lunedì 29 novembre 2010
Stop Over a Tel Aviv: la città e i cani
TEL AVIV (תל אביב-יפו) - Ho organizzato la mia trasferta in Estremo Oriente, con base a Hong Kong, usufruendo degli ottimi prezzi di El Al, la compagnia di bandiera israeliana, e così sono riuscito a congegnare uno stop over di 18 ore, da stamattina alle 3 alle 21 di stasera, in modo di riuscire a dare almeno un'occhiata alla città. La seconda dopo Gerusalemme, che è anche la capitale, per numero di abitanti, ma centro dell'area metropolitana più popolata del Paese. Intanto da sfatare la pedanteria dei controlli doganali: meticolosi ma rispettosi alla partenza da Malpensa per quanto riguarda il bagaglio da stiva, nessun interrogatorio particolarmente penetrante e indiscreto, nessuna dichiarazione da presentare al controllo passaporti; per evitare rogne successive in Paesi che considerano Israele come un nemico basta chiedere di applicare il timbro che funge da visto di ingresso su un foglio a parte, che viene prontamente ritirato all'uscita dalla dogana. Non ho mai impiegato così poco tempo a sbrigare delle formalità di frontiera. "Gerusalemme prega e tel Aviv si diverte", recita un detto popolare, e la prima impressione ne è l'esatta conferma, calando alle prime luci dell'alba dalla stazione dei treni di Merkaz, a 10' dall'aeroporto Ben Gurion, a piedi verso il lungomare: alle sette del mattino erano già attivi jogger a decine, qualche bagnante si dedicava a una salutare nuotata mattutina, ma i veri padroni della spiaggia, e spesso dei marciapiedi, sono i cani, di ogni razza e dimensione: una densità canina paragonabile l'ho vista soltanto a Buenos Aires, e una città così innamorata dei quattrozampe soltanto Resistencia, sempre in Argentina, da dove avevo scritto un postcon un titolo simile a quello di oggi. Tel Aviv è decisamente moderna, e nel suo nucleo storico ricorda nettamente una città del meridione italiano, però più ordinata e pulita. Me l'aspettavo anche più caotica, invece rispetto alle nostre mi sembra piuttosto tranquilla, anche se qui sembrano lamentarsi. Laica e disinibita quanto Gerusalemme è religiosa e bigotta, qui anche le persone anziane hanno lo sgaurdo vispo dei ragazzi e l'aria di divertirsi: sembrano dei triestini, ossia i californiani d'Italia."Nasualmente" e non ancora dotatop di cartina, sono subito capitato nella zona del mercato di Carmel (quello che dà il nome alla marca degli avocado che giungono sulle nostre tavole: foto qui sopra la zona), estremamente simile, anche per gli edifici che lo circondano, nel quartiere cosiddetto "yemenita", a quelli palermitani della Vucciria e diBallarò, e anche le fattezze della gente lo sono: un sano miscuglio, dai biondi ai mori, come i siciliani. Sì, sono ebrei: ma hanno le stesse nostre facce e si muovono e gesticolano come noi. E parlano ininterrottamente. Colpisce la presenza di una quantità di russi, giunti negli ultimi decenni a rimpinguare la componente ebraica di Israele: è il russo la seconda lingua che si sente parlare, non l'inglese, e lo stesso vale per le scritte, decisamente un problema a parte il pieno centro se non si è dotati di una mappa. Seguendo il lungomare verso Sud per circa tre chilometri si giunge a Jaffa (foto in basso), situata su una collina a chiudere un'insenatura e a dominare un porticciolo. Di matrice prevalentemente araba, e in parte distrutta dagli inglesi per fare spazio a strutture militari, è stata oggetto di un intervento di restauro che se l'ha ripulita e ricostruita secondo gli antichi dettami, dà pur sempre un'impressione di posticcio: anche le vecchie pietre color ocra rimaste, levigate dal tempo, danno l'impressione di essere appena uscite da una cava e sottoposte ad accurata rifinitura. E' diventata un'attrazione turistica ma, alle 8 del mattino quando vi sono giunto io, gradevole. Oltretutto da Jaffa si gode di un'ottima vista sulla città e l'area metropolitana che si estendono per uan quindicina di chilometri verso Nord, in direzione di Haifa, e che stanno sviluppandosi verso Est. Nella parte bassa di Jaffa si tiene invece giornalmente un mercatino delle pulci che sembra trasportato in riva del Mediterraneo direttamente dalla Russia Sovietica, sia per le cianfrusaglie improbabili che vi si commerciano, sia per i volti dei rigattieri. Temperatura da tarda primavera, quand'è mezzogiorno un bagno lo farei pure io se mi fossi portato dietro il costume e se mi fidassi di lasciare in giro lo zainetto, ma va bene così, pensando che ieri la Terra dei Cachi era battuta dagli acquazzoni quando non coperta di neve. Manco a dirlo i locali sono per di più dotati di collegamento wi-fi gratuito e velocissimo, bar e caffè sono gradevolissimi, si mangia bene, e anche se si tratta della città più cara d'Israele, i prezzi sono accettabili. Meravigliose le spremute, su tutte quella di melograno, non a caso frutto sacro degli ebrei. Fresco, corroborante: si potrebbe dire divino. Un Paese in cui tornare, decisamente, per batterlo a fondo. Anche per capire, osservando, parlando, e non per sentito dire e con i paraocchi ideologici o religiosi. Quel che viene spontaneo chiedersi, è perché l'Unione Europea non solleciti l'adesione di Israele come, inascoltati, avevano proposto più volte e da tempo i radicali italiani. Un Israele europeo sarebbe una garanzia e anche un ottimo viatico per una soluzione della questione palestinese, ne sono convinto. Francamente, c'è molta più Europa qui che nella Romania e Bulgaria post sovietiche. Detto senza offesa. Shalom!
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