"Italiano medio" di Maccio Capatonda aka Marcello Macchia. Con Maccio Capatonda, Luigi Luciano, Lavinia Longhi, Barbara Tabita, Enrico Venti, Franco Mari, Gabriella Franchini, Francesco Sblendorio, Rodolfo D'Andrea, Matteo Bessofin, Anna Pannocchia, Nino Frassica, Pippo Lorusso, Raul Cremona, Andrea Scanzi. Italia 2015 ★★★★½
Per fortuna e per caso, mi è capitato di godermi questo film memorabile nel panorama della comicità italiana, quasi un unicum, che mi ero inesplicabilmente perso quando era uscito, nel gennaio dell'anno scorso, e ora riproposto su SKY, proprio la sera prima di andare a vedere l'attuale campione di incassi targato Checco Zalone, che pure ha tutta la mia stima e simpatia, ben più di chi ne ha fatto un caso nazionale incensandolo o denigrandolo a sproposito. I due film, pur avendo entrambi per oggetto, o meglio bersaglio, "l'italiano medio", mettendo in vetrina i ben noti vizi nazionali e sbertucciandoli a dovere, non potrebbero essere più diversi: spietato, irriverente, stralunato, delirante quello dell'"autartico" Maccio Capatonda, al suo esordio cinematografico, e del suo entourage di geniali artigiani borderline; tutto sommato indulgente e bonario, protagonista di una storia lineare e dal lieto fine, confezionata da professionisti del cinema di lungo corso e comprovato mestiere quello di Checco Zalone. L'alter ego di Maccio Capatonda è Giulio Verme, ostracizzato da una famiglia televisionata all'ultimo stadio, refrattario fin da piccolo non solo alla TV, ma ai media in generale e al consumismo di massa, che fugge al Nord, e precisamente a Milano dove, dopo essersi laureato, si riduce a lavorare come addetto alla raccolta differenziata, finendo per diventare un talebano dell'ecologia, oltre che animalista a oltranza e dunque vegano e ossessionato dalla sovrappopolazione del pianeta e quindi sostanzialmente votato all'astinenza sessuale, cosa che la fidanzata Franca, un'architetta brutterella più che insignificante, ma un po' più concreta dell'omino buffo e sentenzioso che si è scelta come partner, disapprova. Quando Franca si reca in Africa per un paio di settimane di volontariato, alla porta di Verme bussa un suo vecchio compagno di scuola, con la vocazione di "usciere", ridottosi a vendere bibbie a domicilio, il quale, vedendolo depresso, gli propina una pillola miracolosa che, per quel che capisce Verme, dovrebbe consentirgli di sfruttare le potenzialità del proprio cervello ben oltre il 20% d'ordinanza, mentre in realtà ne riduce le facoltà al 2%, ossia lo tramuta, nel periodo della sua efficacia, nel perfetto "italiano medio", e la trasformazione, come in Doctor Jekyll e Mister Hide, è comportamentale quanto fisica, fino a farlo diventare un'icona televisiva, vincitore di un grottesco quanto realistico "MasterVip". Maccio Capotonda, in questo suo omino ridicolo e ripugnante dalla personalità schizofrenica, ci mette dentro proprio tutto, il peggio del milanesoide cocainizzato-palestrato-depilato-tatuato quanto del cretinismo da "politicamente corretto", e lo fa con sacrosanta ferocia, in un crescendo rossiniano memorabile, degno del miglior Belushi e dei Monty Python: anche l'informazione ottiene la sua parte, e da segnalare è un cameo di Andrea Scanzi (di cui condivido quanto scritto su Zalone nel suo blog sul Fatto Quotidiano on line) nei panni di un giornalista televisivo in mezzo a una massa di colleghi invasati che, microfono alla mano, al capezzale di Giulio Verme, ne implorano una dichiarazione appena uscito dallo stato di coma. Un impietoso ritratto dell'Italia rimbecillita da un trentennio di televisioni commerciali distribuito, curiosamente, da Medusa, gruppo MerdaSet. Che ha prodotto e distribuito anche
"Quo Vado" di Gennaro Nunziante. Con Checco Zalone aka Luca Medici, Eleonora Giovanardi, Sonia Bergamasco, Maurizio Micheli, Ludovica Modugno, Ninni Bruschetta, Paolo Pierobon, Azzurra Martino, Lino Banfi. Italia 2015 ★★+
Uscito nelle sale in un numero esorbitante di copie il 1° gennaio, opportunamente presentato dal suo protagonista nel bel mezzo delle festività natalizie, dando vita a una campagna promozionale cui ha abboccato, perché prezzolata o per stupidità luogocomunista, tutto il piccolo, provinciale mondo dei media nostrani, conferma quanto ho già detto a suo tempo di Sole a catinelle, la precedente pellicola del "fenomeno": Checco Zalone è un comico di talento, tra i migliori in circolazione, quello che più assomiglia ad Alberto Sordi nel riuscire a dipingere, per l'appunto, l'italiano medio ma in modo che questo possa riconoscervisi e perfino riderci sopra, e quindi in maniera accettabile. Le trame dei suoi film sono esili e si somigliano tutte, a partire dal personaggio che è sempre lo stesso, il bamboccione furbetto che non si scolla dalle cottole della mamma, cinico, cialtrone, codardo ma in fondo dall'animo buono e tutto sommato civilizzabile, a condizione di concedergli qualche trasgressione alle regole della convivenza su cui è sempre pronto ad autoindulgere. A tenerle insieme è lui, che si fa sempre accompagnare da colleghi all'altezza (e questo conferma l'intelligenza di Luca Medici): da notare la presenza della bravissima Sonia Bergamasco, attrice teatrale di vaglia, nei panni della dottoressa Sironi, un'alta funzionaria del ministero del Lavoro che ingaggia una lunghissima battaglia con Checco, cresciuto fin dalla più tenera infanzia con la religione del "posto fisso", per fargli dare le dimissioni dal suo impiego, travèt presso l'Ufficio Caccia e Pesca della Provincia di Bari, in seguito alla riforma renziana che ha abolito (di nome ma non di fatto) quest'ultimo ente. Zalone resiste a qualsiasi lusinga, anche di tipo economico, e a ogni trasferimento disposto dalla Sironi per farlo cedere, anche nelle sedi più disagiate e improbabili: perfino spedito al Polo Nord, presso una missione scientifica italiana nell'Artide che si sta squagliando, il nostro eroe rimane aggrappato al posto fisso come una cozza sullo scoglio, ma lì, in Norvegia, troverà l'amore in una ricercatrice idealista e dalla mentalità più aperta (per quanto vanesia e discutibile) della sua e sarà disposto, fino a un certo punto a "civilizzarsi" (la trasferta al Nord a questo scopo è uno dei tanti punti in comune col film di Capatonda, come anche la missione umanitaria in Africa) e a deviare, senza strafare, dallo stereoptipo del mammone: il lieto fine è comunque assicurato e non lo anticipo. Dicevo dei punti in comune tra i due film ma al contempo di quanto più differenti non potrebbero essere: qui si sorride, là si sghignazza a più non posso fino a farsi venire i crampi allo stomaco; qui si va per gag, godibili ed efficaci di per sé, là per iperboli: il personaggio di Verme cresce man mano e le singole scene non rendono quanto l'insieme; qui la trama è un pretesto e la sceneggiatura nulla più che un mezzo per tenerla in piedi, là è strutturale, complessa, curata nei minimi dettagli, colma di citazioni azzeccate e a prova di bomba; Zalone è un'icona, sempre sé stesso; il Giulio Verme di Maccio Capatonda è un mutante, il suo volto si trasforma come fosse di plastilina, così come sono dei mutanti e mostruosi i personaggi che lo circondano, e inquietante, esattamente come la realtà, il mondo in cui si muovono, mentre è tutto sommato vivibile, con qualche compromesso, in Quo Vado? Checco Zalone è un bravo comico, tendenzialmente televisivo, una persona intelligente, comprensibile e accettabile per l'italiano medio (anche da quello che usa soltanto il 2% della propria capacità intellettiva, quella residua dopo il bombardamento mediatico); Maccio Capatonda è fuori categoria, un teatrante con doti mimiche straordinarie, un pazzo furioso e inaccettabile per l'Italiano medio, che non sarebbe nemmeno in grado di capire un film che pure si intitola a lui e gli è dedicato, e questo spiega ampiamente l'impatto mediatico abissalmente diverso dei due film e il rispettivo successo. Spero di rivedere Maccio Capatonda all'opera quanto prima, ammesso che qualcuno abbia il coraggio di concedergli una seconda possibilità.
Per fortuna e per caso, mi è capitato di godermi questo film memorabile nel panorama della comicità italiana, quasi un unicum, che mi ero inesplicabilmente perso quando era uscito, nel gennaio dell'anno scorso, e ora riproposto su SKY, proprio la sera prima di andare a vedere l'attuale campione di incassi targato Checco Zalone, che pure ha tutta la mia stima e simpatia, ben più di chi ne ha fatto un caso nazionale incensandolo o denigrandolo a sproposito. I due film, pur avendo entrambi per oggetto, o meglio bersaglio, "l'italiano medio", mettendo in vetrina i ben noti vizi nazionali e sbertucciandoli a dovere, non potrebbero essere più diversi: spietato, irriverente, stralunato, delirante quello dell'"autartico" Maccio Capatonda, al suo esordio cinematografico, e del suo entourage di geniali artigiani borderline; tutto sommato indulgente e bonario, protagonista di una storia lineare e dal lieto fine, confezionata da professionisti del cinema di lungo corso e comprovato mestiere quello di Checco Zalone. L'alter ego di Maccio Capatonda è Giulio Verme, ostracizzato da una famiglia televisionata all'ultimo stadio, refrattario fin da piccolo non solo alla TV, ma ai media in generale e al consumismo di massa, che fugge al Nord, e precisamente a Milano dove, dopo essersi laureato, si riduce a lavorare come addetto alla raccolta differenziata, finendo per diventare un talebano dell'ecologia, oltre che animalista a oltranza e dunque vegano e ossessionato dalla sovrappopolazione del pianeta e quindi sostanzialmente votato all'astinenza sessuale, cosa che la fidanzata Franca, un'architetta brutterella più che insignificante, ma un po' più concreta dell'omino buffo e sentenzioso che si è scelta come partner, disapprova. Quando Franca si reca in Africa per un paio di settimane di volontariato, alla porta di Verme bussa un suo vecchio compagno di scuola, con la vocazione di "usciere", ridottosi a vendere bibbie a domicilio, il quale, vedendolo depresso, gli propina una pillola miracolosa che, per quel che capisce Verme, dovrebbe consentirgli di sfruttare le potenzialità del proprio cervello ben oltre il 20% d'ordinanza, mentre in realtà ne riduce le facoltà al 2%, ossia lo tramuta, nel periodo della sua efficacia, nel perfetto "italiano medio", e la trasformazione, come in Doctor Jekyll e Mister Hide, è comportamentale quanto fisica, fino a farlo diventare un'icona televisiva, vincitore di un grottesco quanto realistico "MasterVip". Maccio Capotonda, in questo suo omino ridicolo e ripugnante dalla personalità schizofrenica, ci mette dentro proprio tutto, il peggio del milanesoide cocainizzato-palestrato-depilato-tatuato quanto del cretinismo da "politicamente corretto", e lo fa con sacrosanta ferocia, in un crescendo rossiniano memorabile, degno del miglior Belushi e dei Monty Python: anche l'informazione ottiene la sua parte, e da segnalare è un cameo di Andrea Scanzi (di cui condivido quanto scritto su Zalone nel suo blog sul Fatto Quotidiano on line) nei panni di un giornalista televisivo in mezzo a una massa di colleghi invasati che, microfono alla mano, al capezzale di Giulio Verme, ne implorano una dichiarazione appena uscito dallo stato di coma. Un impietoso ritratto dell'Italia rimbecillita da un trentennio di televisioni commerciali distribuito, curiosamente, da Medusa, gruppo MerdaSet. Che ha prodotto e distribuito anche
"Quo Vado" di Gennaro Nunziante. Con Checco Zalone aka Luca Medici, Eleonora Giovanardi, Sonia Bergamasco, Maurizio Micheli, Ludovica Modugno, Ninni Bruschetta, Paolo Pierobon, Azzurra Martino, Lino Banfi. Italia 2015 ★★+
Uscito nelle sale in un numero esorbitante di copie il 1° gennaio, opportunamente presentato dal suo protagonista nel bel mezzo delle festività natalizie, dando vita a una campagna promozionale cui ha abboccato, perché prezzolata o per stupidità luogocomunista, tutto il piccolo, provinciale mondo dei media nostrani, conferma quanto ho già detto a suo tempo di Sole a catinelle, la precedente pellicola del "fenomeno": Checco Zalone è un comico di talento, tra i migliori in circolazione, quello che più assomiglia ad Alberto Sordi nel riuscire a dipingere, per l'appunto, l'italiano medio ma in modo che questo possa riconoscervisi e perfino riderci sopra, e quindi in maniera accettabile. Le trame dei suoi film sono esili e si somigliano tutte, a partire dal personaggio che è sempre lo stesso, il bamboccione furbetto che non si scolla dalle cottole della mamma, cinico, cialtrone, codardo ma in fondo dall'animo buono e tutto sommato civilizzabile, a condizione di concedergli qualche trasgressione alle regole della convivenza su cui è sempre pronto ad autoindulgere. A tenerle insieme è lui, che si fa sempre accompagnare da colleghi all'altezza (e questo conferma l'intelligenza di Luca Medici): da notare la presenza della bravissima Sonia Bergamasco, attrice teatrale di vaglia, nei panni della dottoressa Sironi, un'alta funzionaria del ministero del Lavoro che ingaggia una lunghissima battaglia con Checco, cresciuto fin dalla più tenera infanzia con la religione del "posto fisso", per fargli dare le dimissioni dal suo impiego, travèt presso l'Ufficio Caccia e Pesca della Provincia di Bari, in seguito alla riforma renziana che ha abolito (di nome ma non di fatto) quest'ultimo ente. Zalone resiste a qualsiasi lusinga, anche di tipo economico, e a ogni trasferimento disposto dalla Sironi per farlo cedere, anche nelle sedi più disagiate e improbabili: perfino spedito al Polo Nord, presso una missione scientifica italiana nell'Artide che si sta squagliando, il nostro eroe rimane aggrappato al posto fisso come una cozza sullo scoglio, ma lì, in Norvegia, troverà l'amore in una ricercatrice idealista e dalla mentalità più aperta (per quanto vanesia e discutibile) della sua e sarà disposto, fino a un certo punto a "civilizzarsi" (la trasferta al Nord a questo scopo è uno dei tanti punti in comune col film di Capatonda, come anche la missione umanitaria in Africa) e a deviare, senza strafare, dallo stereoptipo del mammone: il lieto fine è comunque assicurato e non lo anticipo. Dicevo dei punti in comune tra i due film ma al contempo di quanto più differenti non potrebbero essere: qui si sorride, là si sghignazza a più non posso fino a farsi venire i crampi allo stomaco; qui si va per gag, godibili ed efficaci di per sé, là per iperboli: il personaggio di Verme cresce man mano e le singole scene non rendono quanto l'insieme; qui la trama è un pretesto e la sceneggiatura nulla più che un mezzo per tenerla in piedi, là è strutturale, complessa, curata nei minimi dettagli, colma di citazioni azzeccate e a prova di bomba; Zalone è un'icona, sempre sé stesso; il Giulio Verme di Maccio Capatonda è un mutante, il suo volto si trasforma come fosse di plastilina, così come sono dei mutanti e mostruosi i personaggi che lo circondano, e inquietante, esattamente come la realtà, il mondo in cui si muovono, mentre è tutto sommato vivibile, con qualche compromesso, in Quo Vado? Checco Zalone è un bravo comico, tendenzialmente televisivo, una persona intelligente, comprensibile e accettabile per l'italiano medio (anche da quello che usa soltanto il 2% della propria capacità intellettiva, quella residua dopo il bombardamento mediatico); Maccio Capatonda è fuori categoria, un teatrante con doti mimiche straordinarie, un pazzo furioso e inaccettabile per l'Italiano medio, che non sarebbe nemmeno in grado di capire un film che pure si intitola a lui e gli è dedicato, e questo spiega ampiamente l'impatto mediatico abissalmente diverso dei due film e il rispettivo successo. Spero di rivedere Maccio Capatonda all'opera quanto prima, ammesso che qualcuno abbia il coraggio di concedergli una seconda possibilità.
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