"Lady Macbeth" di William Oldroyd. Con Florence Pugh, Cosmo Jarvis, Naomi Ackie, Paul Hilton, Christopher Fairbank, Golda Rosheuvel e altri. Gran Bretagna 2016 ★½
Sei inquadrature fisse: tre in interno (sala da pranzo, camera da letto, vano scala) tre al'esterno (brughiera, cortile, stalla); un personaggio principale, la Lady Macbeth del titolo, con riferimento a quella originale di Shakespeare mentre la vicenda è tratta dal racconto breve di un autore russo, e gli altri che le ruotano attorno: suocero, marito, governante, stalliere/amante. Che William Oldroyd, esordiente al cinema, provenga dal teatro, e che questo sia il suo ambiente naturale, non c'è dubbio. Siamo sul finire del XIX secolo in un maniero di un'Inghilterra del Nord che, in quanto ad affollamento di coloured, sembra essere l'Alabama: ciò che cambia è la luce, fredda, opprimente, inquietante, come lo sguardo di Catherine, una diciassettenne diversamente attraente, almeno per i miei giusti, comprata in cambio di un terreno da un vecchio nobile latifondista per dare un erede al figlio negligente, violento e completamente disinteressato alla moglie. La quale vive sotto le loro direttive come una reclusa di fatto, ma che prende in mano la propria esistenza e dà sfogo alle sue pulsioni erotiche così come di potere nel momento in cui i due maschi si assentano: il suocero per affari a Londra, il marito, in perenne disaccordo col padre, per destinazione ignota. Catherine "va in fissa" per un prestante stalliere e matura in lei l'idea di fare in modo di eliminare qualsiasi ostacolo si frapponga alla sua volontà di dividere la propria vita con lui, dando così via a una serie di omicidi che eliminano tutta la parte maschile della famiglia, compreso un figlio naturale del marito, pure questo meticcio, comparso non si sa da dove a reclamare i suo diritti quando il padre è stato dichiarato scomparso (in realtà accoppato dalla moglie con l'aiuto dello stalliere). Il polpettone vittoriano vira al noir con svariati colpi di scena, ma le trame di Lady Macbeth, che alla fine ha manipolato e coinvolto anche il recalcitrante ma poi pentito amante, hanno come conseguenza che rimanga nuovamente ingabbiata, questa volta nella solitudine per essersi creata il vuoto intorno. Se Oldroyd ha scomodato un personaggio così evocativo immagino che secondo lui simboleggi qualcosa, ed è proprio quel qualcosa, il "messaggio", o il senso che sfugge in questa storia, per quanto ben fotografata, accettabilmente recitata (ma nulla più) e più cupa che tesa. Per fortuna il tetro feuilleton dura appena 89', eppure il fatto che in questo breve lasso di tempo mi sia ritrovato a guardare l'ora per ben tre volte avrà pure il suo perché. O no?
Sei inquadrature fisse: tre in interno (sala da pranzo, camera da letto, vano scala) tre al'esterno (brughiera, cortile, stalla); un personaggio principale, la Lady Macbeth del titolo, con riferimento a quella originale di Shakespeare mentre la vicenda è tratta dal racconto breve di un autore russo, e gli altri che le ruotano attorno: suocero, marito, governante, stalliere/amante. Che William Oldroyd, esordiente al cinema, provenga dal teatro, e che questo sia il suo ambiente naturale, non c'è dubbio. Siamo sul finire del XIX secolo in un maniero di un'Inghilterra del Nord che, in quanto ad affollamento di coloured, sembra essere l'Alabama: ciò che cambia è la luce, fredda, opprimente, inquietante, come lo sguardo di Catherine, una diciassettenne diversamente attraente, almeno per i miei giusti, comprata in cambio di un terreno da un vecchio nobile latifondista per dare un erede al figlio negligente, violento e completamente disinteressato alla moglie. La quale vive sotto le loro direttive come una reclusa di fatto, ma che prende in mano la propria esistenza e dà sfogo alle sue pulsioni erotiche così come di potere nel momento in cui i due maschi si assentano: il suocero per affari a Londra, il marito, in perenne disaccordo col padre, per destinazione ignota. Catherine "va in fissa" per un prestante stalliere e matura in lei l'idea di fare in modo di eliminare qualsiasi ostacolo si frapponga alla sua volontà di dividere la propria vita con lui, dando così via a una serie di omicidi che eliminano tutta la parte maschile della famiglia, compreso un figlio naturale del marito, pure questo meticcio, comparso non si sa da dove a reclamare i suo diritti quando il padre è stato dichiarato scomparso (in realtà accoppato dalla moglie con l'aiuto dello stalliere). Il polpettone vittoriano vira al noir con svariati colpi di scena, ma le trame di Lady Macbeth, che alla fine ha manipolato e coinvolto anche il recalcitrante ma poi pentito amante, hanno come conseguenza che rimanga nuovamente ingabbiata, questa volta nella solitudine per essersi creata il vuoto intorno. Se Oldroyd ha scomodato un personaggio così evocativo immagino che secondo lui simboleggi qualcosa, ed è proprio quel qualcosa, il "messaggio", o il senso che sfugge in questa storia, per quanto ben fotografata, accettabilmente recitata (ma nulla più) e più cupa che tesa. Per fortuna il tetro feuilleton dura appena 89', eppure il fatto che in questo breve lasso di tempo mi sia ritrovato a guardare l'ora per ben tre volte avrà pure il suo perché. O no?
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