuno dei personaggi secondo il proprio punto di vista che, a parte quello piuttosto manicheo di Margrethe, è piuttosto indeterminato, a proposito del principio fisico che sta alla base della visione di Heisenberg e condiviso dallo stesso Bohr, e la discussione fra i tre, fra ricordi, ipotesi scientifiche, quesiti filosofici, influenzata da elementi e considerazioni contraddittori, ruota alla fine sull'eticità della ricerca in generale e per i dilemmi morali che pone in particolare quella sulla fissione nucleare in quel tempo di guerra. Fino a che punto ci si può spingere? E' o no la scienza responsabile dell'uso che viene fatto delle sue scoperte? Forse il rapporto fra i due luminari si era già deteriorato prima di quel fatidico incontro a Copenaghen senza che se ne accorgessero a causa di rancori non sopiti e di scelte diverse, come pare sostenere Margrethe, e forse la causa della rottura non fu proposta indecente avanzata da Heisenberg. Il quale forse ebbe più di uno scrupolo nel portare a termine le sue ricerche: egli confermò a Bohr in quell'occasione che Hitler stava puntando alla costruzione di un'arma definitiva dicendosi però certo che non ci sarebbe arrivato, come poi fu; in compenso Bohr successivamente ebbe una parte nel progetto Manhattan, trasferendosi negli USA, il cui governo decise di sperimentare la bomba su Hiroshima prima e Nagasaki tre giorni dopo, a guerra praticamente già vinta: un massacro perfettamente gratuito, un crimine di cui non hanno mai pagato il conto. Teatro semplice, magistralmente efficace, nonostante la complessità delle questioni poste sul tappeto: che fa riflettere. Essenziale la messa in scena, tre attori straordinari per nitore, ritmo, capacità di immedesimazione. Sala piena, all'Auditorium Zanon di Udine ieri sera, pubblico ipnotizzato e plaudente, che sarebbe stato pronto per un bis.
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