martedì 29 luglio 2025

100 litri di birra

"100 litri di birra" (100 litraa sahtia) di Teemu Nikki. Con Pirjo Lonka, Elina Knihtilä, Ville Tiihonen, Ria Kataja, Jakob Öhrman, Pekka Strang, Elmer Bäck, Jari Pekkonen, Pertti Sveholm, Vilma Melasniemi, Rami Rusinen e altri. Finlandia, Italia 2024 ★★★1/2

Una conferma per Teemu Nikki dopo il successo di La morte è un problema dei vivi, uscito lo scorso anno, pure in quel caso una produzione italo-finnica: se lì la coppia protagonista era quella di due stralunati becchini, qui sono due energiche sorelle sulla cinquantina che convivono una "nonostante" l'altra, in un insano rapporto simbiotico (la cui portata verrà rivelata sul finale del film), portando avanti la tradizione di famiglia, ossia la produzione di sahti, un tipo particolare di birra, con un processo artigianale che si tramanda da secoli, con l'obiettivo di ottenere la votazione massima, il 10, da parte del padre, sommelier e autorità massima nel paese sperso nella campagna finlandese in cui si svolge la vicenda. Tra un assaggio e l'altro, risse, alterchi coi clienti, abbondanti libagioni in coppia o di gruppo di cui non hanno alcun ricordo il giorno dopo, doposbronze catastrofici, Taina e Pirrko (rispettivamente Pirjo Lonka e Elina Knihtilä, una più dirompente dell'altra) si ritrovano con la cantina desolatamente vuota nell'imminenza del matrimonio della terza sorella, Päivi, trasferitasi a Helsinki dopo un incidente automobilistico (ovviamente conseguenza di una delle colossali bevute di tutti i trasportati) la cui responsabilità era caduta su Taina, cerimonia che si svolgerà nella cittadina natale e per il quale ha chiesto come regalo la produzione di 100 litri del prezioso nettare. La missione risulta pressoché impossibile, considerata sia l'inestinguibile sete e il conseguente costante stato di alterazione delle due sorelle e del loro stralunato aiutante Hauki, sia l'odio nei confronti del principale produttore rivale, l'unico che avrebbe a disposizione un quantitativo adeguato da vendere. Così, dopo aver vanamente cercato di recuperare i crediti coi vari clienti in maniera assai poco urbana, non rimane loro che provare di rubare del sahti in una delle feste che si svolgono in quei mesi estivi nel borgo: quella di laurea di una ragazza e un matrimonio, il tutto con esiti disastrosi, perché il maltolto finisce in fondo al lago e Pirrko finirà pure ricoverata in ospedale ferita e in coma etilico. E' a questo punto che, dopo 30 anni, si sciolgono i nodi del rapporto della strana coppia, e Taina scoprirà di averli vissuti in un costante senso di colpa alimentato proprio da Pirrko, che ha affogato nell'alcol le sue responsabilità nella menomazione di cui è stata vittima Päivi, fagocitando la sorella più debole. Nonostante tutto recupereranno il loro dono di matrimonio acquistando il sahti proprio dall'avversario storico (nonché cugino) e cedendogli pure l'attrezzatura in loro possesso da generazioni grazie alla quale riuscivano a ottenere risultati così spettacolari. Una storia dolce-amara, grottesca e spumeggiante quanto può esserlo una commedia scandinava, ma con quel tocco di follia tipicamente finlandese che caratterizza i film di Teemu Nikki e che ha il suo impareggiabile maestro in Ari Kaurisimäki, e che la rende gradevole in una calda serata estiva anche per il desolante stato della programmazione in sala di questa stagione estiva. 

giovedì 24 luglio 2025

El Jockey

"El Jockey" di Luis Ortega. Con Nahuel Pérez Biscayart, Úrsula Corberó, Mariana di Girolamo, Daniel Fanego, Daniel Giménez Cacho, Roberto Carnaghi e altri. Argentina, Spagna, Danimarca, Messico 2024 ★★★★1/2

Presentato in concorso all'ultima edizione del Festival di Venezia, El Jockey, pluripremiato in America Latina, non era passato inosservato ma non aveva entusiasmato i critici di mestiere, quelli che pascolano nel milieu cinematografaro, per cui è già un miracolo che sia stato distribuito in Italia, non a caso dalla Lucky Red di Andrea Occhipinti, grazie alla cui apertura mentale appaiono sui nostri schermi anche film poco convenzionali come questo. Disdicevole, poi, come ho già avuto più volte modo di far notare, è la scarsa attenzione al cinema del Continente Desaparecido, a cominciare da quello brasiliano e cileno, ma soprattutto argentino, benché almeno la metà della popolazione sia di origine italiana e perfino il castigliano parlato a quelle latitudini sia talmente italianizzato, tanto per il vocabolario quanto per la cadenza, da essere facilmente comprensibile anche senza l'ausilio dei sottotitoli (che comunque sono previsti nell'edizione originale che circola da noi da alcune settimane). Cinematografie di Paesi e realtà che ci sono molto più vicine e familiari di altre che ci vengono proposte e spesso imposte a profusione, a cominciare da quelle nordamericane o scandinave. Tornando a bomba, Remo Manfredini (Nahuel Pérez Byscayart, un Buster Keaton del Terzo Millennio, di una bravura strabiliante) è un fantino dal talento inarrivabile, che assieme alla fidanza Abril (Úrsula Corberó, universalmente nota come l'interprete di Tokyo ne La casa di carta) lavora per il Clan Sirena, ma è dipendente da alcol e da qualsiasi additivo chimico gli capiti a tiro, con risultati disastrosi per la carriera. Quando non è in condizione di montare, lo fa Abril al posto suo, pur essendone incinta, ma nella gara più importante della sua carriera, e dopo l'acquisto milionario (in dollari) di un cavallo giapponese da parte dei suoi capi, gli tocca correre di persona per saldare i debiti che ha accumulato coi suoi datori di lavoro. Pur essendo tenuto strettamente sotto controllo dagli scagnozzi del boss (tutte facce stupendamente inquietanti, pescate probabilmente nei bassifondi di Buenos Aires, e straordinariamente vere) riesce a bombarsi in maniera tale da tirare dritto sull'ovale del famoso Hípodromo Argentino de Palermo della capitale, sfondandone le transenne, accoppando il cavallo e fracassandosi completamente. Da lì in poi il Clan Sirena gli darà la caccia per fargli la pelle. Traumatizzato e con probabili lesioni al cervello, lo ritroviamo in ospedale con una fasciatura a turbante che gli dà un aspetto femminile: messo sull'allerta da Abril, raccatta una pelliccia lasciata su una sedia e una borsetta e si avventura per le strade di Buenos Aires senza una meta precisa, ma in fuga. Non solo dai Sirena, ma anche dalla sua vita e identità precedente, insomma da sé stesso, senza nemmeno rendersene conto. Perché, come già l'aveva avvertito Abril, cambiare registro si può, ma "ammazzando" l'io precedente. Lo aiuta un vagabondo alcolizzato che incontra in un sordido bar de barrio, e che poi raggiunge nel suo tugurio pur non sapendone l'indirizzo, e che si dimostra il suo unico e vero amico disinteressato e gli consente di difendersi dai Sirena procurandogli una rivoltella. Di cui Manfredini farà buon uso, ma finendo in un ospedale psichiatrico, dove lo ritroviamo ormai completamente femminilizzato, in permanente, sobriamente truccato, che di mestiere ora fa la parrucchiera. Del tutto surreale, a tratti picaresco, ironico e grottesco (i riferimenti a Almodóvar, Jodorowski e soprattutto Kaurisimäki sono evidenti), il film è però tipicamente argentino, i rock "leningradesi" del maestro finlandese sono sostituiti dai tango canción di Gardel, di cui proprio quest'anno ricorrono i 100 anni dalla scomparsa (nonostante ciò, nella considerazione dei porteños, El Troesma "cada día canta mejor"), ma anche da ritmi house parossistici sui quali la coppia Remo/Abril si esibisce con movenze disarticolate ed esilaranti. Potrebbe sembrare un film che ammicca al transgender, ma se lo fa è solo marginalmente, perché il tema vero è l'identità. E per quanto uno possa cercare la propria essenza e cercare di sfuggire agli schemi in cui è costretto dalle circostanze (famiglia, società, il coro stesso), ostaggio di convenzioni o regole rimarrà comunque un individuo, se va bene, in libertà vigilata. E sotto stretta sorveglianza. 96', conciso, timing perfetto, divertente, suggestivo ed evocativo. Io poi ci ho ritrovato un mondo e un ambiente umano che conosco abbastanza bene: un tuffo nel passato che per una volta non mi ha riempito soltanto di malinconia, perché è una realtà che ha una sua vitalità, nonostante tutto. Di Luis Ortega era già uscito, 6 anni fa, L'angelo del crimine, che non mi aveva del tutto convinto, con El Jockey ha fatto dei grandi passi in avanti. Spero di averne presto la riprova.

domenica 20 luglio 2025

Il Maestro e Margherita

"Il Maestro e Margherita" (Master i Margareta) di Michael Locksin. Con Evgheniy Tsyiganov, Yuliya Snigir, August Diehl, Claes Bang, Yuri Kolokolnikov, Polina Aug, Leonid Yarmolnik (II), Aleksandr Yatsenko, Aleksey Rozin, Aaron Vodovoz, Aleksei Guzov e altri. Russia 2024 ★★★★+

Il capolavoro di Michail Bulgakov è tra i miei tre libri preferiti in assoluto, letto e riletto, e ogni volta ne scopro un aspetto diverso e sorprendente. Romanzo al cui flusso ci si deve abbandonare, lo si può "filtrare" a diversi livelli: filosofico, melodrammatico, religioso, politico, ma quasi sempre, quando fa comodo, lo si intende come una denuncia contro la censura. Quella staliniana, visto che fu scritto e ambientato nell'URSS degli anni Trenta, quelli della edificazione dello Stato rivoluzionario (e della sua cristallizzazione in regime) nonché della cappa repressiva instaurata dal dittatore georgiano. Che, per quanto spietato, ammirava Bulgakov e, se non gli consentì di pubblicare il romanzo, certamente non infierì su di lui come su altri elementi che ci lasciarono le penne. Per quanto consapevole che un libro così complesso e stratificato sia impossibile da rendere in maniera in qualche modo fedele (ho vaghi ricordi di una versione italo-iugoslava del 1972 con Ugo Tognazzi e Mimsy Farmer, piuttosto piatto deludente), sono andato a vederlo nella versione di Michael Locksin, regista e autore statunitense di nascita ma di famiglia russa e pure cittadino russo (vive a Mosca), così come russo è il resto del cast, salvo il tedesco Diehl nel ruolo di Woland (il diavolo), dalla impressionante somiglianza con Christopher Walken con la metà dei suoi anni e altrettanto bravo. A maggior ragione perché la produzione è russa, e che sia in circolazione in Italia è un miracolo visto il clima di censura (a proposito...) nei confronti di qualsiasi espressione culturale e non provenga da quel diffamato Paese a partire dal 2022, ossia dall'inizio del conflitto con l'Ucraina. Tra l'altro in patria il film ha ottenuto un grande successo di pubblico, molto meno da parte della critica più allineata alle posizioni governative. E questa volta il risultato mi ha convinto, perché a mio parere il regista è stato in grado di trasporre in maniera efficace una sintesi delle diverse sfaccettature del romanzo, o almeno di come lo ha percepito lui, rinunciando ovviamente alla pretesa di farne un racconto cronologicamente lineare (cosa che non è nemmeno nel libro), intrecciando anche visivamente l'elemento fiction (ma realistico), ossia le vicende dell'autore (il Maestro, il bravissimo Evgheniy Tsyiganov) di una pièce teatrale incentrata sull'incontro fra Ponzio Pilato e Gesù Cristo, censurata e lui espulso dalla Società degli Scrittori Sovietici, la sua palpitante e delicata storia d'amore con Margherita, la dolce e intensa Yuliya Snigir, ispiratrice di un altro romanzo che diventa il filo conduttore del film, con quello fantastico, ossia l'incontro con Woland, i suoi due bizzarri aiutanti e il gatto Behemot, che completa la corte al servizio del diavolo in visita nella Mosca dei miscredenti. Internato in una  clinica psichiatrica dopo essere stato denunciato da un collega e amico (che ne occuperà anche la pittoresca abitazione sull'Arbat prima che venisse sventrata), il Maestro continuerà a scrivere il suo nuovo romanzo con la complicità di un'infermiera e le vicende della sua gestazione le apprenderemo dalle sue conversazioni con altri internati, in buona parte intellettuali, tra un "trattamento" ad alto voltaggio e un altro. Ma ci penserà Woland a riunire il Maestro e Margherita per l'eternità prima consentendo a lei, trasformata in una strega invisibile, che cavalca una scopa nei cieli notturni di Mosca, di vendicarsi dei persecutori del suo amato (più ancora della censura, nel mirino di Bulgakov, come credo anche oggetto delle attenzioni del regista, ci sono i leccaculo e i servi di regime), poi mandando per aria lui stesso la capitale del nuovo impero radendo al suolo le orride costruzioni che lo vogliono celebrare (magari fosse vero!). Al di là dell'esito della trasposizione del romanzo sullo schermo, secondo me pienamente riuscita nell'unico modo possibile, ossia filtrando quanto assorbito dall'autore e regista e tradotto in racconto cinemetografico, le due ore e mezzo abbondanti della pellicola scorrono via velocemente, senza intoppi, tra il verosimile e il fantastico, con una fotografia che sottolinea il lato immaginario, metaforico e a tratti beffardo del tutto. Bravi e bene assemblati tutti gli interpreti, complimenti a Locksin, un film che vale la pena vedere.