giovedì 28 agosto 2025

Anora

"Anora" di Sean Baker (II). Con Mikey Madison, Mark Eydelshteyn, Yuriy Borisov, Karen Karagulian, Vache Tovmasyan, Ivy Volk, Lindsey Normington, Alena Gurevich, Paul Weissman, Darya Ekamasova, Aleksey Serebryakov e altri. USA 2024 ★★★-

Secondo "ripescaggio" estivo, Palma d'Oro a Cannes e cinque premi Oscar (tra cui miglior film, miglior regia e migliore attrice protagonista) nel 2024, un battage pubblicitario esagerato in cui è caduta la critica più corriva hanno fatto di Anora del semisconosciuto Sean Baker il fenomeno della passata stagione cinematografica, quando è nulla più di un film tipicamente newyorkese (che palle!), un assemblaggio di situazioni già viste mille volte, una commedia sexy-sentimentale-drammatico-gangsteristica con sfumature noir, che può essere tanto divertente quanto noiosa e a tratti irritante (140 minuti sono decisamente troppi), a seconda dei gusti e dell'umore dello spettatore. Anora (detta Ani) è una ventitreenne spogliarellista dall'aspetto esotico e particolarmente snodata specializzata in lap dance, che su richiesta offre servizi pagamento, insomma una sex worker, come si usa dire oggi, che "esercita" in un locale notturno di Brooklyn: una sera viene spedita in un privé dove è apparso Vanja, figlio scavezzacollo e alquanto cretino di un noto oligarca russo coi suoi amici, perché è l'unica a conoscerne la lingua, imparata dalla nonna uzbeka. I due si piacciono, lei fisicamente a lui, i sui soldi e la giocosità di Vanja a lei, tantoché dopo un paio di convegni erotici Anora viene ingaggiata dal ragazzo per fare la "fidanzata" in esclusiva per una settimana. Tra sesso e alcol a go-go, ci scappa un viaggio a Las Vegas dove, guarda caso, Anora riceve una proposta di matrimonio che, novella Pretty Woman, non può rifiutare perché la sua vita svolterebbe, ma anche quella di Vanja, che detesta i suoi genitori ed è negli USA con un permesso di studio: sposando una jankee, otterrebbe la tanto ambita Green Card che lo affrancherebbe dalla famiglia. La quale però gli manda alle calcagna T'oros, il faccendiere armeno di fiducia di stanza a New York che tiene d'occhio l'inaffidabile erede, e i suoi due scagnozzi, allo scopo di far annullare il matrimonio. Prima cercano di convincere la novella sposa, che non vuole mollare l'osso, e la "sequestrano", poi Vanja sparisce e il quartetto, ragazza compresa, lo cerca in un delirante viaggio notturno nei vari luoghi che avrebbe potuto frequentare, e lo beccano nell'ex locale in cui lavorava Anora a trastullarsi con la sua peggiore nemica tra le ex colleghe. Nel frattempo sbarcano a New York anche i genitori di Vanja e tutti insieme appassionatamente si ritrasferiscono a Las Vegas alla ricerca di un avvocato divorzista. Vanja alla fine cede ai genitori e Anora abbozza in cambio di 10 mila dollari e dell'anello di matrimonio, che ne vale ben di più e che non si trova: l'ha intascato e conservato Igor, uno degli scagnozzi, quello "buono" e dal cuore tenero che nel frattempo si è innamorato della ragazza, la quale per ringraziarlo gli si concede per una sveltina in macchina, ma quando lui tenta di baciarla, Anora scoppia in lacrime. Fine del film. Che subliminalmente vuole, forse, lanciare qualche messaggio, oltre ai soliti luoghi comuni sui russi, slavi e caucasici in generale: l'attrazione irresistibile per il denaro, tutto ciò che luccica, lo sfarzo, la volgarità. Battute a raffica, situazioni altamente improbabili, una buona dose di grottesco rendono la pellicola movimentata e sopportabile la sua durata, e relativamente divertente, ma non certo irrinunciabile. Insomma, tanto rumore, e tanto sberluccichio per poca roba, tutto sommato. Bravina (specie nelle contorsioni) Mikey Madison (Anora), sopra le righe, come da parte, Mark Eydelshteyn (Vanja), gli interpreti più convincenti risultano però Yuriy Borisov (Igor, il "gorilla" innamorato), Karen Karagulian (T'oros), e Darya Ekamasova (Galina Zacharova, la madre di Vanja). In gamba il regista a rendere alla fine abbastanza gradevole questa specie di delirio visivo. 

domenica 24 agosto 2025

La zona d'interesse

"La zona d'interesse" (The Zone of Interest) di Jonathan Glazer. Con Christian Friedel, Sandra Hüller, Johann Karthaus, Luis Noah Witte, Nele Ahrensmeier, Lilli Falk, Ralf Herforth, Max Beck e altri, GB, Polonia, USA 2023 ★★★+

La pressoché totale desertificazione della programmazione cinematografica estiva mi ha dato l'opportunità di ripescare un paio di film che mi ero perso nelle stagioni passate. Il primo, che ha ricevuto l'Oscar come miglior film internazionale e quello per il suono nel 2024, è La zona d'interesse. Sono numerose le pellicole sui campi di concentramento nazisti, ma questa è unica nel suo genere, perché non descrive lo sterminio metodico che avveniva all'interno di quello più famoso, Auschwitz, bensì la carriera professionale e la vita famigliare di chi lo aveva costruito e lo dirigeva: Rudolf Höß (qui reso in maniera eccellente da Christian Friedl). La "zona di interesse" era, per l'appunto, l'area di circa 25 mila miglia che lo circondavano, dove abitavano il comandante e la moglie Hedwig (la sempre brava Sandra Hüller) coi loro cinque pargoli, in una elegante villa dotata di tutti i comfort, piscina compresa, divisa soltanto da un muro dalle baracche in cui sopravvivevano a stento e ammassati i prigionieri e i forni dove venivano eliminati quelli non più abili al lavoro. Un'esistenza tranquilla e serena da famiglia borghese esemplare, Frau Höß a dirigere il personale domestico (ragazze locali, qualche volta per i lavori pesanti veniva reclutato qualche detenuto), dividersi tra la amiche vestiti e gioielli sottratti agli internati, ché tanto a loro non sarebbero più serviti, e soprattutto occuparsi del suo amato giardino, a cui si era devotamente occupata negli ultimi anni e di cui andava orgogliosa. Certo, qualche inconveniente c'era: qualche volta l'abbaiare furioso dei cani, fumi dall'olezzo dolciastro e persistente, ceneri "misteriose" che si depositavano nel torrente in cui in estate si andava a bagnarsi e il marito, occasionalmente, a pesca. Parallelamente, la carriera di Rudolf, che si lamentava dell'inefficienza della "macchina" nnché dei suoi sottoposti, e proponeva piani per il miglioramento della "produzione", specie dopo che a partire dal 1940 venne avviata la "soluzione finale" della questione ebraica: fu lui a incentivare l'utilizzo del Zykon B utilizzato nelle camere a gas. Quando nell'autunno del 1942 verrà richiamato a Oranienburg, presso Berlino, la moglie convinse il consorte di chiedere ai suoi superiori di autorizzarla a non seguirlo, perché i bambini potessero continuale a vivere all'aperto, in campagna, e respirare "aria pulita" invece che in città diventate ormai insicure e a Höß venne affidato un piano intitolato a suo nome, l'Aktion Höß, che prevedeva il trasporto capillare di 700 mila ebrei ungheresi nei vari campi di concentramento e che il nostro ufficiale delle SS portò a termine con la consueta minuziosa precisione permettendogli di tornare in quell'angolo di "piccolo paradiso famigliare" ad Auschwitz, dove entrò in funzione anche li secondo campo, quello di Birkenau. Insomma, l'illustrazione visiva ed acustica (non a caso, come accennato, il film è stato premiato per il sonoro) e subliminalmente olfattiva di quella che Hannah Arendt avrebbe descritto nel suo sempre citato (e sempre troppo poco letto) La banalità del male del 1963, un rapporto del processo contro Eichmann, tenutosi a Gerusalemme due anni prima. Anche qui abbiamo a che fare con un burocrate del genocidio alla sua altezza: fu invece giudicato a Norimberga e impiccato nel 1947 proprio davanti all'ingresso del campo di Auschwitz, ma di questo il film non parla, mostrandoci soltanto l'interno dell'attuale museo dell'Olocausto, straniante quanto il film nella sua quotidianità di attrazione turistica (con tanto di supermercati, caffè e negozi di souvenir, a sua volta orripilante banalizzazione dell'orrore: sconsiglio a chiunque di metterci piede, dopo averlo fatto di persona una ventina di anni fa). Insomma un film da vedere e su cui riflettere, inquietante e con uno sguardo originale quanto penetrante sull'argomento. E sui mostri che ci circondano e di cui volenti o nolenti facciamo parte (vedi Gaza).

venerdì 8 agosto 2025

Una sconosciuta a Tunisi

"Una sconosciuta a Tunisi" (Aïcha) di Mehdi Bersaoui. Con Fatma Sfarr, Nidhal Saadi, Yassmine Dimassi, Hela Ayed, Mohamid Ali Ben Jemaa, Ala Benhamad, Saoussen Maalej e altri. Francia, Tunisia, Italia, Qatar 2024 ★★★★

Il secondo lungometraggio di Mehdi Bersaoui ha ampiamente mantenuto tutte le aspettative che avevo, memore del notevole film d'esordio del regista tunisino, Un figlio,  presentato pure esso e premiato a suo tempo alla Mostra del Cinema di Venezia del 2019: mentre quello era un dramma famigliare che si svolgeva sullo sfondo della Rivoluzione dei Gelsomini del 2011 in Tunisia, questo si ispira a un fatto di cronaca avvenuto in seguito a quella rivolta, in un Paese sì pacificato e liberato dalla dittatura ma pur sempre in preda di profonde contraddizioni, fra tradizione e presente, città e campagna, emancipazione femminile e retaggi maschilisti: in più, dopo anni di oppressione, difficile fidarsi di uno Stato inefficiente, in questo caso rappresentato dalla polizia. Mehdi Bersaoui si affida alla vena di Fatma Sfarr, nella sua metamorfosi da Aya ad Amira infine ad Aïsha, adeguandosi alla trasformazione sia fisica sia psicologica di una giovane donna. Quasi trentenne, Aya vive a Tozeur, nel Sud del Paese, mantenendo dai suoi 14 anni i genitori col suo lavoro di cameriera in un resort di lusso dove si reca quotidianamente a bordo di un minivan assieme ad altri impiegati dell'albergo. Fallito e muto il padre, la madre vorrebbe imporle un matrimonio combinato con un anziano abbiente al solo scopo di ricevere ancora più soldi, vantaggi e, magari, prestigio sociale. Come se non bastasse Aya, che oltre a non aver potuto proseguire negli studi, come avrebbe desiderato, non ha mai nemmeno visto il mare, ha una relazione tossica col direttore dell'albergo, che da anni le promette di lasciare la moglie per cominciare una nuova vita insieme ma ovviamente svicola. Un giorno il pullmino sul quale compie il suo tragitto quotidiano ha un incidente e precipita in un burrone: Aya, l'unica sopravvissuta, riesce a uscire dalle lamiere prima che bruci dopo l'esplosione del serbatoio e, sapendo che l'autista aveva preso a bordo un'ulteriore passeggera non compresa nella lista, coglie al balzo l'occasione perché il corpo della sconosciuto risulterà il suo, e lei sarà libera. Recupera quindi di nascosto del denaro nascosto dal suo amante in una cassaforte dell'albergo e con quello va a Tunisi, dove assume l'identità di Amira, prenderà in affitto senza documenti e sulla parola una stanza nell'appartamento di una studentessa, Lobna, che la introduce nella sfavillante vita notturna della capitale, che inizia a frequentare assieme a una coppia di amici, di cui uno, Rafik, un traffichino "intoccabile", si rende corresponsabile della morte di un ragazzo, Karim, con cui Amira aveva soltanto scambiato qualche sguardo in discoteca. La ragazza, priva di documenti, viene costretta da Rafik a rendere falsa testimonianza (nel pestaggio di Karim c'entrano anche due poliziotti che lavoravano in nero come buttafuori nel locale), così il caso viene derubricato a "incidente" e quindi insabbiato, anche per volere della commissaria responsabile dell'indagine. A non starci, però, è l'ispettore Fares, entrato in polizia proprio perché anni prima il fratello era deceduto in circostanze simili, mai chiarite. Il caso monta per iniziativa di parenti e amici della vittima, anche per la diffusione di notizie in rete, Amira/Aya va in crisi, molla la stanza e la amica, nel frattempo sono spariti pure i suoi soldi, e si rifugia presso la panettiera del quartiere in cui vive che diventa una sorta di madre e amica che non ha mai avuto. Una falla del sistema informatico la dà ancora in vita come Aya, ma sarà Fares a fornirle un'ulteriore, e stavolta sicura nuova identità in cambio della sconfessione della sua iniziale falsa testimonianza, assieme a un certificato di morte di Aya (in virtù del quale i genitori avranno un adeguato risarcimento con cui potranno pagare i propri debiti e l'avida madre avere soddisfazione), cosicché la ragazza, finalmente libera da legami, ricatti e catene, potrà davvero iniziare una nuova e consapevole esistenza come Aïcha. Come accennato i livelli del racconto sono diversi e, così come avviene la metamorfosi della protagonista. il film passa dalla commedia drammatica, al poliziesco, al film di denuncia ma anche e soprattutto di documentazione credibile dei contrasti di un Paese complesso e in evoluzione così come i suoi abitanti, Paese peraltro molto vicino e che con l'Italia ha legami stretti da millenni. Sicura la mano del regista, fotografia degna di nota, colonna sonora azzeccata, Fatma Sfarr magnifica ma bravi anche gli altri interpreti, specie quelle femminili, di personaggi non sempre positivi, come la madre di Aya/Aïcha, la commissaria, la convivente e "mezzana" Lobna. Gran bel film.