"Ex Machina" di Alex Garland. Con Domhall Gleeson, Oscar Isaac, Alicia Vikander, Sonoya Mizuno, Chelsea Li, Corey Johnson. USA, GB 2014 ★★★½
Convincente l'esordio alla regia per il romanziere inglese Alex Garland, che già aveva affrontato la fantascienza sceneggiando "28 giorni dopo" e soprattutto lo struggente "Non lasciarmi" che, in qualche modo, aveva a che fare con la clonazione: solo che in quel caso si trattava di esseri umani allevati apposta per fornire organi da trapiantare in individui malati, mentre in "Ex Machina" l'argomento è un esperimento di intelligenza artificiale alimentata dalla "mente collettiva" estrapolata dai dati raccolti su scala planetaria dal maggiore motore di ricerca esistente. Caleb, un giovane programmatore di questo colosso informatico, viene scelto, in modo apparentemente neutro attraverso una sorta di concorso interno, per testare la validità dell'ultimo esperimento del mitico, pressoché irraggiungibile fondatore della Corporation, che isolato vive in mezzo alle montagne in una specie di eremo a cui si accede solo via elicottero e superando una serie di barriere elettroniche da lui stesso predisposte. Lì Natan ha creato Ava, una ragazza cibernetica che, sottoposta ai test di Caleb, si conferma raziocinante e autoconsapevole, al punto di far venire più di un sospetto che a essere testato sia proprio il giovane, ingenuo programmatore, che a sua volta scopre man mano di essere stato manovrato dal suo superiore, di per sé alle prese con la sindrome di Frankenstein, e sempre più convinto di possedere qualità demiurgiche. In un gioco psicologico di inganni reciproci, non stupisce che a rilevarsi più umano e a suscitare le simpatie dello spettatore finisca per essere l'ultimo modello di androide nonché quelli che l'hanno preceduto, e che vengono scoperti da Caleb nel corso della sua settimana nel rifugio-laboratorio di Natan, perché se non altro è conscio dei propri limiti che, per definizione, non può superare. Cosa che non potrà mai fare l'umano: perché per quanti confini l'uomo possa porsi in nome dell'etica e della morale, ognuno li intende a modo suo e comunque ci sarà sempre qualcuno che cercherà di oltrepassarli (Prometeo insegna, da almeno tremila anni). Il tema è ricorrente nella fantascienza e quindi il film non affronta nulla che non sia già stato detto e raccontato, però è ben girato, la vicenda non lontana dall'essere credibile e comunque verosimile in un futuro assai prossimo, e suscita inevitabilmente riflessioni che portano a sperare che a questo punto non si sia già arrivati a nostra insaputa: non tanto che gli androidi girino tra noi ma che, senza rendercene conto, siamo noi stessi ad esserlo diventati. Se così fosse, meglio non saperlo nemmeno. La pellicola è ben girata, le tensione che si crea è quella giusta e le sorprese ben disseminate lungo lo sviluppo del racconto e le interpretazioni di buon livello: per un caldo pomeriggio agostano va più che bene così!
Convincente l'esordio alla regia per il romanziere inglese Alex Garland, che già aveva affrontato la fantascienza sceneggiando "28 giorni dopo" e soprattutto lo struggente "Non lasciarmi" che, in qualche modo, aveva a che fare con la clonazione: solo che in quel caso si trattava di esseri umani allevati apposta per fornire organi da trapiantare in individui malati, mentre in "Ex Machina" l'argomento è un esperimento di intelligenza artificiale alimentata dalla "mente collettiva" estrapolata dai dati raccolti su scala planetaria dal maggiore motore di ricerca esistente. Caleb, un giovane programmatore di questo colosso informatico, viene scelto, in modo apparentemente neutro attraverso una sorta di concorso interno, per testare la validità dell'ultimo esperimento del mitico, pressoché irraggiungibile fondatore della Corporation, che isolato vive in mezzo alle montagne in una specie di eremo a cui si accede solo via elicottero e superando una serie di barriere elettroniche da lui stesso predisposte. Lì Natan ha creato Ava, una ragazza cibernetica che, sottoposta ai test di Caleb, si conferma raziocinante e autoconsapevole, al punto di far venire più di un sospetto che a essere testato sia proprio il giovane, ingenuo programmatore, che a sua volta scopre man mano di essere stato manovrato dal suo superiore, di per sé alle prese con la sindrome di Frankenstein, e sempre più convinto di possedere qualità demiurgiche. In un gioco psicologico di inganni reciproci, non stupisce che a rilevarsi più umano e a suscitare le simpatie dello spettatore finisca per essere l'ultimo modello di androide nonché quelli che l'hanno preceduto, e che vengono scoperti da Caleb nel corso della sua settimana nel rifugio-laboratorio di Natan, perché se non altro è conscio dei propri limiti che, per definizione, non può superare. Cosa che non potrà mai fare l'umano: perché per quanti confini l'uomo possa porsi in nome dell'etica e della morale, ognuno li intende a modo suo e comunque ci sarà sempre qualcuno che cercherà di oltrepassarli (Prometeo insegna, da almeno tremila anni). Il tema è ricorrente nella fantascienza e quindi il film non affronta nulla che non sia già stato detto e raccontato, però è ben girato, la vicenda non lontana dall'essere credibile e comunque verosimile in un futuro assai prossimo, e suscita inevitabilmente riflessioni che portano a sperare che a questo punto non si sia già arrivati a nostra insaputa: non tanto che gli androidi girino tra noi ma che, senza rendercene conto, siamo noi stessi ad esserlo diventati. Se così fosse, meglio non saperlo nemmeno. La pellicola è ben girata, le tensione che si crea è quella giusta e le sorprese ben disseminate lungo lo sviluppo del racconto e le interpretazioni di buon livello: per un caldo pomeriggio agostano va più che bene così!
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