sabato 1 gennaio 2011
Da Phnom Penh, buone notizie per la Cambogia
PHNOM PENH – Dopo Saigon, un altro ritorno, questa volta nella capitale cambogiana, una sosta di un paio di giorni prima di proseguire verso la Thailandia e l’isola di Ko Chang, per una settimana di ozio assoluto che mi sono prescritto da solo, meritato dopo cinque settimane infaticabilmente on the road. Se Saigon aveva confermato le mie aspettative e l’avevo trovata meno affannosa e più ordinata, in cinque anni Phnom Penh è migliorata moltissimo nel suo complesso. E così immagino il resto del Paese, anche a giudicare dai quasi duecento chilometri che separano la capitale dal confine vietnamita in cui ho potuto vedere una bella campagna coltivata con ordine, utilizzando anche attrezzature che fa erano sconosciute solo cinque anni, quando dominava davvero una miseria infinita. La Cambogia è sempre stata più povera del Vietnam, almeno negli ultimi quarant’anni, e in modo particolare dopo il genocidio perpetrato dal regime dei Khmer Rossi (le realizzazione del comunismo più puro, portato alle estreme conseguenze: un’esperienza che dovrebbe fare riflettere coloro che ancora vaneggiano di ideologie forsennate che periodicamente pretendono di forgiare l’Uomo Nuovo, adattando quello in carne e ossa alla loro teoria folle) e la disastrosa carestia generalizzata che hanno lasciato oltre alla disgregazione di un’intera società quella di tutte le sue sovrastrutture, per usare un termine marxista, ereditate dal sistema capitalista (e con questo l’implosione delle infrastrutture vitali per il Paese), ma si sta nettamente riprendendo.I cambiamenti di cui sono testimone sono spettacolari. Phnom Penh, nota in passato come “La perla dell’Asia”, una città aggraziata dove il tocco francese è ancora più evidente che non a Saigon e Hanoi, sta tornando a essere una delle più belle e piacevoli città di questo continente, cosa che non si poteva dire soltanto cinque anni fa. La principale sorpresa è stata trovare le strade asfaltate: solo nel 2005 anche nel pieno centro non lo era nemmeno la metà, e non parlo della pavimentazione dei marciapiedi né del sistema fognario: polvere e sporco ovunque, immaginarsi quando pioveva. Ora è tutto più pulito, funzionale, meno caotico, parecchi edifici sono stati rimessi a posto o completamente ristrutturati, ed è tornata ad essere una città gradevole da girare sia a piedi sia a bordo dei “tuc-tuc”, tricicli motorizzati con struttura a baldacchino, più comodi dei mototaxi che comunque abbondando. Si notano molte meno prostitute o altri affari loschi, a cominciare dallo spaccio di droga, che avvenivano pressoché alla luce del sole. Circolano ancora più cyclo rispetto a Saigon, ma quelli che si vedono anche molto di più in giro sono gli stramaledetti SUV, di tipo gigantesco e tra i modelli più costosi, in uso agli arroganti rampolli degli arricchiti locali, e una pletora di mendicanti, bambini in stracci, donne, mutilati, deformi che chiedono l’elemosina: uno dei tanti aspetti che la Cambogia ha in comune con l’India, dove l’esibizione da parte di una variegata corte dei miracoli delle proprie disgrazie per le strade è abituale.Pare che il popolo khmer sia originario dell’attuale Thailandia, ma prima ancora di assurgere alle vette della civiltà che avrebbe prodotto le meraviglie di Angkor, ha avuto fortissime influenze indiane nella cultura, nella religione e nella politica; la lingua stessa le ha avute dal pali e dal sanscrito, come si può notare dalla scrittura. Anche l’aspetto dei cambogiani, spesso più scuri e con occhi più tondi, nonché la stessa lingua parlata, che non è tonale e possiede dei suoni che ci risultano familiari per quanto incomprensibile, li differenziano dai popoli vicini. Altri influssi li ha avuti da Giava mentre alcuni favoleggiavano di un’ipotetica discendenza dei khmer da una delle “tribù perse” d’Israele. Di sicuro c’è che si tratta di un popolo affabile, comunicativo, sincero, affettuoso, sempre pronto al sorriso e alla conversazione, il che stupisce, conoscendo le violenze subite in decenni di conflitti che avevano coinvolto il Paese suo malgrado, come il Laos, utilizzato come via di rifornimento e retroguardia dai Vietcong e bombardato senza pietà, e senza intervenire direttamente, da parte degli USA. Soprattutto nel Laos si trattò di una vera e propria guerra invisibile: qui il Paese era governato da dei fantocci degli USA sul tipo di quelli del Vietnam del Sud, il che scatenò una lunga guerra civile il cui esito fatale fu, appunto, la vittoria dei Khmer Rossi di Pol Pot.Non ho visitato nuovamente, in questa mia breve sosta, il bel Palazzo Reale con la sua Pagoda d’Argento, né il Museo Nazionale né quello di Tuol Sleng, la ex scuola superiore che era stata trasformata nello S-21, il principale centro di detenzione e tortura di tutto il Paese, né, infine, i campi di sterminio di Choeung Ek, esperienza che consiglio a chi venisse da queste parti, ma non potevo mancare la salita, si fa per dire, al Wat Phnom, che “domina” la città dall’alto dei suoi 27 metri (curiosamente gli USA, dopo averla menata fino all’inverosimile sulla sicurezza e il pericolo terrorismo, sono andati a costruire la nuova ambasciata proprio ai piedi dell’unica altura della città: geniali!) e soprattutto il pellegrinaggio ai due mercati principali, lo Psar Thmei, detto anche Mercato Centrale, vero cuore della città, che si sviluppa in quattro ali di bancarelle a partire dalla sala centrale dominata da una cupola immensa, altre bancarelle attorno, in un’area che è stata in buona parte coperta, risanata e dotata di servizi: una meraviglia; l’altro lo Psar O Russei, tuttora più popolare, su tre piani terrazzati (sull’ultimo ci sta pure un parcheggio per motociclette). Anche lì ho notato i cambiamenti rispetto a cinque anni fa: nelle merci e nella disponibilità economica della gente oltre che nel suo aspetto. Relativamente poche persone portano la caratteristica kramah, la tipica pezza di stoffa simile alla kefiah palestinese, che i cambogiani usano principalmente per avvolgersi il capo e talvolta il volto per proteggersi dal sole e dalla polvere, ma anche come sarong, come lenzuolo, come imbracatura per i bambini: un oggetto multiuso come un coltellino svizzero, e ho faticato a trovarne una autentica.Constatare tutti questi passi in avanti, che non sono dovuti soltanto a uno sviluppo economico che nei Paesi vicini ha assunto uno sviluppo incontrollato ma ad investimenti graduali e mirati, significa anche che le organizzazioni non governative, particolarmente attive in Cambogia soprattutto per aiutare le donne, incoraggiandone l’attività sotto forma di cooperative, e i bambini, in particolare quelli vittime di traffici e abusi sessuali, qui sono riuscite ad operare con successo. Stasera, d’obbligo una visita con sosta allo FCC, il Foreigner’s Correspondents’ Club, all’ora dell’aperitivo: con vista sul lungofiume (il Mekong che qui diventa Tonlé Sap) dalle terrazze di un bel palazzo in stile coloniale: un rito per un arrivederci! (Nelle foto: dall'alto il Wat Phnom; vista dal terrazzo dello Psar O Russei; trasporti a Phnom Penh; Bimbo nell'amaca allo Psar Thmei; la meritata pennica dei guidatori di cyclo)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento