"Pride" di Matthew Warchus. Con Bill Nighy, Imelda Staunton, Dominic West, Paddy Considine, George MacKay, Joseph Gilgun, Faye Marsay, Andrew Scott, Ben Schnetzer, Chris Overton, Freddie Fox, Jessica Gunning. GB 2014 ★★★
A trent'anni di distanza, un film che rievoca in maniera briosa, scanzonata, ironica, un pizzico di moralismo e con una buona dose di luoghi comuni tipici della commedia popolare inglese, il tutto politically correct, uno dei rari aspetti positivi della lunga lotta dei minatori inglesi contro il governo di Margaret Thatcher e sfociata nella loro sconfitta: la solidarietà attiva portata alla loro causa dal movimento gay, che li vedeva alleati contro un nemico comune, ossia un sistema che era in guerra contro di loro. Sappiamo come è finita: l'inizio della fine dell'epoca de diritti dei lavoratori, non solo in Gran Bretagna ma su scala continentale, con la loro sostituzione, a mo' di specchietto delle allodole, e più formalmente che sostanzialmente, con il miraggio di quelli civili e individuali. La, sceneggiatura, agile, professionale ed efficace, prende spunto dall'iniziativa del gruppo LGSM, (Lesbians and Gays Support The Miners), nato in una libreria alternativa di Londra, di raccogliere fondi per sostenere la comunità di un villaggio della zona mineraria dei Brecon Beacons, nel Galles meridionale, che inizialmente crea imbarazzo e perplessità tra sindacalisti e lavoratori e le loro famiglie ma si risolve poi, complici balli sfrenati (una comune passione) e la conoscenza personale che abbatte i pregiudizi, dopo una serie di visite nelle rispettive realtà, in una sorta di adozione reciproca, tanto che saranno i minatori gallesi ad aprire, nel giugno del 1985, il Gay Pride di Londra, tre mesi dopo un referendum che decretò, per una manciata di voti, la fine della loro lotta (e del movimento operaio inglese). Il film è grazioso, gli interpreti azzeccati per rendere simpatici i diversi personaggi, realmente esistiti e adeguatamente romanzati, che animano la vicenda: in qualche modo consolatoria, ma d'altra parte è oggi inutile piangersi addosso. Inevitabile, per chi quei tempi li ha vissuti e se li ricorda bene, un attacco di nostalgia (e su questo terreno chi ha prodotto la pellicola vince facile); più utile, per i più giovani, rammentare che una lotta di lunga durata (51 settimane) c'è stata e la solidarietà umana un valore fondamentale, anche e soprattutto nella sconfitta, e che per arrivare alla comprensione dell'altro, che è tutt'altra cosa dell'accettazione o, peggio la tanto declamata tolleranza, occorre mettersi nei suoi panni.
A trent'anni di distanza, un film che rievoca in maniera briosa, scanzonata, ironica, un pizzico di moralismo e con una buona dose di luoghi comuni tipici della commedia popolare inglese, il tutto politically correct, uno dei rari aspetti positivi della lunga lotta dei minatori inglesi contro il governo di Margaret Thatcher e sfociata nella loro sconfitta: la solidarietà attiva portata alla loro causa dal movimento gay, che li vedeva alleati contro un nemico comune, ossia un sistema che era in guerra contro di loro. Sappiamo come è finita: l'inizio della fine dell'epoca de diritti dei lavoratori, non solo in Gran Bretagna ma su scala continentale, con la loro sostituzione, a mo' di specchietto delle allodole, e più formalmente che sostanzialmente, con il miraggio di quelli civili e individuali. La, sceneggiatura, agile, professionale ed efficace, prende spunto dall'iniziativa del gruppo LGSM, (Lesbians and Gays Support The Miners), nato in una libreria alternativa di Londra, di raccogliere fondi per sostenere la comunità di un villaggio della zona mineraria dei Brecon Beacons, nel Galles meridionale, che inizialmente crea imbarazzo e perplessità tra sindacalisti e lavoratori e le loro famiglie ma si risolve poi, complici balli sfrenati (una comune passione) e la conoscenza personale che abbatte i pregiudizi, dopo una serie di visite nelle rispettive realtà, in una sorta di adozione reciproca, tanto che saranno i minatori gallesi ad aprire, nel giugno del 1985, il Gay Pride di Londra, tre mesi dopo un referendum che decretò, per una manciata di voti, la fine della loro lotta (e del movimento operaio inglese). Il film è grazioso, gli interpreti azzeccati per rendere simpatici i diversi personaggi, realmente esistiti e adeguatamente romanzati, che animano la vicenda: in qualche modo consolatoria, ma d'altra parte è oggi inutile piangersi addosso. Inevitabile, per chi quei tempi li ha vissuti e se li ricorda bene, un attacco di nostalgia (e su questo terreno chi ha prodotto la pellicola vince facile); più utile, per i più giovani, rammentare che una lotta di lunga durata (51 settimane) c'è stata e la solidarietà umana un valore fondamentale, anche e soprattutto nella sconfitta, e che per arrivare alla comprensione dell'altro, che è tutt'altra cosa dell'accettazione o, peggio la tanto declamata tolleranza, occorre mettersi nei suoi panni.
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