giovedì 5 novembre 2009

Considerazioni finali




9 de JulioBUENOS AIRES – Ultime ore nella capitale, in tempo per alcune brevi osservazioni. Pur rimanendo di gran lunga la metropoli americana più sicura (se si esclude il Canada) e quella in cui un europeo si sente più a suo agio, ho trovato Buenos Aires peggiorata rispetto a come l’avevo lasciata l’ultima volta che ci ero venuto due anni fa. Era stato in occasione delle elezioni presidenziali che avevano ratificato il passaggio di testimone tra Nestor Kirchner e la consorte Cristina, osannato dai nostri centrosinistrati presto orfani di potere come la riprova dell’onda lunga “progressista” nel “Continente desaparecido”, per dirla con Gianni Minà, fedele alla linea, sulla scia di Lula in Brasile, Bachelet in Cile, Evo Morales in Bolivia, quel gran democratico di Hugo Chavez in Venezuela per finire con la banda Castro sull’infelice isola di Cuba. Avevo espresso allora le mie perplessità sul nepotistico cambio della guardia alla Casa Rosada e il timore del prevalere delle pulsioni più populiste del peronismo, peraltro iscritte nel DNA del “movimento”, al di là dell’intento dichiarato dell’ex presidente di non interferire nel governo di Cristina e di dar vita a una forza politica che, finalmente, dopo sessant’anni lo superasse. E invece siamo ancora lì, con le metastasi che si propagano da questo cancro che tuttora affligge questo Paese, come da noi il fascio-catto-comunismo, del resto. Una volta riconosciuto a Nestor Kirchner il merito di aver guidato l’Argentina fuori dalla peggior crisi della sua storia, all’inizio del Millennio, le cose sono andate come temevo. Avenida Corrientes e ObeliscoL’ex presidente è andato avanti a governare nell’ombra (come in Russia l’Amico Putinalle spalle di Medvedev), in attesa di ripresentarsi al prossimo turno tra due anni e, dopo la sconfitta alle legislative del giugno scorso, ha prevalso la sindrome dell’accerchiamento e il sistema presidenziale si è incattivito, nel risoluto tentativo di consolidare le proprie posizioni di potere prima che abbia inizio la nuova sessione di lavori del Parlamento rinnovato, tra un mese, in dicembre. Ed ecco una serie di decisioni e forzature: dai prelievi fiscali sull’esportazione che hanno colpito soprattutto i produttori medio-piccoli del settore agroalimentare, alla recente legge sui media che ne accentua il controllo da parte del governo, soprattutto la pretesa di gestire senza filtri i fondi destinati alla “lotta alla povertà” (nascondendo e truccando peraltro i relativi dati statistici), individuando a proprio giudizio i bisognosi: si sta cercando di forzare la mano per approvare il relativo provvedimento legislativo da parte del Parlamento ancora con la maggioranza attuale. Perché questo sistema funziona e paga, come testimonia l’utilizzo finalizzato delle risorse del ministero dello Sviluppo Sociale, affidato guarda caso ad Alicia Kirchner, sorella dell’ex presidente e cognata di quello attuale, a favore delle “cooperative  sociali” nelle mani dell’intendenza kirchnerista, per lo più sindacalisti e piqueteros (coloro che bloccano le strade) vicinissimi al governo che gestiscono decine di milioni di pesos per lavori di dubbia utilità ma che danno lustro e consenso alla “presidenta” superando  d'autorità il livello di competenza provinciale. E, quel che più conta, assicurando al governo l'appoggio e la gestione della piazza, per compensare le sconfitte elettorali. Gli esempi sono quotidiani. Da quando sono tornato qui per due giorni un gruppo di non oltre 300 piqueterosha bloccato l’Avenida 9 de Julio (foto in alto), la strada più larga del mondo e anche la principale arteria della città: si tratta di aderenti a cooperative che risultavano escluse dai finanziamenti perché non integrate nel “sistema Kirchner”, insomma si sentivano discriminati nell’elemosina. La polizia si è ben guardata dall’intervenire nonostante fossero in buona parte a volto coperto e armati di mazze di ferro e randelli, e il blocco è stato tolto quando è stato loro garantito un sovvenzionamento autonomo, saltando gli intermediatori sindacali. In sostanza cooptandoli nell’intendenza presidenziale. Il giorno successivo, ieri, altro blocco, questa volta di fedelissimi della prima ora, nello stesso punto, all’altezza di Avenida Belgrano, di fronte al ministero dello Sviluppo Sociale, per solidarietà alla presidenza. Garrivano al vento bandiere rosse con l’effigie di Che Guevara e azzurre con quella dell’eterna Evita Perón. Sembrava di assistere a “Ritorno al futuro” e rivivere alcune sceneggiate anni Settanta, per fortuna senza i forsennati furori ideologici di allora. Che qui sono stati una delle cause di una dittatura bestiale durata sette anni e di 30 mila desaparecidos: una generazione sterminata. Avenida de Mayo e Casa Rosada sullo sfondoSempre di questi giorni il blocco della distribuzione fuori della capitale dei due principali giornali del Paese,Clarín e La Nación, guarda caso quelli più invisi al potere e maggiormente danneggiati dalla recente legge sui media (la cui approvazione aveva visto festeggiare davanti al Parlamento  a notte inoltrata, in barba ai lavori socialmente utili,  tre settimane fa, gli stessi personaggi rivisti ai blocchi stradali di questi giorni, con le stesse bandiere), ad opera del sindacato dei camionisti vicino ai Kirchner. Il pretesto: "convincere" autisti e lavoratori delle cooperative di spedizione a iscriversi al loro sindacato, capeggiato da Pablo Moyano, guarda caso figlio di quel Hugo più che discutibile personaggio a capo dell'onnipotente CGT e grande elettore dei Kirchner. Sempre dalle 11 di questa mattina, sciopero delle cinque linee della metropolitana per 24 ore, senza riguardo per fasce orarie “protette”, il che in un'area urbana di oltre 10 milioni di abitanti significa il caos assicurato, più una mezza dozzina di manifestazioni a vario titolo, ognuno con le proprie buone – o cattive – ragioni, ma è tanto per rendere l’idea della quotidianità. Sono questi alcuni degli aspetti che ho visto riprendere piede e che mi inquietano, così come un aumento dei questuanti, di coloro che sono costretti a dormire sui marciapiedi o nei giardini, in pieno centro e nella rassegnata indifferenza di chi passa; del senso di insicurezza: tema, questo, attorno al quale ruota ogni discorso con chiunque appena si fanno due chiacchiere. In tutto questo da un lato il governo tace, fa capire che gli si mettono i bastoni tra le ruote, minimizza e falsifica i dati: non solo quelli sulla povertà, come già detto, ma anche quelli sull’inflazione, sull’indebitamento e sulla criminalità; dall’altro giornali e TV danno fiato alle trombe e il risultato è un cane che si morde la coda, ossia un generalizzato senso di precarietà, diffidenza e talvolta paura che si autoalimenta e che si percepisce nell’aria. E non ha nemmeno senso invocare l’intervento delle forze dell’ordine, talmente corrotte e inefficienti da creare, se possibile, ancora più disagio e apprensione. Tutte situazioni che in Italia conosciamo bene e che vanno affrontate con rigore e lungimiranza, sapendo che non esiste alcuna bacchetta magica e che gli interventi in questo senso sono di lungo periodo, ma per il momento si preferisce fare una gran confusione in cui ognuno fa la sua rimostranza senza riuscire a vedere la situazione nel suo complesso e venire a capo di nulla. Per finire ho trovato la città pure più sporca, e perfino il livello calcistico si è notevolmente abbassato: la Nazionale si è qualificata di straforo ai Mondiali giocando in maniera penosa e Boca e River, le due squadre cittadine più blasonate e tra le più titolate al mondo, veleggiano a metà classifica nel campionato locale (a questo proposito, uno degli interventi tipicamente populisti della presidenza è stata la decisione di trasmettere sulle reti pubbliche, gratuitamente, tutte le partite del torneo, pagando i diritti più di quanto non fossero disposte a fare le emittenti private, salvando in questo modo i bilanci delle società e permettendo l’avvio del  campionato che era rimasto al palo: puro panem et circenses). Alcune cose, in compenso, non cambiano mai: le velocità folli a cui circolano i “colectivos” , con gli autisti delle decine di diverse compagnie che guidano a cottimo, e i loro percorsi demenziali; la endemica mancanza di spiccioli con cui pagare le suddette corse dei mezzi pubblici – ma i mini assegni di italica memoria, sempre anni Settanta, non li hanno ancora adottati -; le lungaggini e gli intoppi burocratici per poter cambiare valuta e le grassazioni sui prelievi bancomat. Però ci sono anche più librerie in questa città che in tutta Italia, perché qui la gente legge e si informa, come dimostra anche il numero di edicole e quello dei quotidiani esposti (camionisti sindacalizzati permettendo) e non si limita, a parte il calcio, a farsi rincoglionire dalla TV, peraltro di qualità di poco meno scadente di quella nostrana ma quantomeno non soggetta a duopolio-monopolistico. Alla prossima, dunque, e suerte, Argentina! (qui sotto, il Cabildo, la municipalità)Cabildo de Buenos Aires

Nessun commento:

Posta un commento