mercoledì 11 settembre 2024

Limonov

"Limonov" (Limonov. The Ballad) di Kirill Serebrennikov. Con Ben Wishaw, Viktoria Miroshnichenko, Tomas Arana, Corrado Invernizzi, Sandrine Bonnaire, Louis-Do de Lencquesaing, Ivan Ivashkin, Masha Mashkova, Odin Lund Biron, Evgeniy Mironov, Andrey Burkovskiy, Emmanuel Carrère, Donald Sumpter e altri. Italia, Francia, Spagna 2024 ★1/2

Molto "ballad" e poco Limonov: il titolo completo scelto dalla distribuzione nostrana è, al solito fuorviante rispetto a quello internazionale (il film era stato presentato all'ultimo Festival di Cannes) perché il ritratto che ne fa Serebrennikov, che pure ha conosciuto Eduard Veniaminovič Savenko di persona, è lontano sia da quel che si evince dai suoi scritti, in particolare dalle sue fulminanti poesie, sia da quello di Emmenuel Carrère (che pure qui è presente come consulente oltre che interprete di sé stesso) che ne aveva romanzato la biografia nell'omonimo libro di grande successo. Personaggio contraddittorio eppure dotato di una sua coerenza, Limonov (il soprannome si riferiva a una granata sovietica così chiamata per la somiglianza all'agrume) è stato tante cose: nato nel 1943 a Dzeržinsk, operaio in una fonderia di Charkiv, ladro, aspirante poeta, all'occasione sarto, si trasferisce a Mosca, dove si muove nell'ambiente letterario in cerca di una pubblicazione che non gli viene concessa e conosce la futura moglie Elena: affamato di notorietà, trova il modo di farsi "esiliare" pur non essendo un dissidente (anche quello è un "lavoro", scoprirà una volta giunto in Occidente), assicurando che, una volta famoso, farà più danni al nemico in casa sua che in patria. E così troviamo la coppia nella desolante ma viva New York degli anni Settanta, riproposta nelle solite, abusate colorazioni delle sgranate pellicole dell'epoca, sulle note dei Velvet Underground, dei Ramones e del punk, con citazioni cinematografiche e musicali scontate, a condurre una vita miserabile e dissipata, fuori contesto, dedicata alla provocazione fine a sé stessa e, in sostanza, all'autodistruzione, tra sesso, droga e rock'n roll. Una città repulsiva e di raro squallore, quale in realtà è sempre stata, al di là delle "mille luci", a cui finirà presto col preferire la stessa Unione Sovietica. Lasciato dalla moglie, dopo aver toccato il fondo facendo sesso con un clochard di colore, si ricicla come maggiordomo di un miliardario ma alla fine rientrerà in patria nel 1991 in seguito alla dissoluzione dell'URSS dopo un passaggio in Francia, dove avrà paradossalmente il maggiore successo come scrittore pur litigando con tutti, a cominciare dagli "intellos" di sinistra, per finire in una galera russa accusato di terrorismo per avere fondato un partito nazionalista bolscevico. Tanta carne al fuoco eppure poco traspare della vera personalità e delle motivazioni di una personalità ricca e straordinariamente complessa, ma molto russa, a parte la caratteristica di attraversare la vita, nel suo caso le diverse vite, sistematicamente controcorrente. Alla fine preponderante rimane la parte newyorkese, dove vediamo in azione una sorta di folletto pop dalle insaziabili brame sessuali, nichilista, esagerato, inutilmente provocatorio e sopra (o sotto) le righe, come del resto la traduzione che ne fa cinematograficamente Sebrennikov, con uno stile frenetico che ricorda da vicino quello dei primi video musicali proprio di quell'epoca, per poi tornare a un'ambientazione realistica quando Limonov si muove in Europa. Per un soggetto così russo, convince poco la scelta di un attore inglese, Ben Wishaw che, lapprendo, ha recitato nella sua lingua con un parodistico accento slavo: che fosse svogliato, irritante ancor più del personaggio che interpretava e comunque fuori parte è reso evidente dal confronto con gli altri suoi colleghi, tutti molto più convincenti di lui. Insomma una delusione, un altro film che sembra più un biopic da serie TV che un'opera cinematografica di un qualche spessore, ce lo si poteva risparmiare. Decisamente deludente.

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