domenica 27 agosto 2023

Kursk

"Kursk" di Thomas Vinterberg. Con Matthias Schoenaerts, Léa Seydoux, Colin Firth, Michael Nyqvist, Peter Simonischek, Max von Sydow, Martin Brambach, Guido De Craene, August Diehl, Zlatko Burić, Magnus Millang e altri. Francia, Belgio, Lussemburgo 2018 ★★★1/2

Presentato all'International Film Festival di Toronto nel 2018 e uscito nelle sale francesi nello stesso anno, questo film di Thomas Vinterberg, non l'ultimo arrivato, era inspiegabilmente sparito nel nulla salvo venire riesumato, dopo aver grattato il fondo del barile, in un vano tentativo di salvare Cinema Revolution, la grottesca iniziativa del novello MinCulPop nel velleitario quanto vano sforzo di ridare vita a una stagione cinematograficamente morta come quella estiva. Il regista danese si cimenta questa volta con l'adattamento del romanzo omonimo di Robert Moore che ricostruisce la storia, vera, della vicenda del sottomarino russo K-141 a propulsione nucleare che durante un'esercitazione si inabissò il 10 agosto del 2000 nel Mare di Barents in seguito all'esplosione di un missile che si era surriscaldato e di una successiva, inabissandosi sul fondale, 500 metri sotto la superficie del mare. Dei 118 uomini a bordo se ne salvarono in un primo momento 23, guidati dal capitano Mikhail Averin (Matthias Schoenaerts), che riuscirono a rifugiarsi in un uno dei compartimenti a tenuta stagna dello scafo. Dopo un prologo che familiarizza lo spettatore col gruppo di marinai "inquadrandoli" nella città dove ha sede la base militare a cui appartengono durante la festa di matrimonio di uno di essi, il film ricostruisce i cinque giorni successivi all'incidente, la cui notizia in un primo momento non viene confermata ufficialmente dalle autorità russe, ma di cui è al corrente il commodoro inglese David Russell (il sempre impeccabile Colin Firth) che a bordo di una nave NATO segue da lontano le operazioni dell'eterno nemico e offre alla controparte la (anche interessata) assistenza quando si scopre che qualcuno dell'equipaggio è in vita, perché gli uomini dell'equipaggio, rimasti senza collegamenti radio, a intervalli regolari battevano con un martello sulle pareti metalliche del sottomarino. Il racconto si alterna fra ciò che avviene all'interno e all'esterno del sottomarino: l'angoscia di chi sta a bordo e vede ridursi le speranze di sopravvivenza col venir meno dell'ossigeno, la mancanza di corrente e la progressiva infiltrazione d'acqua, e di chi, a cominciare dai famigliari dei marinai, all'esterno, si scontra col muro di gomma delle autorità russe che prima nascondono l'accaduto, poi si trincerano dietro il segreto militare, per coprire la propria impreparazione e impotenza (dopo il decennio di Eltsin - Putin era salito al potere solo da pochi mesi - l'apparato militare ex sovietico versava in uno stato pietoso), mentre rifiutavano categoricamente l'aiuto straniero (da parte della nave inglese e di una norvegese specializzata nel recupero di sottomarini). Elemento comune è l'attesa dell'inevitabile, dato il protrarsi dello stallo che si instaura. La pellicola è di impianto solido e direi classico, molto "inglese" nonostante sia stata voluta e prodotta da Luc Besson, se si vuole prevedibile (essendo la vicenda nota e viva nei ricordi di chi l'ha seguita su giornali e TV all'epoca) e dà agio a Vinterberg di prodursi in quella introspezione psicologica dei vari personaggi e nella attenta osservazione e svelamento delle dinamiche sia individuali sia di gruppo che caratterizzano tutti i suoi lavori: lo agevola in questo un cast di alto livello dove, oltre a due già citati, brillano Peter Simonischek nei panni dell'ammiraglio Grudinsky, l'imperituro Max von Sidow in quelli del pari grado Vladimir Petrenko, una brava Léa Seydoux e Mikael Nyqvist nella sua ultima interpretazione prima della prematura scomparsa. 

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