giovedì 6 gennaio 2011
Elogio dello zampirone fuori stagione
KO CHANG – Pochi per quello che sarebbe lecito attendersi sulla costa di un'isola tropicale dalla vegetazione rigogliosa, gli insetti fastidiosi, dalle zanzare ai pappataci, si incattiviscono con l'abbassarsi della pressione atmosferica e l'aumento del tasso di umidità, soprattutto al tramonto e poi di notte, quelli che sopravvivono. E’ ciò che si è verificato l’altroieri, l’unico giorno di tempo incerto da quando mi trovo a Ko Chang, e stufo di impiastricciarmi di un succedaneo di “Autan”, sono andato in cerca di un’alternativa e quando, al terzo tentativo in uno dei piccoli supermercati (uno dei quali aperto 24 sette giorni alla settimana: cose mai viste da noi) di Kai Bae, il paesello dov’è situato il resort sulla spiaggia in cui alloggio (a 11 € a notte in un bungalow biposto con bagno e veranda), quasi mi sono commosso quando l’occhio mi è caduto su una confezione di zampironi, invenzione o comunque specialità indubbiamente nostrana, anche se nella fattispecie prodotti dalla BAYER. Sconfitti gli insetti locali, probabilmente non ancora assuefatti al piretro della spirale fumigante, e con l’olfatto che richiamava innumerevoli estati marittime italiane, mi sono chiesto ancora una volta il motivo per cui nella Terra dei Cachi non siamo nemmeno lontanamente capaci di sfruttare al meglio il nostro potenziale turistico, diversificandolo e traendo vantaggio della varietà climatica e morfologica della Penisola: anche solo limitandosi a un soggiorno balneare, situazione con cui posso fare il paragone ora, da Roma in giù la nostra stagione può durare sei mesi all’anno; in Calabria e Sicilia anche otto. Con la differenza, rispetto alla Thailandia, ma anche al Brasile, ai Caraibi e pure alla Spagna (non prendo neanche in considerazione "Sharm" o Djerba), che c’è molto più da vedere, con la possibilità di abbinare, o proporre in alternativa, innumerevoli itinerari culturali o anche semplicemente eno-gastronomici che non avrebbero rivali al mondo. Pigrizia? Sicumera, nella presunzione di poter vivere eternamente di rendita partendo da una situazione di vantaggio, anche in considerazione della vicinanza dell’Italia al grosso del mercato turistico? Certo, con il ministero competente affidato ora a un puttanone come la Brambilla e ieri a Cicciobello Ruttelli, e quello della Cultura ai tempi d’oro a Uòlter Cialtroni e adesso al gelatinoso Treme-Bondi, la situazione può solo precipitare, così come la posizione dell’Italia tra le mete di viaggio preferite.Manca da decenni una politica seria, se mai ce n’è stata una, per un settore estremamente sfaccettato e in piena evoluzione (come del resto manca per ogni aspetto della vita del Paese da almeno 40 anni a questa parte, ché si veleggia tra una “emergenza” o crisi e l’altra, almeno dal tramonto del primo centro-sinistra, quello “vero” degli anni Sessanta) così come non ci sono incentivi, nemmeno pensabili del resto con un rapporto deficit/PIL al 119% come quello attuale certificato dall’ISTAT e dalla Banca d’Italia proprio in questi giorni, ma latitano anche iniziativa e idee individuali. Quello che permane e, se possibile aumenta, è il guazzabuglio normativo e burocratico che impedisce la messa in pratica di qualsiasi idea innovativa, e questo in un quadro di infrastrutture carenti e vieppiù fatiscenti (un esempio su tutti: il wi-fi che qui è presente ovunque, anche in spiaggia), trasporti che fanno pena e hanno prezzi da strozzinaggio, vedi una compagnia di bandiera di merda come l’Alitalia e le FS della TAV del "compagno" Moretti, con tariffe che possono permettersi quasi solo coloro che sono rimborsati dalle aziende o enti per cui si spostano, il più delle volte inutilmente nell’era di internet, tipo i "pendolari ministeriali" tra Milano e Roma, o che ne scaricano il costo. Così ci ritroviamo con una stagione ridotta a tre mesi l’anno, da metà giugno a metà settembre, che invece che allungarsi scendendo a Sud si accorcia, per concentrarsi ad agosto, invariabilmente, da mezzo secolo, da quando sono iniziate le vacanze di massa. L’ennesima dimostrazione che siamo un Paese in piena decadenza, che sta chiudendosi al mondo, abbarbicato alle sue stupide, rituali e provinciali abitudini, sempre più marginale. La riprova guardandosi intorno viaggiando: rari gli italiani che si muovono per conto loro; quelli che coraggiosamente lo fanno, spesso con enormi difficoltà di comunicazione grazie alla pessima conoscenza delle lingue; sprovveduti, poco informati e in balia degli eventi.Me lo faceva notare qualche settimana fa una ragazza russa che è consulente di una grossa azienda tedesca di servizi per il turismo: quando le dicevo che in Vietnam avevo visto vere e proprie colonie di suoi connazionali in località marittime come Nha Trang (e le avrei ritrovate qui a Ko Chang in Thailandia) ma raramente gente in giro per conto proprio, mi spiegava che era dovuto alla scarsa abitudine a viaggiare e trovarsi a contatto con gli stranieri all’estero, anche per problemi linguistici, e che qualcosa di simile l’aveva notato tra italiani, spagnoli e portoghesi. Aveva ragione, benché me lo dicesse, come tutti i russi che hanno studiato le lingue straniere, in un inglese perfettamente oxfordiano: e mi domandavo ancora una volta quali basi reali avesse il mito nazionale di quello italiano come popolo di eroi, navigatori poeti e santi, se non la conferma dell’eccezione che conferma la regola. Come Olga, che viaggiava da sola tra Cina e Vietnam, facendosi anche in quest’ultimo Paese un’esperienza come “Easy Rider” (in sostanza l’affitto di una moto con guida locale per un percorso personalizzato fuori dalle rotte più comuni, a un prezzo attorno ai 40 € al giorno). Intanto, di questo passo ci perdiamo perfino quei russi più tradizionalisti che tipicamente si troverebbero a loro agio nelle pensioni romagnole o della costa veneto-friulana. Nonostante l’intimità del Banana col Satrapo russo e lo scambio di favori. A senso unico.
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