"Morte di un commesso viaggiatore - Inside His Head" di Arthur Miller. Traduzione di Massimo d'Amico, regia di Elio De Capitani. Con Elio De Capitani, Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Massimo Brizi, Andrea Germani, Gabriele Calindri, Alice Redini, Vincenzo Zampa, Marta PIzzigallo. Scene e costumi di Carlo Sala, luci di Michele Ceglia, suono di Giuseppe Marzoli. Produzione Teatro dell'Elfo con il contributo di Fondazione Cariplo. Al Teatro Elfo/Puccini di Milano fino al 31 gennaio.
Prosegue anche in questa stagione la ricerca degli "Elfi" sul più significativo teatro americano: dopo il Tennessee Williams de "La discesa di Orfeo" rappresentato nella scorsa stagione e "Frost/Nixon" di Peter Morgan all'inizio di questa, tocca ora a Arthur Miller con il suo testo più conosciuto, cui il regista e magnifico protagonista Elio De Capitani ha aggiunto nel titolo "Inside his Head", perché è nel delirio che prende piede nella mente del protagonista, Willy Loman, nella quale in passato si confonde col presente, la realtà alla finzione, la chiave di questo dramma, in cui Arthur Miller prende di mira sia i rapporti famigliari, in particolare le ambizioni frustrati che genitori falliti proiettano sui figli, sia il nascente "Sogno Americano" che nei primi anni del Dopoguerra, agli esordi della Guerra Fredda (fu scritto nel 1949) si voleva contrapporre al Comunismo, e di cui Miller già ai tempi vide la contagiosa pericolosità che avrebbe portato alla falsificazione sistematica di tutto e alla verificazione del senso dell'esistenza. Non a caso De Capitani dice di "scavare da anni nella psiche di bugiardi cronici": tale è anche Willy Loman, abituato alla menzogna, professionalmente così come con sé stesso, e questo mentre prende per buone, con autoimposto ottimismo tutto yankee, le promesse del suddetto american dream, al contempo meditando il suicidio che alla fine compirà, fuori scena, andando a sbattere volontariamente con la macchina che è stata per più di trent'anni suo strumento di lavoro in giro per gli USA a vendere, anche lui, sogni di benessere plastificato: il tutto per assicurare alla famiglia l'incasso di una polizza vita che le consenta di finire di pagare le ultime rate di debito che hanno l'hanno contrassegnata nell'arco di trentacinque anni. Perché questo è stato il risultato della grande, luminosa carriera di Willie Loman che si ritrova, alle soglie della pensione, nella triste condizione degli attuali "esodati", licenziato dal suo capo proprio mentre, sfinito dal continuo viaggiare, gli chiede di passare a un lavoro d'ufficio accontentandosi di un salario inferiore. Quest'uomo stanco, distrutto, disilluso, che però non vuole ammettere il proprio fallimento, continua però a vessare il figlio maggiore Biff (un bravissimo, sofferto Angelo Di Genio), rinfacciandogli di non aver mantenuto le mirabolanti "promesse" che lui stesso gli aveva imposto, non accettandolo per quello che realmente è, perché ciò significherebbe fare i conti con la propria coscienza. Alla fine, pur rinnovando la fiducia in un domani di successo, finisce per suicidarsi. Bravissimi e perfetti tutti quanti gli altri interpreti, le tre ore di questo intenso, corposo spettacolo volano, nonostante sia tutt'altro che leggero e richieda la massima attenzione, che non manca grazie anche all'efficacia e al ritmo della messa in scena e al magnetismo degli attori. Un classico moderno che va visto.
Prosegue anche in questa stagione la ricerca degli "Elfi" sul più significativo teatro americano: dopo il Tennessee Williams de "La discesa di Orfeo" rappresentato nella scorsa stagione e "Frost/Nixon" di Peter Morgan all'inizio di questa, tocca ora a Arthur Miller con il suo testo più conosciuto, cui il regista e magnifico protagonista Elio De Capitani ha aggiunto nel titolo "Inside his Head", perché è nel delirio che prende piede nella mente del protagonista, Willy Loman, nella quale in passato si confonde col presente, la realtà alla finzione, la chiave di questo dramma, in cui Arthur Miller prende di mira sia i rapporti famigliari, in particolare le ambizioni frustrati che genitori falliti proiettano sui figli, sia il nascente "Sogno Americano" che nei primi anni del Dopoguerra, agli esordi della Guerra Fredda (fu scritto nel 1949) si voleva contrapporre al Comunismo, e di cui Miller già ai tempi vide la contagiosa pericolosità che avrebbe portato alla falsificazione sistematica di tutto e alla verificazione del senso dell'esistenza. Non a caso De Capitani dice di "scavare da anni nella psiche di bugiardi cronici": tale è anche Willy Loman, abituato alla menzogna, professionalmente così come con sé stesso, e questo mentre prende per buone, con autoimposto ottimismo tutto yankee, le promesse del suddetto american dream, al contempo meditando il suicidio che alla fine compirà, fuori scena, andando a sbattere volontariamente con la macchina che è stata per più di trent'anni suo strumento di lavoro in giro per gli USA a vendere, anche lui, sogni di benessere plastificato: il tutto per assicurare alla famiglia l'incasso di una polizza vita che le consenta di finire di pagare le ultime rate di debito che hanno l'hanno contrassegnata nell'arco di trentacinque anni. Perché questo è stato il risultato della grande, luminosa carriera di Willie Loman che si ritrova, alle soglie della pensione, nella triste condizione degli attuali "esodati", licenziato dal suo capo proprio mentre, sfinito dal continuo viaggiare, gli chiede di passare a un lavoro d'ufficio accontentandosi di un salario inferiore. Quest'uomo stanco, distrutto, disilluso, che però non vuole ammettere il proprio fallimento, continua però a vessare il figlio maggiore Biff (un bravissimo, sofferto Angelo Di Genio), rinfacciandogli di non aver mantenuto le mirabolanti "promesse" che lui stesso gli aveva imposto, non accettandolo per quello che realmente è, perché ciò significherebbe fare i conti con la propria coscienza. Alla fine, pur rinnovando la fiducia in un domani di successo, finisce per suicidarsi. Bravissimi e perfetti tutti quanti gli altri interpreti, le tre ore di questo intenso, corposo spettacolo volano, nonostante sia tutt'altro che leggero e richieda la massima attenzione, che non manca grazie anche all'efficacia e al ritmo della messa in scena e al magnetismo degli attori. Un classico moderno che va visto.
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