martedì 11 dicembre 2007
Sampá l'è un Gran Milán!
SÃO PAULO -
La terza città del pianeta per numero d'abitanti (oltre 11 milioni in
centro e circa 18 compresi i sobborghi) dopo Tokio e Città di Messico,
era un borgo insignificante fino ai primi decenni del XIX secolo, quando
dopo la dichiarazione di indipendenza del Brasile del 1822 divenne
prima capitale dell'omonima Provincia (ora Stato) e dopo sede di
una facoltà di giurisprudenza, per svilupparsi quindi tempestosamente e
crescendo in progressione geometrica in seguito all'introduzione delle
coltivazioni di caffè, esportato dal vicino porto di Santos. São
Paulo è sí sterminata, ma mai monotona, posta com'è su un altipiano
dolcemente ondulato che la fornisce di continui saliscendi, che sembrano
fatti apposta per conservare toniche e guizzanti le gambe delle
paulistane, poco faticosi e fastidiosi tranne a causa delle auto che
arrivano sparate in discesa, senza rispettare mai le strisce pedonali
salvo inchiodare e lasciare sull'asfalto un centimetro di pneumatici, o
peggio ancora in salita, dove non frenano e anzi accelerano per
principio, per non perdere l'abbrivio. In realtà, ai miei occhi
meneghini, Sampa, come la chiamano affettuosamente gli
indigeni, è una Milano moltiplicata per dieci trasportata ai Tropici.
Con la differenza che Milano è piatta come un tavolo da biliardo. Per
cominciare entrambe hanno un clima orrendo e insalubre, freddo iun
inverno, caldo d'estate, umido e sgradevole sempre. Entrambe sono
attraversate da corsi d'acqua putridi e pressoché stagnanti: ìl Tietê e
un altro fiumiciattolo canalizzato, il Pinheiros, qui; i Navigli e il
Lambro a Milano. Entrambe hanno livelli di inquinamento che la Ruhr ai
tempi d'oro era un luogo da costruirci dei sanatori, al confronto. Il
traffico è insensato in entrambe le città: qui uno studio prevede la
paralisi totale entro il 2012, a Milano basta una pisciatina di pioggia
in più del normale. Come Milano, Sampa possiede tre linee di
metropolitana più cinque fermate di una quarta, nemmeno collegata alle
precedenti; più sette linee di treni, come il nostro passante
ferroviario, più o meno. Insomma, i trasporti pubblici sono grosso modo
equivalenti a quelli meneghini, con la differenza che qui hanno
conservato anche delle linee di filobus, e sarebbero dimensionati alla
Metropoli sul Naviglio: peccato che Sampa sia dieci volte più
grande. Come dire: per il resto, arrangiatevi. Le somiglianze riguardo
al traffico veicolare fanno balzare all'occhio anche quelle tra gli
abitanti delle due città: come il milanese, il paulistano esibisce
perennemente la truncia (nda: è sempre incazzato); per
strada non cammina, ma corre spintonando da invasato; in macchina è un
isterico che gesticola e urla come un mentecatto; nel fine settimana si
precipita fuori città, desertificandola, per riproporre Sampa sulla costa o nelle campagne circostanti (come il meneghino a Santa, sui Laghi o in Brianza) e causando ingorghi orrendi al rientro domenica sera. Se è molto alternativo e/o molto figo, fa jogging nei rari parchi dalla vegetazione malaticcia, o si dedica allo slalom tra i passanti in sella a city o trekking bike ultratecnologiche da 2000 euro a ruota, con tanto di elmetto in fibra di carbonio ultralight e fascette tergisudore catarifrangenti. L'iPod
è d'ordinanza e il tatuaggio pure. Per fortuna, almeno per ora non va
molto il tipo pelato, compensato però dai negri biondi. A proposito di
epidermide: i bianchi, qui nettamente prevalenti (San Paolo è anche la
città abitata da più italiani - o discendenti - al mondo dopo Roma) sono
grigi, assolutamente intonati al colore del cielo, altrettantro
prevalentemente grigio sporco; i gialli (cospicua l'immigrazione
giapponese, che festeggia quest'anno il centenario) sono verdognoli e
perfino i meticci e i neri acquisiscono una coloratura malsana. Come il
milanese, il paulistano ama spandere merda, fare lo sbruffone e spendere
palate di soldi in locali per gonzi. Jardim Paulista, il
quartiere residenziale dove ho trovato alloggio, è fortunatamente
tranquillo e poco pericoloso anche di notte (mentre il centro storico,
in buona parte degradato, più che svuotarsi, dopo il tramonto diventa off limits
per qualsiasi persona sana di mente che tenga alla propria pelle, e
perfino di giorno è affollato di mendicanti e gente che dorme per terra,
quando va bene avvolta nei giornali: nemmeno a Delhi ho visto qualcosa
del genere): non una carta per terra, polizia e sorveglianti privati
dappertutto, stazioni di taxi impeccabilmente bianchi (come quelli
meneghini) ogni 100 metri, marciapiedi senza crateri, parrucchieri tipo
Jean Luois David e simili, negozi alla moda, preferibilmente italiana, e
naturalmente locali finti, plastificati, pretenziosi e dai prezzi
esorbitanti (il trionfo del sushi bar in una città di forte immigrazione nipponica era prevedibile, come quello dei wine bar, seppure in un Paese dove è discutibile perfino la birra ma però essenziale mostrarsi à la page e soprattutto essere dei pirla). Insomma: tutto per i fighetta.
Danarosi o a credito, di ogni tipo: sembra di stare tra Corso Como e i
Navigli. Un mio parente che ha stazionato per qualche tempo da queste
parti, ancora anni fa suggeriva come investimento l'apertura di un
locale che si facesse forte di una qualsiasi trovata originale (potrebbe
essere l'importazione dell'immondo Fernet con Coca
dall'Argentina facendolo passare come specialità italiana) per attirare
l'attenzione dell'allocco modaiolo di turno e capace di essere
contagiosa e fare proseliti tra i consimili, un'autentica attività da
"spennagrulli" da mettere in piedi con determinazione feroce quanto
l'idiozia delle vittime, facendone strame. Naturalmente per mancanza di
fondi (e di stomaco: un eccesso di moralismo) non se ne è fatto nulla, e
ora forse è troppo tardi, perché perfino la stupiditá e la puzzoneria prima o poi trovano dei limiti in natura. Infine anche i prezzi, in generale, a Sampa,
sono milanesi: dai trasporti al cibo, ogni cosa costa il doppio o il
triplo che nel resto del Paese, perfino del ricco e civile Sud, e
comunque più che a Rio, che pure vive di turismo. E a differenza di Rio,
dove le favelas non solo si vedono ma hanno finito per fare
parte del panorama urbano, però hanno quando appena possibile almeno
degli elementi in muratura, qui sono ben nascoste, specialmente al di
sotto o a ridosso dei viadotti, e sono dei veri accampamenti di solo
cartoni, lamiere e, quando va bene, compensato. Nella città dove abitano
i brasiliani più sfacciatamente ricchi c'è insomma anche la peggiore
miseria e in quanto a criminalità e pericolosità, San Paolo ha ormai
superato perfino la metropoli carioca. Come Milano, anche Sampa è abile a nascondere la spocrizia sotto il tappeto e come Milano afferma di amare l'arte e sente il bisogno di ripetersi questo mantra
ed altri supposti primati, in un rito di autosuggestione stucchevole ma
necessario, perché alla fine non ci crederebbero più neppure i suoi
solerti pierre sempre creativamente all'opera nel propalare
frescacce. Insomma, abbiamo trasferito ai Tropici e nel Terzo Millennio
la mai dimenticata e da molti rimpianta Milano da Bere dei mitici anni Ottanta: potenza della cialtroneria! Fighetta di tutto il mondo, Sampa è la vostra meta!
giovedì 6 dicembre 2007
A querela do Brazil
PARATI (o PARATY)/RJ -
Per chi si fosse chiesto dove fossi finito, eccomi in uno dei posti più
straordinari di tutto il Brasile. Nemmeno 20 mila abitanti, di origini
indio-guiana, la cittadina si è sviluppata verso la fine del
XVII secolo perché tappa obbligata tra Rio de Janeirio e le miniere di
oro e diamanti del Minas Gerais: da qui partiva l'unica strada, per quanto insicura, in origine un sentiero indio, che conducesse dalla costa attraverso la Serra do Mar all'interno,
verso la valle del rio Paraíba e Guaratinguetá, quindi a Ouro Preto e
Diamantina. Fra il 1720 e il 1730 la sua importanza venne meno in
seguito alla costruzione di una strada alternativa, più sicura e veloce,
che avrebbe collegato Rio e il Minas attraversando la Serra dos Orgãos e risparmiando un paio di settimane di cammino. Nell'800 si riprese grazie all'esportazione del caffè. Parati (o Paraty: la grafia è una questione aperta e dibattuta al pari di quella su Brasil o Brazil:
irrisolvibile e quindi superflua) riunisce le caratteristiche di una
città coloniale perfettamente conservata con un'ambientazione
mozzafiato, e soprattutto è riuscita a non snaturarsi nonostante sia
meta turistica fra le più conosciute del Paese. La ragione sta anche nel
suo isolamento: solo nel 1954 fu collegata alla Statale Costiera che da
Rio porta a Santos, e quindi a São Paulo, e fino ad allora era
raggiungibile soltanto dal mare. Rimasta comunque piuttosto appartata
divenne, dopo l'instaurazione del regime militare nel 1964, anche
rifugio di un folto gruppo di intellettuali dissidenti, che qui non
venivano perseguitati: una specie di porto franco, che ha contribuito a
conferire a Parati un'atmosfera del tutto particolare, impedendole, per
fortuna, di essere devastata dagli aspetti più degradanti della
commercializzazione più bieca e dello sputtanamento turistico. Situata
nella celebre Costa Verde, dove la rigogliosa Mata Atlantica
entra direttamente nell'oceano, in una scenografia naturale molto simile
a quella di Rio ma miniaturizzata e senza il suo asfissiante contorno
urbano, nei dintorni della baia di Parati sono disseminate 65 isole e
circa 300 spiagge, di tutte le dimensioni e per tutti i gusti. Centro
storico rigorosamente chiuso al traffico veicolare salvo per i carretti
trainati da asini e cavalli, e non a scopi turistici; pavimentazione a
ciottoli irregolari (qui chiamati pé de moleque, dal nome di un dolce caratteristico, una specie di torroncino di arachidi); oggi la città è rinomata per l'eccellente cachaça, l'acquavite di canna che è il liquoore nazionale (base per la caipirinha),
prodotta in innumerevoli distillerie artigianali in mille varianti
diverse: ottima la "Gabriela", ispirata al film di Marino Barreto
Junior, protagonisti Sonia Braga e il compianto, grande Marcello
Mastroianni, del 1983, tratto dal celebre romanzo di Jorge Amado e
girato proprio qui. Cachaça al gusto di garofano e cannella, davvero
particolare: si direbbe l'essenza del Tropico! Le case sono
rigorosamente a due piani, facciate in calce abbagliante, gli infissi
pitturati in colori intensi: prevalente il blu, ma anche il rosso,
l'ocra, il giallo. Mi diceva qualcuno che è stata una delle prime città
in Brasile adessere costruita secondo un piano regolatore ben preciso:
grosso modo si tratta di 5 isolati per 7, delimitati da un ruscello e
dalla baia, ma diposti in modo irregolare nella loro regolarità, con
curvature improvvise, angoli morti, spazi non prevedibli, soprattutto da
nessun ingresso di strada se ne vede la fine, con l'effetto di
disorientare e creare l'impresione di una specie di labirinto, più
apparente che reale. "Ragioni startegiche", mi hanno detto, non
spingendosi oltre. Immagino per consentire a truppe militari di
nascondersi nei luoghi più oppurtuni per sorprendere e respingere gli
assaltanti ai trasporti di oro e pietre preziose. Turisti che ancora
scarseggiano, in questo periodo, l'unico aspetto negativo di questo
soggiorno sono le infelici condizioni meteorologiche: sono le "aguas de
março fechando o verão" a chiudere la stagione estiva, normalmente,
appena passata la sbornia del Carnaval, come recita la celebre
canzone di Tom Jobim, resa un capolavoro assoluto nella interpretazione
della indimenticabile, grandissima Elis Regina. E invece a rendere
incerto l'inizio di quest'estate 2007/2008 abbiamo gli acquazzoni e la
nuvolaglia decembrina: mai successo per un periodo così lungo!
domenica 2 dicembre 2007
Il Sud: l'altro Brasile
SÃO PAULO -
A conclusione di questo mio percorso nel Brasile meridionale, il Paese
che non ti aspetti, esemplificato dalla piacevole, verde, efficiente e
vivibile città di Curitiba, che ho lasciato quasi con dispiacere, vorrei
avanzare alcune ipotesi sulla diversità di queste regioni rispetto alle
altre e sulla loro tradizionale impronta progressista, a differenza di
quelle del Nord più povero ed arretrato. Una prima ragione sta nella
imigrazione europea e nella mancanza di latifondi. Vero che il resto del
Paese era stato colonizzato dai portoghesi, ma lo sfruttamento delle
risorse era, appunto, di tipo coloniale. Burocrazia statale da un lato e
grandi proprietari terrieri dall'altro, i "colonnelli" di cui parlava
Jorge Amado nei suoi primi romanzi come Il paese del carnevale, Cacao, Sudore, Jubiabá, Terre del finimondo.
Con le fasi delle monoculture, prima il cacao, poi il cotone, poi la
canna da zucchero, poi il caffé, che hanno avuto effetti disastrosi sia
sulla fertilità dei terreni sia sui prezzi delle materie prime, a tutto
danno dei Paesi produttori, in più grazie al ricorso al lavoro degli
schiavi (il viavai delle navi negriere da e verso il Brasile è stato
superiore a qualsiasi altra rotta al mondo). Al contrario, gli spopolati
Stati del Sud, Rio Grande, Santa Catarina e Paraná, ma in buona parte
anche San Paolo e Minas, hanno avuto una immigrazione quasi
esclusivamente europea, italiana e tedesca in particolare ma anche
dall'Euoropa dell'Est, Polonia e Ucraina soprattutto. Che ha portato
tecniche di produzione e attrezzature qui sconosciute, permesso la
creazione di un tessuto di piccole aziende agricole (e poi artigianali, e
quindi industriali) a conduzione famigliare, con l'utilizzo del lavoro
salariato al posto degli schiavi (già vi ho accennato rispetto alla
costruzione della ferrovia Curitiba-Paranaguá). Ma soprattutto, a mio
parere, può aver giocato un ruolo decisivo anche lo spirito
pionieristico di questi immigrati rispetto a quello burocratico e
redditiero del Nord e poi di Rio stessa, quando divenne capitale al
posto di Salvador (aspetto che ai carioca viene rimproverata ancora oggi dagli industriosi paulistanos).
Le condizioni per un rapido sviluppo e poi industializzazione di questi
Stati, San Paolo in testa, erano dunque ideali, considerando anche che
qui c'è tutto: da clima e terreno, che consentono ogni tipo di
coltivazione e allevamento, al fabbisogno energetico. Anche la
distribuzione del reddito è sempre stata molto più equilibrata nel Sud
che non nel resto del Paese, il che ha permesso negli ultimi decenni di
ottenere i tassi maggiori di decremento della povertà di tutto il Paese
(a cui fanno riscontro quelli di alfabetizzazione pressoché completa e
standard sanitari elevati). Non va dimenticato il ruolo-guida svolto
dagli Stati e dalle strutture pubbliche, qui realmente sotto controllo
democratico, anche nel micromiracolo economico in corso dagli
anni 90 che, favorendo con incentivi e micro crediti lo sviluppo di
piccolissime imprese famigliari, soprattutto nel campo della
trasformazione (piccoli allevamenti, uova, marmellate, salse) e
dell'artigianato (mobili, oggettistica in genere), il loro consorzio in
cooperative e la loro collaborazione nella distribuzione, nonché gli
investimenti in infrastrutture, hanno consentito l'uscita di interi
strati di popolazione da un'economia di pura sussistenza. Un esempio non
così facile da seguire in altre zone del Paese che hanno una storia e
una struttura ben più refrattarie a uno sviluppo equilibrato e a favore
di tutti e non solo di pochi.
Iscriviti a:
Post (Atom)