"ACAB - All Cops Are Bastards" di Stefano Sollima. Con Pierfarcesco Favino, Domenico Diele, Marco Giallini, Filippo Nigro, Andrea Sartoretti, Roberta Spagnuolo. Italia, 2011 ★★★★
Molto incoraggiante il debutto sul grande schermo di Stefano Sollima, che per SKY aveva girato in due parti la versione televisiva di Romanzo Criminale, che a sua volta aveva reso ancora meglio la già ottima versione cinematografica di Michele Placido. Incentrato su un manipolo di celerini in servizio presso il Reparto Mobile della PS di Roma, e basato sull'omonimo libro-indagine di Carlo Bonini che ne indaga dall'interno le dinamiche malate, ACAB è ben più di un film "di genere", anche se descrive in modo estremamente efficace la mentalità distorta di questi veri e propri guerrieri, mal pagati, peggio ancora addestrati e istruiti (60 anni di storia di un "repubblica nata dalla Resistenza" non hanno impedito che continuasse a regnarvi quasi incontrastata una mentalità profondamente fascista), mandati allo sbaraglio nelle strade, tra ultras calcistici scatenati, periferie degradate, sfratti da eseguire, sgomberi di campi nomadi e proteste operaie, che sono uniti da un vincolo di "fratellanza" che si traduce in omertà, sostanzialmente tollerata da chi dirige le forze dell'ordine, e che li incoraggia a farsi giustizia da soli. Per essere degli autentici guerrieri, bisogna anche avere una predisposizione innata alla violenza, che spesso trova nella realtà quotidiana, personale e famigliare degli stessi agenti, il carburante necessario per moltiplicarsi e non trovare più limiti, come nel caso del G8 di Genova del 2001, citato un paio di volte a metà e sul finire della pellicola in situazioni quanto mai adeguate. E proprio sulle vicende della Diaz questo film dice, indirettamente e in maniera assai più convincente, molto più dell'omonimo film di Vicari, che pure avevo trovato positvo. Film notturno, cupo, pervasivo, girato con grande sicurezza e interpretato benissimo (Marco Giallini su tutti), ACAB non si limita a descrivere il mondo chiuso delle "guardie", ma lo inserisce in un concreto scenario di precarietà e disagio, nella fattispecie le periferie romane da cui gli stessi celerini provengono, lasciate a sé stesse da un potere politico incapace, menefreghista e corrotto, di cui questi pretoriani del nulla, ossia di uno Stato assente, sono gli unici rappresentanti fisicamente presenti.
Molto incoraggiante il debutto sul grande schermo di Stefano Sollima, che per SKY aveva girato in due parti la versione televisiva di Romanzo Criminale, che a sua volta aveva reso ancora meglio la già ottima versione cinematografica di Michele Placido. Incentrato su un manipolo di celerini in servizio presso il Reparto Mobile della PS di Roma, e basato sull'omonimo libro-indagine di Carlo Bonini che ne indaga dall'interno le dinamiche malate, ACAB è ben più di un film "di genere", anche se descrive in modo estremamente efficace la mentalità distorta di questi veri e propri guerrieri, mal pagati, peggio ancora addestrati e istruiti (60 anni di storia di un "repubblica nata dalla Resistenza" non hanno impedito che continuasse a regnarvi quasi incontrastata una mentalità profondamente fascista), mandati allo sbaraglio nelle strade, tra ultras calcistici scatenati, periferie degradate, sfratti da eseguire, sgomberi di campi nomadi e proteste operaie, che sono uniti da un vincolo di "fratellanza" che si traduce in omertà, sostanzialmente tollerata da chi dirige le forze dell'ordine, e che li incoraggia a farsi giustizia da soli. Per essere degli autentici guerrieri, bisogna anche avere una predisposizione innata alla violenza, che spesso trova nella realtà quotidiana, personale e famigliare degli stessi agenti, il carburante necessario per moltiplicarsi e non trovare più limiti, come nel caso del G8 di Genova del 2001, citato un paio di volte a metà e sul finire della pellicola in situazioni quanto mai adeguate. E proprio sulle vicende della Diaz questo film dice, indirettamente e in maniera assai più convincente, molto più dell'omonimo film di Vicari, che pure avevo trovato positvo. Film notturno, cupo, pervasivo, girato con grande sicurezza e interpretato benissimo (Marco Giallini su tutti), ACAB non si limita a descrivere il mondo chiuso delle "guardie", ma lo inserisce in un concreto scenario di precarietà e disagio, nella fattispecie le periferie romane da cui gli stessi celerini provengono, lasciate a sé stesse da un potere politico incapace, menefreghista e corrotto, di cui questi pretoriani del nulla, ossia di uno Stato assente, sono gli unici rappresentanti fisicamente presenti.
Nessun commento:
Posta un commento