lunedì 17 giugno 2013

Il fondamentalista riluttante

"Il fondamentalista riluttante" (The Reluctant Fundamentalist) di Mira Nair. Con Riz Ahmed, Kate Hudson, Lijev Schreiber, Kiefer Sutherland, Om Puri e altri. USA, GB, Qatar 2012 ★★★+
Un buon film, che affronta da angolazioni diverse dal solito sia la supponenza tutta statunitense la propria way of life e il conseguente modo di interpretare la realtà siano gli unici a rappresentare il "progresso" e che questo li legittimi a intervenire in ogni parte del mondo per esportarli, difendendo così i propri interessi, sia i motivi che possono spingere perfino esponenti del mondo islamico cosiddetto "moderato", inclini ad essere attratti dal modello americano, a schierarsi contro la superpotenza. E' quel che capita a Changez Khan, già giovane e brillante analista finanziario nel rampante mondo di Wall Street, un vero e proprio figlio di puttana che valuta le società da mettere in vendita e le "razionalizza" tagliando teste senza alcuna pietà, tanto bene inserito nella upper class newyorchese da diventare il più giovane socio, benché straniero, della finanziaria per cui lavora, sia di avviare una relazione sentimentale profonda con Erica, nipote del presidente della company e "artista fotografica", alquanto sciroccata ma stronza almeno quanto lui. Arriva però l'11 settembre 2001 e con il crollo delle Torri Gemelle cambia tutto e il giovane pakistano viene percepito e spesso trattato come un intruso e un "sospetto" e comincia a farsi delle domande. La pellicola ruota attorno a un'intervista che Changez, nel frattempo rientrato a Lahore, dove insegna all'università, concede al giornalista USA Bobby Lincoln nel bel mezzo del rapimento di un suo collega statunitense che insegna nella stessa università e di forti tensioni tra studenti e polizia alla caccia dei sequestratori. In essa Changez, a sua volta proveniente dalla buona borghesia pakistana, benché decaduta, racconta il realizzarsi del suo "sogno americano" e la sua vicende sentimentale con Erica, causa non ultima della suo ritorno in patria e dell'avvicinamento (in realtà solo parziale) alla causa dei mujaheddin. In questo racconto, e negli spunti che offre (compreso il rapporto col padre di Cangez, un letterato che non condivide l'aridità affaristica del figlio), la pellicola dà il suo meglio, mentre è farraginosa e piuttosto confusionaria la parte dell'azione, con un improbabile commando misto CIA-FBI che sta dietro al giornalista, un tempo ammiratore di Ahmad Shah Massud, il "Leone del Panshir" e passato a sua volta, in seguito all'11 settembre, a libro paga della CIA, arruolato proprio dall'insegnate sequestrato. Solo alla fine si renderà conto della sincerità di Changez, che l'acuta "Intelligence" USA sospettava essere la "mente" del sequestro, mentre questi si rivela essere un uomo che attraverso la propria esperienza ha capito quanto sia necessario, per ragionare sulla realtà e interpretare le situazioni, stare alla larga da ogni fondamentalismo, religioso così come economicista, ossia proprio i due modelli che si scontrano in Pakistan come altrove nel mondo, e che alla fine ha interiorizzato il messaggio del padre e ora è ben cosciente del ruolo che può svolgere nel suo Paese, ma non certo in quegli USA che si ostina a dire di amare. Io molto meno, e per questo trovo positivo il messaggio del film.

1 commento:

  1. stefano.gugole@libero.it
    non ho neanche io il tuo e su fb se clicco mesaggi mi si presenta la chat.

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