Da sempre detesto la Juventus e tutto ciò che rappresenta, e non solo a livello calcistico: le "marchionnate" di oggi, che ricalcano l'arroganza degli Agnelli (non vale la regola dell'omen nomen nel caso di questa casata sabauda) e dei suoi ciambellani, come per anni in epoche diverse furono Vittorio Valletta e Cesare Romiti, non fanno altro che rinfocolare questa avversione che è fisica e morale verso un modo di essere che sta all'opposto del mio, anche se non ho mai mancato di riconoscerne i meriti agonistici nei rari casi in cui li ha avuti in maniera endogena, come in occasione della vittoria dell'ultimo titolo. Da tempo l'ho ribattezzata Fetentus, da quanto mi ripugna perfino nominarne la ragione sociale. Nulla è più sportivamente antitetico alla squadra targata FIAT (e da quest'anno con la sponsorizzazione "Jeep" che campeggia sulle sue orride divise optical) dell'Inter, perfino più di altre avversarie storiche come Torino, Fiorentina e Roma, né di antropologicamente agli antipodi ai sostenitori della "vecchia bagascia" (non a caso la squadra più popolare in Italia, così come lo furono il fascismo e il cattocomunismo: in una parola l'eterno conformismo in salsa italiota e l'asservimento al potente del momento) del tifoso nerazzurro e "benamante". Ieri sera si è compiuta, ancora una volta, la nemesi, la vendetta perfetta. Sconfitta dopo una serie utile di 49 partite, violato per la prima volta l'orrido stadio di latta e cartone di cui i "gobbi" vanno così orgogliosi da parte dei "nemici" più visceralmente odiati dal "popolo" bianconero e sotto gli occhi attoniti di questo nel suo territorio, tutto ciò nonostante un gol palesemente non valido subito dopo 18'' di gioco, uno a favore annullato per fuorigioco dubbio (senza che si sia levata una protesta), una mancata espulsione (Lichtsteiner per un intervento in stile macellaio, che ha costretto la panchina bianconera a sostituirlo prima dello scadere del primo tempo). Un'altra squadra si sarebbe rassegnata, non l'Inter vista in campo ieri sera a Torino, presentata dal suo giovane e bravissimo allenatore Andrea Stramaccioni in versione a tre punte, votata all'attacco, pronta a prendere in mano le redini del gioco e non solo a operare di rimessa, con contropiede fulminanti, caratteristica che pure è nel suo codice genetico. E' finita 3-1, alla faccia della "spensieratezza tattica" su cui ironizzava con arrogante sicumera Giuseppe Marotta, direttore generale della Fetentus, alla lettura della formazione ufficiale nerazzurra (non risulta aver proferito verbo il presidente Andrea Agnelli, altrimenti più loquace, e sempre a sproposito, perfino di Simona Ventura). E ho rivisto una squadra, non eccelsa ma unita, di carattere, di gente conscia dei propri mezzi e soprattutto compatta. Una specie di fratellanza che unisce i tifosi nerazzurri nonostante lo sfrenato individualismo che pure li distingue da tutti gli altri (l'empatia immediata e profonda con personaggi come Lorenzi, Corso, Helenio Herrera, Roberto Boninsegna, Evaristo Beccalossi, Walter Zenga, Nicola Berti, Marco Materazzi e José Mourinho, tanto per fare alcuni esempi, non è casuale) e che fa la differenza. Noi sì siamo una "community", anche senza il sussidio dei "social network". Lo hanno confermato, nel mio caso, le chiamate intercorse dopo la partita con i miei vecchi vicini di posto a San Siro, dove dopo tempo immemore, causa spending review, non ho rinnovato l'abbonamento per la stagione in corso. Mi hanno commosso. Come rivedere gli "occhi di tigre", come direbbe l'amico "Settore", in tutti i "ragazzi", giovani e vecchi, da El Capitán Zanetti (39 anni suonati) al piccolo, grande Nagatomo San, ai nuovi arrivati, per non parlare del "Principe" Diego Alberto Milito, ieri sera el hombre del partido più che mai, come il 22 maggio di due anni fa a Madrid. E nel giovane, intelligente, coraggioso condottiero, Andrea Stramaccioni. Grazie, ragazzi, è stato bellissimo. Siete tutti noi.
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