lunedì 28 ottobre 2024

Wolfs - Lupi solitari

"Wolfs - Lupi solitari" (Wolfs) di Jon Watts. Con George Clooney, Brad Pitt, Amy Ryan, Austin Abrams, Poorna Jagganathan, Zlatko Burić e altri. GB, USA 2024 🤨

Era da tempo che non vedevo un film così stupido, inutile e penoso: del resto era bastato il grottesco sbarco in Laguna dei due divi hollywoodiani per presentarlo (fuori concorso, per fortuna, ché la giuria sarebbe pure stata capace di premiarlo) all'ultima mostra del Cinema di Venezia, dove hanno gigioneggiato esattamente come ci si aspettava da loro, e alla fine sono stati più divertenti che in Wolfs, dove peraltro sono stati doppiati in modo osceno in italiano. Credo che sia un caso più unico che raro dove i personaggi di questo sedicente action movie sconclusionato, che si ispira volutamente ad alcuni film di Tarantino oltre che ai vari Ocean's, risultandone lontano anni luce, interpretano gli attori. I due vengono chiamati a "risolvere problemi" uno all'insaputa dell'altro: una procuratrice si è rimorchiata nella camera d'albergo un giovane toy boy che, completamente fatto di droga, giace morto (apparente) e il cadavere va rimosso da un lato per non mettere nei guai la donna e dall'altro per preservare il buon nome del "Cinque (o più) Stelle". Entrambi sono "unici nel loro campo", e quindi entrano in concorrenza. Il tutto si svolge in una notte, il morto si rianima e si scopre che doveva fare una consegna di droga per conto di un amico, c'entrano ovviamente slavi e albanesi, insomma è tutto un casino e i due eroi tra una battuta e l'altra mostrano i segni dell'età: un po' troppo avanzata per fare quel mestiere. Vogliono sembrare diversi e, appunto unici, invece sono estremamente simili, gemelli poco diversi. Sì, è vero, si prendono in giro così come Clooney e Pitt, colleghi con parecchi film girati insieme e amici fuori dal lavoro, nonché pressoché coetanei, fanno nella realtà, e allora erano sufficienti le gag veneziane. A me, più che da ridere, è venuta tristezza mista a irritazione, tanto più che i due mi stanno pure simpatici. Ma quando dietro la macchina da presa ci sta un cretino, che ha curato pure la sceneggiatura, non c'è niente da fare. Quello che stupisce è che Clooney e Pitt risultano pure produttori di questa vaccata: evidentemente si sono rincoglioniti pure loro senza rimedio. Peccato.

lunedì 21 ottobre 2024

Iddu

"Iddu - (L'ultimo padrino)" di Antonio Piazza e Filippo Grassadonia. Con Toni Servillo, Elio Germano, Daniela Marra, Barbora Bobulova, Giuseppe Tantillo, Fausto Russo Alesi, Antonia Truppo, Betty  Pedrazzi, Tommaso Ragno e altri. Italia, Francia 2024 ★★★★+

Finalmente, dopo mesi di programmazione in cui è stato difficile scegliere qualcosa di guardabile e non banale, un film degno di questo nome dove interpreti, fotografia, colonna sonora eccellenti sono al servizio di un ritratto fuori dagli schemi del latitante (si fa per dire) più ricercato (si fa sempre per dire) del secolo, ossia Matteo Messina Denaro (Elio Germano), durante il periodo in cui viveva, da autorecluso, nella natìa Castelvetrano, nel suo ambiente e circondato dall'affetto dei sui cari, famigliari, amici e complici. Nulla di quello che ci si potrebbe aspettare da un poliziesco e nemmeno da un biopic, ma lo scavo della personalità di un uomo intelligente, colto, formatasi fin dall'infanzia per sostituire il padre, un padrino di mafia, diventando a sua volta custode del "pupo", una statuetta antica diventata simbolo di un potere che si tramanda. Formazione che si ricava attraverso la scena iniziale e poi numerosi flash back, che sono i ricordi e le riflessioni a cui si abbandona l'uomo nelle lunghe ore di solitudine e sostanziale prigionia, ospite di un'amica che gli fa da governante e segretaria (Barbora Bobulova), a cui è affidato il compito di scrivere i pizzini con cui si tiene in contatto con chi lo protegge e ne esegue gli ordini all'esterno. In particolare è interessante, e assume sorprendenti aspetti letterari, la corrispondenza con Catello Palumbo (Toni Servillo), ex preside ed ex sindaco nonché ex democristiano (ex di tutto, come gli fa notare la moglie, interpretata magnificamente da Betty Pedrazzi, delle autentiche chicche i suoi camei), tornato in città dopo 6 anni di carcere speciale a Cuneo per associazione mafiosa: amico di famiglia dei Messina Denaro, è stato anche il padrino di Matteo. Ridotto quasi in miseria, viene contattato e ricattato dal colonnello dei Carabinieri Emilio Schiavon (Fausto Russo Alesi) e dalla sua squadra di "catturandi", che lo costringono a intessere una fitta corrispondenza con Iddu con l'intento (apparente) di stanarlo. E' il contenuto di questo epistolario attraverso i "pizzini" il vero filo conduttore di tutto il film. Come finirà in realtà lo sappiamo, con la cattura del "padrino" nel gennaio del 2023 dopo trent'anni di latitanza, e nove mesi prima della sua morte per un tumore incurabile, ma qui non se ne fa cenno: viene ricostruito, tra il fiabesco e il grottesco, il periodo precedente, fatto di solitudine, riflessioni, scambi di idee tra lui e Catello, i tentativi di quest'ultimo di sfuggire al suo destino. Un destino che accomuna un po' tutti i personaggi, costretti a interpretare un ruolo, volenti o nolenti, già segnato, in un gioco di equilibri che non cambia mai. E' così per il trio Messina Denaro, Palumbo e Schiavon, per la sorella (volitiva e dura) e il fratello ("buono a niente") del boss, per Lucia, la segretaria del capomafia, per l'agente della "catturandi" che si sente presa in giro dal suo capo. Il film che non ti aspetti, ricco di spunti di riflessione, fuori da ogni genere, certamente di impianto teatrale, e che lascia spazio al non detto e alle suggestioni, in cui gli attori sono liberi di esprimere tutto il loro potenziale che, con un cast di questa qualità, è dirompente. Premiato come miglior film italiano all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, avrebbe sicuramente meritato qualcosa di più, ma da quelle carnevalate che ormai sono diventati quasi tutti i maggiori festival, non sono da aspettarsi voli di fantasia o atti di coraggio. 

lunedì 7 ottobre 2024

Vermiglio

"Vermiglio" di Maura Delpero. Con Tommaso Ragno, Giuseppe De Domenico, Martina Scrinzi, Rachele Potrich, Anna Thaler, Roberta Rovelli, Orietta Notari, Carlotta Gamba, Sara Serraiocco, Patrick Gardener, Santiago Fondevilla e altri. Italia, Francia, Belgio 2024 ★★★1/2

Candidato per l'Italia all'Oscar come migliore film straniero, il secondo lungometraggio di Maura Delpero è un'opera solida, il cui punto forte sono un'eccellente fotografia e le interpretazioni di tutti gli attori, a cominciare dai bambini della numerosa famiglia capeggiata da Cesare (Tommaso Ragno, superlativo), maestro nel paese di Vermiglio, nel Trentino occidentale, a ridosso delle lombarde Valcamonica e Valtellina, come si evince dalla parlata dei protagonisti, ma non all'altezza del suo sorprendente Maternal, con cui aveva esordito nel 2021: l'impressione è che ci sia qualcosa di irrisolto e alcune scelte non risultano del tutto convincenti. Siamo sul finire della Seconda Guerra Mondiale, nell'inverno del 1944 (il recente Campo di battaglia di Amelio era ambientato durante gli ultimi mesi della Prima) e Pietro, un siciliano considerato un disertore dai repubblichini, riporta a casa in spalla Attilio, ferito, il figlio maggiore della famiglia di Cesare, salvandogli la vita, e viene nascosto e accudito in una stalla tra i boschi. Timido, taciturno, si fa vedere poco in giro, del resto dai più è considerato un corpo estraneo alla comunità, e da alcuni pure un "traditore". Viene difeso da Cesare che, per le sue posizioni rispetto alla guerra, ma anche per l'importanza che dà all'istruzione, ai libri, alla musica, è sicuramente un progressista, mentre lo è meno nella gestione dell'educazione delle figlie: non potendole far studiare tutte per mancanza di mezzi, punta su Flavia, la minore di quelle in età scolare, a suo (insindacabile?) giudizio la più portata. Nel frattempo la figlia maggiore, Lucia, si innamora di Pietro e la loro tenera relazione si sviluppa nella primavera ed estate successiva: la ragazza rimane incinta e i due si sposano dopo la fine del conflitto. Proprio su insistenza di Cesare, Pietro si reca in Sicilia a far visita alla famiglia che da due anni non ha più sue notizie ma non torna. Mesi dopo, quando la bimba è ormai venuta al mondo, dalla lettura di un quotidiano si verrà a sapere che era un bigamo e che è stato ucciso dalla moglie "vera". Lucia, per aiutare la famiglia, come migliaia di ragazze di allora si recherà "a servizio" in una grande città e saranno le sorelle, in particolare Ada, la "sacrificata" negli studi e che ha trovato lavoro in un orfanotrofio, a occuparsi della piccola. Il ritmo, lento, è quello della vita dei contadini di montagna e il racconto si svolge nell'arco di un intero anno. Oltre al valore assoluto della fotografia, è importante che, al tempo attuale, venga ricordato come si vivesse e quali fossero le dinamiche famigliari e tra i sessi solo qualche decennio fa: quelli della mia generazione ne hanno ancora ricordo diretto o al massimo mediato dai propri genitori o parenti più prossimi e solo di qualche anno più anziani. In questo il film ha un valore documentaristico assoluto: del resto è questo l'ambito espressivo originale Maura Delpero. A rompere il ritmo, come detto, forse anche eccessivamente lento, l'estemporaneo e abbastanza improbabile viaggio in Sicilia di Lucia in Sicilia alla ricerca, forse, della moglie "legale" di Pietro o, semplicemente della tomba su cui piangerlo. Comunque, da vedere, specie considerando il panorama alquanto penoso della produzione nazionale in quest'ultimo anno.